Minori non accompagnati
Soli e stranieri, quindi devianti? Le risposte, oltre l’allarme sociale
Nel panorama dei reati commessi da minori, la presenza dei minori stranieri non accompagnati è una oggettiva novità. Lo storytelling è sproporzionato rispetto ai numeri, ma nemmeno si può far finta che il tema non esista. Le vite di questi ragazzi d'altronde sono segnate da una grande vulnerabilità e poiché il sistema di accoglienza non li supporta adeguatamente, il rischio di finire nella delinquenza è alto. Ci sono progetti mirati per loro? Sì, ma ancora pochi
di Veronica Rossi e Sara De Carli

Nel solo mese di maggio 2025, dai radar del nostro sistema di accoglienza sono spariti 566 minori stranieri non accompagnati. “Allontanamento volontario”, dice la dashboard del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Non è una novità, così come non è una novità il fatto che i minori stranieri non accompagnati – 16.556 presenti in Italia al 31 maggio 2025, di cui solo il 13% ragazze – sono una popolazione che presenta molteplici fattori di rischio evolutivo, per il trauma del viaggio, l’assenza di figure adulte di riferimento, difficoltà linguistiche, scarsa integrazione. Il recente volume Non solo baby gang. I comportamenti violenti di gruppo in adolescenza (Franco Angeli) curato dallo psicoterapeuta Alfio Maggiolini, a loro dedica un intero capitolo: «Pur sottolineando che l’allarme sociale attorno ai reati commessi dai minorenni non corrisponde affatto ad una realtà allarmante», ha detto in una recente presentazione del libro, occorre riconoscere realisticamente che «questi fattori di rischio esistono e rendono questi ragazzi vulnerabili a tante condizioni avverse, tra cui anche la commissione di reati». Sempre nel libro si legge che l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Milano, che svolge attività di sostegno e controllo nei confronti dei minorenni sottoposti a provvedimenti penali, nel 2023 aveva in carico 113 msna su 896 minori presi in carico: un aumento dell’88,3% rispetto al 2022. Al Beccaria, l’Istituto penale minorile di Milano, i msna rappresentano la metà della popolazione carceraria. Al Centro di Prima Accoglienza – Cpa di Milano, la struttura che accoglie i minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento, fino alla convalida dell’arresto o del fermo, o alla convalida dell’espulsione, i msna erano il 5,1% dei minori nel biennio 2018/19 mentre sono il 20,6% nel biennio 2022/23: a loro carico soprattutto reati di rapina e di violenza, raramente per spaccio o furti. Gli omicidi e i tentati omicidi, invece, giusto per sgomberare il campo dagli equivoci, sono a quasi tutti a carico di italiani. Se il rischio di cadere nell’illegalità e nella criminalità per i minori stranieri non accompagnati è oggettivo, che cosa facciamo come collettività per evitarlo? Non a caso Maggiolini nelle conclusioni del volume chiede anche risposte mirate e specifiche per questo target di ragazzini, ben diverse dalla criminalizzazione e dalla reclusione.
I minori stranieri soli: un profilo di grande vulnerabilità
Il Sistema di accoglienza e integrazione – Sai per minori stranieri non accompagnati nel nostro Paese è un’avanguardia, ma ha solo 6.530 posti. I ragazzi che non trovano posto nel Sai prendono altre strade, restando principalmente nella prima accoglienza, anche emergenziale. Molti rimangono nei Centri di accoglienza straordinaria – Cas, sia per minori che, nel caso di sedicenni o più, per adulti. Di recente anche il Garante per l’Infanzia del Comune di Milano, Silvio Premoli, ha denunciato la presenza di minori nel dormitorio di viale Ortles. Ma in queste strutture è evidente che le opportunità di inclusione – a partire dall’apprendimento dell’italiano e dall’inserimento in un percorso scolastico – non sono le stesse che si possono avere in una comunità dedicata ai ragazzi. A decidere la sorte di un minorenne straniero è il caso, il momento di arrivo.
Se fino a qualche anno fa il profilo classico del minore straniero non accompagnato era quello di un ragazzino con un forte progetto migratorio, investito di un mandato di successo economico da parte di tutta la sua famiglia, oggi la realtà è un’altra: i msna sono ragazzi sempre più problematici, che spesso hanno disturbi psichici aggravati dal trauma del viaggio e dall’arrivo in un Paese sconosciuto. «I minori stranieri non accompagnati sono di solito ragazzi con grandi vulnerabilità che provengono da un viaggio pesante, difficile», dice Piero Mangano, presidente del Coordinamento nazionale comunità accoglienti – Cnca Sicilia e membro del consiglio nazionale. «Se non c’è un’accoglienza adeguata, rischiamo di non offrire loro la possibilità di integrarsi in un contesto diverso dal loro e quindi di facilitare il loro “perdersi”. Quando arrivano da noi sono dei sopravvissuti e dobbiamo trattarli come tali: ci deve essere un’attenzione altissima nei loro confronti. I loro traumi, se non abbiamo la capacità di accoglierli, possono sfociare in atteggiamenti devianti». Per questo motivo, secondo il Cnca, è necessario investire il più possibile nel modello Sai.
