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Sotto i cieli di Chicagol’egitto si toglie la maschera

un romanzo Ala Al Aswani racconta il suo ultimo best seller

di Redazione

Yalla Italia ha intervistato il controverso scrittore egiziano Ala Al-Aswani, autore del pluripremiato (super venduto) romanzo Palazzo Yacoubian. Nel suo ultimo libro intitolato Chicago (Feltrinelli, euro 17,50) racconta un intreccio di umane vicissitudini di una comunità di ricercatori egiziani immigrati a Chicago. Ala Al-Aswani riesce a toccare svariati argomenti, da quelli più ideali quali la democrazia e la religione, a quelli più materiali quali il sesso e la tortura; insomma un mix di quello che è la vita in ogni società multietnica portato alla luce del sole. C’è già chi considera Ala Al-Aswani l’erede del premio Nobel per la letteratura Naguib Mahfuz per la sua audacia e minuziosità descrittiva. Per ora si può soltanto prendere atto del suo talento che lo ha reso in poco tempo uno degli autori più conosciuti della letteratura contemporanea.

Yalla: Ciò che viene narrato nel libro è tratto da una storia reale, o è il risultato della sua esperienza di vita o quella di amici/parenti/conoscenti?
Ala Al-Aswani: C’è differenza tra la storia che viene narrata nel complesso e le singole vicissitudini di ciascun personaggio. Infatti, nonostante il racconto risulti opera di pura fantasia, nella descrizione ed argomentazione dei personaggi c’è una componente reale che fa riferimento a situazioni e scene da me viste e vissute. In questa maniera la storia ha una matrice reale di fondo, quando nel complesso però le relazioni tra i personaggi sono inventate.

Yalla: So che lei fa il dentista, non voglio paragonare il suo studio ad un bar, ma a volte prende spunto per scrivere i suoi romanzi dai pazienti che incontra?
Al-Aswani: Certamente, lo scrittore è un attento osservatore di tutto ciò che gli sta attorno, dalle persone ai fatti, agli eventi; più si riescono ad assimilare informazioni, più se ne può trarre vantaggio nella stesura del proprio racconto. Inoltre, la medicina è una delle professioni che può essere di supporto alla letteratura in quanto si incontrano differenti tipologie di persone, di diverse etnie, religioni e caratteri. È uno dei mestieri che ha dato il maggior numero di letterati, soprattutto perché la medicina e la letteratura hanno un obiettivo comune di fondo, ossia guarire il paziente dal dolore. Nel primo caso però il dolore è fisico, mentre nel secondo il dolore è più spirituale, nell’anima. Purtroppo nel mondo arabo la scrittura in generale non può essere considerata una professione che permetta di mantenersi, questo è uno dei motivi che mi ha portato a fare il medico.

Yalla: Leggendo la sua biografia e le sue interviste, ho notato un’evidente somiglianza tra lei ed uno dei personaggi del libro, più precisamente Naghi, che è medico ed appassionato di poesia e letteratura: è solo un caso o una sua trasposizione in un personaggio del libro?
Al Aswani: Lo considero uno dei personaggi più vicini a me, ci sono molte comunanze tra me e lui soprattutto nella visione politica e storica. Nonostante ciò, ci sono altri aspetti in lui che non hanno a che fare con la mia persona. Infatti egli è molto introverso, quasi come se comunicare gli pesasse, inoltre è facilmente irritabile (nel libro bisticcia con chiunque non la pensi come lui), tutte caratteristiche che non mi appartengono. Parlando invece della sua relazione con la ragazza di origine ebraica, egli l’accusò ingiustamente, cosa che io non avrei fatto.

Yalla: Secondo lei, a volte si critica il proprio Paese di origine per spirito oggettivo o perché si è influenzati dal Paese nuovo in cui si vive?
Al-Aswani: L’autocritica in generale è uno dei processi di miglioramento sociale, ovviamente se fatta in maniera imparziale. Molte persone, invece, mettono a volte nella critica molto rancore, mancando di oggettività. Infatti, molte volte con queste critiche rivolte al proprio Paese di origine, si cerca di giustificare la propria decisione di fuga dalla propria madrepatria. Infatti, parecchi personaggi nel libro arrivano a chiedersi se l’emigrazione è stata una scelta giusta o sbagliata.

