«Per noi la Locanda è stato un proseguire un percorso che nasceva in comunità. Un progetto legato e alimentato dell’esperienza fatta in comunità, nel carcere minorile e in tutti i posti in cui stavamo con i ragazzi e le ragazze madri che frequentavano Domus de Luna».
A parlare è Ugo Bressanello, fondatore di Domus de Luna, la fondazione cagliaritana che dal 2005 “assiste e cura bambini, ragazzi e mamme in situazione di grave difficoltà”. Nel 2010, cinque anni fa esatti, l'idea di fare “La locanda dei buoni e cattivi” vinceva il primo premio di Make a Change nel concorso nazionale degli imprenditori sociali. «Oggi i buoni e cattivi sono una ventina, continuano tutti i giorni a festeggiare la vita e il lavoro, alla locanda – e pensano sempre più spesso che forse è il momento di dire di sì a qualcuno degli amici che vorrebbe creare un altro posto magico come questo, dove la diversità e la voglia di riscatto sono la principale risorsa, eternamente rinnovabile», sottolinea su Facebook commosso Bressanello.
Ma cos'è la Locanda e come nasce? Per spiegarlo il presidente parte dal territorio: «Tutti avevano in comune la necessità di avviare un progetto di autonomia di vita, dove il lavoro è sempre fondante. Se si aggiunge il fatto di essere in un territorio dove la disoccupazione giovanile ha tassi molto superiori a quella nazionale. Può bastare per capire cosa succede ad un ragazzo che non ha un famiglia in grado di aiutarlo, che non può contare su reti che lo sostengano, che magari non ha finito gli studi».
Così nasce la Locanda, «perché abbiamo pensato alle cose più facili, più belle, su cui si basa il nostro quotidiano ma che avesse comunque un mercato possibile. Escluso le pompe funebri, che come è noto non conoscono crisi, ci siamo buttati su ristorazione e turismo».
La storia però, nonostante la naturalezza, è molto ben strutturata e pianificata.
Come racconta Bressanello, «Ad un certo punto avevamo chiaro di voler costruire un ristorante dedicato ai ragazzi con un passato complesso. Da desiderio è diventato progetto vero e proprio con il primo concorso di Make a Change che abbiamo avuto la fortuna di incontrare nel nostro percorso. Partecipammo tra i 50 progetti su scala nazionale e nella finale a Milano vincemmo un assegno di 30mila euro».
Quell'assegno oggi è appeso all'ingresso del ristorante, e accoglie tutti i clienti. Quella fu oltre che un'iniezione di denaro, che è sempre necessario, anche un’iniezione di fiducia. «Abbiamo capito che non era solo carta quella che avevamo progettato ma si poteva realizzare. Anzi a dirla tutta a quel punto si doveva obbligatoriamente tradurre in realtà», ride Bressanello.
Nonostante le difficoltà e lo scoglio di un lavoro che nessuno sapeva fare nel giro di un anno La Locanda dei Buoni e Cattivi apre. «Nel 2011 abbiamo aperto ma è stato il 2012 il primo anno di attività», sottolinea il presidente, «Facemmo apprendistato invitando solo gli amici, offrendo pasti a offerta libera, dandoci così la possibilità di sbagliare e imparare. Un’iniziativa che ha funzionato molto bene facendo crescere i ragazzi senza paure».
Ma il percorso della locanda è fatto di incontri. Dopo Make a Change arriva Roberto Pezza, uno tra i migliori cuochi in Italia, uno da tre stelle Michelin. «Ci ha dato pro bono una grande mano nella formazione dei ragazzi e nella costruzione e organizzazione della cucina», sottolinea Bressanello, «Ci ha fatto passare dalla semplicità alla creatività, da ciò che è semplice e facile a ciò che è nuovo e difficile».
Alla Locanda presto si aggiungono alcune camere, sempre gestite dai ragazzi, come ricettore turistico legato al ristorante. «Le camere sono iniziate ad andare sempre meglio, e così si sono aggiunti degli appartamenti. Oggi abbiamo un'impresa che, a 3 anni dalla nascita, si può permettere una clientela affezionata, e ha vinto un certo numero di premi prestigiosi, da Slow Food al Turing Club passando dal Gambero Rosso».
Spesso chi pensa ad un ristorante in cui lavorano ragazzi con problemi pensa a qualcosa di poco professionale e non remunerativo. E invece la Locanda fa le cose sul serio. «I ragazzi impiegati sono 20, e sono quasi tutti contratti a tempo indeterminato. C’è qualche tirocinio formativo che tende a ruotare. Ogni anno facciamo circa 400mila euro di fatturato complessivo. In continua e costante crescita. Sempre più spesso, da diverse zone d’Italia, ci chiedono di replicare il modello. Per ora abbiamo sempre declinato gli inviti perché ci piace muoverci con i piedi di piombo. Ci piace fare le cose fatte bene. Quest’anno forse saremo pronti. Si vedrà».
Ad essere vincente è l'approccio serissimo al lavoro. I ragazzi si suddividono in brigate da un minimo di due componenti ad un massimo di sei, sia in cucina che in sala, che si alternano su pranzi e cene. Le ragazze madri per lo più si occupano di gestione economica e del settore alberghiero.
E poi ancora incontri importanti.
«Cristobal Colòn non lo conoscevo», racconta Bressanello, «Ci incontrammo sul palco di una premiazione all’Istituto dei ciechi a Milano. Un ricordo molto bello, non tanto perché vincemmo, ma per la visita con il percorso al buio che condividemmo con i ragazzi che erano venuti». Ma la differenza la fa quello spagnolo trovato sul palco. «Cristobal è un grande imprenditore e un grande psichiatra. Uno che ha radunato 250 dei suoi “pazzerelli” e ci ha fatto un caseificio, La Fageda, che oggi è il terzo produttore più importante di Spagna. E non si parla solo di quantità ma anche e soprattutto di qualità. Noi ci chiamiamo “Domus de Luna” perché quando raccontavamo il nostro progetto ci dicevano che volevano la luna. Cristobal è stata la certezza che si può volere la luna, che quello che volevamo fare è possibile».
L'ultimo degli incontri importanti è stato con la disabilità. Alla Locanda infatti, ad un certo punto, si è deciso che oltre ai ragazzi problematici e alle ragazze madri ci fosse spazio anche per l'inserimento lavorativo di persone con disabilità. «Un disabile dà un punto di vista, una profondità semplice e una sensibilità unici», spiega Bressanello, «Inutile nascondersi, non è stato facile introdurli. C’era il pregiudizio», conclude, «ma oggi chi tocca uno dei nostri ragazzi se la passa brutta. È diventata una famiglia».
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