Basta fare un calcolo elementare. I Comuni italiani sono 7.896: se tutti aderissero al sistema Sai (oggi l’adesione è facoltativa), ognuno ospiterebbe due o tre ragazzi, un numero gestibile anche per le realtà più piccole. Ragionare ancora con modelli di accoglienza straordinaria non ha senso: le migrazioni sono un fenomeno strutturale e i numeri non sono certo emergenziali. «La frantumazione del sistema di accoglienza del nostro Paese non è coerente con la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – Crc, che l’Italia ha ratificato», commenta infatti Liviana Marelli, membro dell’esecutivo nazionale di Cnca. «Ci dovrebbe essere quantomeno un principio di legalità da rispettare, invece si segue un principio più “alberghiero”: dare semplicemente un tetto sulla testa. Questo confligge con la responsabilità adulta che uno Stato dovrebbe avere». In un sistema di accoglienza con così tante criticità, non stupisce trovare dei casi di devianza, oppure dei casi in cui questa devianza non viene intercettata per tempo. Soprattutto perché – come dicevamo – parliamo di adolescenti particolarmente vulnerabili, che hanno un passato difficile nel Paese di origine, nel viaggio che hanno affrontato o in entrambi.
Terzo settore, una risorsa per prevenire e correggere la devianza
Cosa fa il Terzo settore per prevenire la devianza o limitarla nel caso in cui ci sia già? «È vero che ci troviamo in una situazione di grande criticità», afferma Mangano. «I dati i dicono che sono aumentati i minori stranieri all’interno delle carceri minorili e sono più numerose anche le denunce di reato. I ragazzi si trovano in una situazione di erranza profonda, hanno deciso di intraprendere un cammino, non solo in senso geografico, ma anche esistenziale: stanno cercando il loro posto in un mondo che non è il loro. In questo percorso, alcuni di loro possono sbagliare». A volte i minori celano della rabbia, che è una risposta a un vuoto. «Dobbiamo domandarci: come comunità che accoglie – dico comunità in senso lato, non sto parlando di strutture – cosa facciamo? Loro cercano risposte a un vuoto affettivo e sociale. Comprendere questo non significa giustificare, ma significa spiegare e accogliere l’erranza come condizione umana e non come anomalia da correggere».
Ogni progettualità che voglia andare a intervenire sulla devianza dei minori non accompagnati, quindi, deve diventare accompagnamento in un percorso di crescita, non solo correzione dell’errore. È fondamentale, quindi, la presenza degli educatori, ma anche di mediatori culturali preparati; gli operatori dovrebbero essere professionisti della relazione, capaci di cambiare un po’ la direzione dei ragazzi, dandogli dei veri obiettivi. Va da sé, quindi, che anche la scuola giochi un ruolo importantissimo nella presa in carico di questi ragazzi.
Loro cercano risposte a un vuoto affettivo e sociale. Comprenderlo non significa giustificare, ma spiegare e accogliere l’erranza come condizione umana e non come anomalia da correggere
Piero Mangano, presidente Cnca Sicilia
«Con il Cnca stiamo mettendo in campo un progetto che si chiama “Mire”», racconta Mangano, «che prevede il sostegno dei ragazzi anche nel loro percorso scolastico. Le scuole oggi non sono attrezzate ad accogliere minori migranti soli e si ritrovano senza mediatore, senza capacità di ascolto dei bisogni dei ragazzi. Ma in questa situazione c’è il rischio di una fuga. Per questo motivo l’iniziativa prevede la presenza di operatori specializzati negli istituti». Il Cnca ha anche delle progettualità che coinvolgono i minori già autori di reato; nel carcere minorile di Acireale, per esempio, è stato costruito un percorso in cui i ragazzi hanno creato un podcast e un video, si sono resi protagonisti di una storia. «Nei laboratori partecipavano insieme italiani e stranieri», specifica Mangano, «con un approccio integrato e multidimensionale, con l’obiettivo di provare a offrire reti e opportunità dove non ce ne sono».
Il progetto “Fragile!”, una risorsa per Milano
«A Milano i 400 posti Sai finanziati dal governo per la seconda accoglienza non sono mai stati sufficienti, al punto tale che oltre 700 ragazze e ragazzi sono ospitati, spesso in altre città e regioni, nelle comunità socioeducative, grazie alla disponibilità del Terzo settore e agli sforzi economici del Comune. Ma mentre ci impegniamo, al di là delle nostre competenze, a non lasciare in strada nessuno siamo in prima linea per chiedere un cambio di passo radicale nella gestione di un fenomeno che è strutturale ma viene trattato ancora come un’emergenza», ha scritto sui social nelle scorse settimane Lamberto Bertolé, assessore al welfare del Comune di Milano. «Dalla qualità e dalla tempestività dell’accoglienza che riusciamo a garantire dipendono il successo dei percorsi avviati. Accoglienza diffusa, numero di educatori adeguato, percorsi personalizzati, centri di piccole dimensioni sono gli obiettivi che dobbiamo porci e che il governo deve garantire. Nelle condizioni attuali possiamo davvero stupirci che ci siano casi di devianza?».
