Mondo
Somalia: la controffensiva del governo
Le truppe governative, supportate dai soldati etiopi, tentano di riconquistare il terreno perso a Mogadiscio
di Redazione
E’ stata un’altra giornata di guerra a Mogadiscio, teatro di attacchi armati e agguati da quando, all’inizio dell’anno, il governo di transizione, con l’aiuto degli alleati etiopici, ha ripreso il potere e cacciato le milizie delle Corti islamiche. La battaglia di oggi, che secondo testimoni avrebbe visto impegnato anche un elicottero etiopico e fatt almeno 13 morti, ha fatto saltare il fragile cessate-il-fuoco concordato sabato e frutto dei negoziati tra la leadership del principale clan di Mogadiscio, gli Hawaiye, e il governo di transizione. Secondo gli analisti, la rottura della tregua era prevedibile: tra i due schieramenti sono ancora troppo influenti le frange piu’ radicali ed e’ forte il rischio che compromettano il congresso di riconciliazione nazionale, in programma a Mogadiscio dal 16 aprile al 16 giugno. Ai lavori dovrebbero partecipare circa 3.000 delegati, 2.500 in rappresentanza dei clan e dei sotto-clan, e 500 della diaspora. Nelle ultime settimane le vittime sono state oltre cento, senza contare le centinaia di famiglie di sfollati, accampate fuori citta’. Secondo l’Onu, da febbraio oltre 40.000 persone sono fuggite dalla capitale. Per le strade di Mogadiscio, raccontano testimoni, regna il caos. La gente e’ spaventata e tutti si tengono alla larga da caserme ed edifici governativi, bersagli privilegiati degli attacchi.
Fonti giornalistiche locali hanno riferito che la citta’ e’ presidiata dalle forze governative e dai carri armati etiopici che le scorse settimane avevano iniziato a ritirarsi verso il sud del Paese. Dall’altra parte della barricata ci sono le milizie dei clan di Mogadiscio, molte delle quali legate alle Corti islamiche e spesso assoldate dalla popolazione per garantire la sicurezza nei quartieri. Nonostante l’arrivo dei primi ‘caschi verdi’ dell’Unione africana (Ua), il cui contingente contera’ in tutto 8.000 uomini, ogni giorno nella capitale se non e’ guerra e’ guerriglia. La missione in Somalia dei peacekeeping della Ua e’ stata decisa il 20 febbraio da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la 1744, per la quale nei prossimi sei mesi, la forza di pace potra’ adottare “tutte le misure appropriate” per offrire sostegno al dialogo e alla riconciliazione tra le parti. Nelle ultime settimane, a lavorare sul fronte della riconciliazione nazionale, oltre alle diplomazie dell’Unione europea e, in particolare, dell’Italia, e’ stato anche il governo di transizione. Il 14 marzo, il primo ministro Ali Mohammed Gedi ha presentato ai rappresentanti della comunita’ internazionale una ‘roadmap’ che prevede la cessazione delle ostilita’ e l’impegno per la pace, l’apertura all’ala moderata delle Corti islamiche e l’inclusione di delegati di clan e sotto-clan, oltre alla creazione di un programma di disarmo nazionale e alla ripresa della revisione del processo costituzionale per traghettare la Somalia alle elezioni. Il prossimo appuntamento e’ quello del 16 aprile, ma a detta di alcuni potrebbe saltare proprio a causa delle mancate condizioni di sicurezza nella capitale.
Proprio la Somalia è stato il tema principale su cui il ministri degli Esteri Massimo D’Alema si è confrontato con il suo omologo etiope Seyoum Mesfin. Lo ha reso noto il portavoce della Farnesina Pasquale Ferrara durante un briefing con i giornalisti, esprimendo preoccupazione per le ultime notizie sulla recrudescenza di scontri sul terreno. Al centro dei colloqui anche la situazione del Corno d’Africa, con l’auspicio italiano di una composzione del conflitto territoriale fra Etiopia ed Eritrea, e la crisi del Darfur in Sudan.
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