Yalla: Nel dialogo tra il dottor Karam Dos ed il giovane dottorando Naghi si dice che l’oppressione in Egitto risulta politica e non religiosa. Pensa che il popolo possa percepire questa differenza?
Al-Aswani: La maggior parte degli egiziani copti intellettuali sono arrivati a questa stessa conclusione. E così anche il movimento Kefaya (che significa «Basta!») di cui io sono membro, e che raccoglie individui di differenti fedi e visioni politiche (anche comunisti). Questo movimento è capeggiato da George Isaac, un mio caro amico di fede copta con il quale cerchiamo di promuovere la democrazia in Egitto. Solo dopo aver raggiunto uno status di piena democrazia tutti i cittadini possono godere dei propri diritti risolvendo anche la questione copta. Non si può risolvere la questione copta prima di risolvere la questione egiziana che sta al di sopra di tutto.

Yalla: Pensa che gli egiziani siano autocritici? Se sì, pensa che ciò possa risolvere la “questione egiziana”, oppure il governo si è oramai abituato a sentire e osservare, tanto infine fa quel che vuole?
Al-Aswani: Il governo egiziano applica appunto questo tipo di politica, ossia dì quel che vuoi che tanto alla fine faccio quel che voglio io! Da noi, infatti, c’è differenza tra la libertà di esprimere il proprio dissenso e la libertà di parola. La prima, è propria di qualsiasi società democratica, per esempio se un certo politico è corrotto e si hanno le prove materiali, il governo di quel Paese applica indagini con conseguenze positive/negative sul diretto interessato in base al risultato dell’inchiesta. La seconda è una specificità egiziana: puoi scrivere quanto vuoi, tanto il governo fa quel che vuole comunque. In questo modo lo spirito critico non ha portato a notevoli miglioramenti, però ha almeno permesso che si creasse negli ultimi dieci anni una forte opinione pubblica.

Yalla: C’è una citazione molto carina nel libro in cui il dottor Karam Dos paragona la propria madrepatria ad una bella donna di cui ci si innamora, ma che poi si scopre che ci tradisce. È quello che prova realmente lei?
Al-Aswani: No, io non provo affatto questa sensazione per il semplice motivo che sono consapevole della differenza tra il concetto di “nazione” e di “governo”. La “nazione” siamo io, tu, i nostri familiari ed amici, mentre il “governo” rappresenta una cerchia ristretta che a sua volta però non rappresenta la “nazione”. La “nazione” non può infierire sui propri individui, mentre il governo sì.

Yalla: Adesso le sarà più facile parlare di quello a cui tiene, ovviamente tramite i libri?
Al-Aswani: Certamente, soprattutto ora che i miei libri sono tradotti in 21 lingue, e distribuiti da 23 case editrici sparse nel mondo. Tutto ciò mi dà una maggiore libertà nel rappresentare i miei punti di vista, ma nello stesso tempo mi rende molto responsabile in quanto – dato che ho lettori presenti in tutto il globo – devo essere all’altezza di ciò che racconto. Prima di Palazzo Yacoubian ho scritto tre romanzi i quali però non sono stati distribuiti dalle case editrici nazionali per il loro contenuto. Ebbi tre rifiuti nel 90, nel 94 e nel 98.

Yalla: Come si può fra crescere la democrazia in Egitto?
Al-Aswani: C’è bisogno che l’opinione pubblica faccia pressione sul sistema in modo da obbligarlo a scegliere sempre di più i meccanismi della democrazia. Questo è l’unico modo per ottenerla, perché è impensabile che chiunque stia al governo possa rinunciarvi di sua spontanea volontà. I media in Egitto ultimamente stanno agendo nella giusta direzione (dai giornali al web) i quali inducono a scioperi politici e non solo.

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