A Milano abbiamo 1.200 minori stranieri non accompagnati e 400 posti nel Sai. Nelle condizioni attuali possiamo davvero stupirci che ci siano casi di devianza?
Lamberto Bertolé, assessore al welfare del Comune di Milano
«La differenza nei percorsi di vita di questi adolescenti la fanno le occasioni e le opportunità che trovano», afferma l’assessore, «così come le relazioni con gli adulti che si riescono a costruire. La qualità dell’offerta educativa e dei percorsi educativi può fare la differenza sul loro futuro. È per questo motivo che noi, come amministrazione, ci battiamo molto perché il sistema cambi radicalmente: al momento rischia di amplificare i rischi invece di contrastarli. Il numero di msna in Italia è complessivamente gestibile, ma poiché di fatto sono gli stessi ragazzi a decidere dove andare, si creano forti squilibri nei territori e questo rende difficile in alcune situazioni garantire percorsi di accoglienza di qualità».
I quasi 1.200 msna che si sono a Milano, secondo Bertolé sono tanti, anche per una città di grandi dimensioni, le cui strutture di accoglienza sono sempre sature. In più, non ci sarebbero abbastanza fondi per ospitare tutti nel miglior modo possibile, garantendo progetti e percorsi davvero inclusivi. «Noi abbiamo fatto due cose», continua l’assessore. «La prima è stata cercare un’alleanza con gli altri Comuni per denunciare la situazione. La seconda è stata portare avanti progettualità sul territorio per aumentare la qualità dell’offerta educativa: attraverso il dialogo con la Fondazione Cariplo, la Fondazione Peppino Vismara e l’Impresa sociale Con i bambini abbiamo costruito un progetto che è stato approvato e presentato al Forum del welfare del Comune di Milano quattro mesi fa. Si chiama Fragile! ed è rivolto proprio ai minori stranieri non accompagnati, con l’obiettivo di avere centri di accoglienza più piccoli, con un’intensità educativa più alta e quindi anche una maggiore capacità di rispondere ai bisogni dei ragazzi».
I minori in situazioni di particolare fragilità, hanno infatti bisogno di essere accolti in luoghi a loro dedicati, con un numero di educatori sufficiente e una capacità di personalizzare gli interventi sulle necessità del singolo. «Abbiamo anche introdotto un centro diurno diffuso», aggiunge Bertolé, «che prevede che il territorio offra una serie di attività di formazione, di inserimento lavorativo, di socializzazione legata anche ad attività sportive. Questo per favorire l’inclusione e una crescita armonica dei ragazzi accolti. Il progetto è un mix di interventi, che vanno a intercettare la fragilità psicologica, garantendo un’intensità educativa adeguata e servizi di inserimento nel tessuto sociale».
E per chi è già entrato in un contesto di delinquenza?
Anche se sono una minoranza, esistono casi di msna che assumono comportamenti che effettivamente possono costituire un pericolo per sé e per gli altri. «Ci sono alcuni ragazzi che arrivano già inseriti in organizzazioni criminali», afferma Pietro Benè, che per la Diaconia Valdese gestisce un Sai a Firenze. «Anche se inseriti nel Sai, questi giovani minacciano gli operatori, a volte compiono atti concreti di aggressività verso il gruppo. Ne basta uno solo per creare un clima nefasto. Ovviamente si tratta di piccoli numeri: l’85% dei ragazzi che ho avuto ora lavorano o sono in formazione, ma questo il cittadino medio non lo sa. Se invece c’è un solo episodio violenza, quello finisce su tutti i giornali».
Come aiutare anche questi ragazzi, quei pochi cresciuti troppo in fretta perché intercettati presto dalle realtà criminali? Le risposte securitarie di certo non hanno l’effetto sperato, anzi, rischiano di andare nella direzione opposta. Gli Istituti penitenziari minorili inoltre sono in difficoltà dopo il decreto Caivano, che prevede sanzioni più severe per i minori coinvolti in reati. «Si può intercettare negli Ipm i ragazzi desiderosi di un progetto di autonomia personale», conclude Bené, e preparare per loro un percorso ad hoc, facendogli vedere i risvolti di percorsi virtuosi, con la collaborazione del Terzo settore. Ci vorrebbe un intervento sinergico tra il pubblico e il privato per migliorare i luoghi deprivati in cui nasce la criminalità, immettendo luoghi di incontro, culturali. Creare, insomma, ambienti accattivanti e accoglienti per la cittadinanza, per agganciare i minori a rischio devianza».
Foto di Deepak Gupta su Unsplash
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