Non ci sono applausi fragorosi, c’è il fruscìo di mani che si alzano e si muovono veloci. Non c’è un unico relatore sul podio, c’è un lavoro di squadra che comprende sottotitoli e grande schermo, audiodescrizione delle immagini, percorsi pedotattili e due persone che traducono in lingua dei segni una di fronte all’altra con la tecnica del feeding, un ponte tra interpreti udenti e interpreti sordi che è in grado di creare uno stile narrativo più fluido per il pubblico sordo. Qui nessuno è escluso. Non potrebbe essere altrimenti in un convegno pensato per parlare di progetto di vita, di libertà e diritti delle persone con disabilità. Siamo a Torino, Nuvola Lavazza, il quartier generale della nota azienda produttrice di caffè. E la location non è un caso.
Questa struttura poliedrica, nata a fine Ottocento come centrale elettrica nel quartiere Aurora, è un luogo in movimento, aperto alla città e alle sue tante anime. Il 10 e l’11 giugno c’è un convegno internazionale che fin dal titolo – Su base di uguaglianza – si porta dentro la vocazione della Fondazione che lo ha promosso insieme all’Università degli Studi di Torino e in collaborazione con l’Istituto dei Sordi. Si chiama Time2, realtà che in pochi anni ha saputo diventare un riferimento nella costruzione di percorsi per una piena inclusione dei giovani con disabilità intellettiva e relazionale nel passaggio alla vita adulta.

Disabilità, diritti e libertà sono tre fari accesi oggi sul palco. Samuele Pigoni, segretario generale di Time2, lo ripete più volte: «Non siamo a Torino, su questi temi siamo nel mondo». È lì che conducono i relatori (alcuni in video): dalla ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli a Nawaf Kabbara, presidente dell’Alleanza internazionale sulla disabilità, da Inmaculada Placencia Porrero (Commissione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità) a Nadia Hadad (Forum europeo sulla disabilità) a Giampiero Griffo (Disabled People’s International). La plenaria è un susseguirsi di voci sul tempo che stiamo vivendo: «Abbiamo cercato di far incontrare tutti i soggetti necessari ad accompagnare il cambiamento della riforma della disabilità disegnata dalla legge delega 227 del 2021: amministratori, tecnici, attiviste, attivisti, associazioni, famiglie, enti del Terzo settore, chi studia e chi ha messo in campo sperimentazioni e pratiche vincenti attorno al progetto personalizzato e partecipato di vita». Manuela e Antonella Lavazza, esponenti della quarta generazione della famiglia che ha fondato e accompagnato la crescita di un marchio riconosciuto in Italia e nel mondo, hanno dato vita a Fondazione Time2 proprio con questo obiettivo: ascoltare i bisogni e connettere interlocutori, rispondere alle esigenze attraverso esperienze, occasioni di scambio e confronto.
Due sorelle e un’idea di inclusione
«Tutto è nato da un bisogno reale, intercettato nei territori e nelle storie delle persone che li vivono», raccontano le due fondatrici. «Le statistiche lo dimostrano: i giovani con disabilità che lavorano, che abitano dove preferiscono, che partecipano alla vita culturale, che votano sono molti meno rispetto ai loro coetanei che non vivono condizioni di disabilità. Il passaggio all’età adulta è un momento di rottura, spesso segnato da una solitudine istituzionale e culturale, soprattutto per le persone con disabilità intellettiva e relazionale. Quando un giovane con disabilità si affaccia al periodo della vita nel quale ognuno e ognuna progetta il proprio futuro, incontra molte barriere e diseguaglianze di opportunità. La nostra attenzione nasce da qui: dall’ascolto di ciò che mancava e dal desiderio di costruire contesti diversi che favorissero un’idea di inclusione parametrata sulle opportunità di qualunque cittadino o cittadina».
Un’azienda dalla spiccata vocazione sociale. Come si legano queste due anime? «L’impegno imprenditoriale ci ha insegnato il valore della progettualità, del lavoro di squadra, della visione di lungo periodo», Manuela Lavazza, presidente. «La fondazione nasce da una domanda profonda: come possiamo restituire qualcosa al mondo, non solo in termini economici, ma di senso e giustizia? Abbiamo voluto che Time2 fosse un soggetto filantropico nuovo: vicino alle persone, radicato nei territori, capace di innovare».
Aumentare la capacità di dire io
Una realtà che costruisce cambiamento, che prova a incidere sui contesti e a trasformarli: «Abbiamo lavorato, anche assumendoci alcuni rischi, su ciò che mancava, sulla distanza che a volte esiste tra i bisogni delle persone e il sistema delle risposte. Questo ha a che vedere con lo “spirito imprenditoriale”: l’imprenditore è qualcuno che dà voce alle esigenze delle persone cercando risposte dove altri non le cercano e quindi non le vedono. È quello che ad esempio stiamo facendo con i gruppi che accompagnano le persone con disabilità intellettiva e relazionale nel percorso di autorappresentazione. Possiamo tradurre come: “aumentare la capacità di dire io”».
Ma c’è un altro elemento di collegamento con la storia imprenditoriale della famiglia. È il lavoro: «Troppi giovani con disabilità non lavorano e questo è un tema che coinvolge la responsabilità dell’intero settore produttivo e delle imprese», riflette Antonella Lavazza, vicepresidente Fondazione Time2. Una delle sessioni parallele dei tavoli pomeridiani è proprio dedicata al diritto al lavoro: «Come dice la Convenzione Onu, i diritti sono da esigere su basi di uguaglianza e pari opportunità. Abbiamo iniziato a operare in Val Susa, un’area montana in cui la distanza geografica dai centri urbani spesso amplifica le difficoltà. Casa Mistral, la nostra sede a Oulx, è diventata un laboratorio di comunità. Io e mia sorella siamo affezionate a quel territorio da un punto di vista personale ma non dobbiamo dimenticarci che il 65% della Città metropolitana di Torino è costituita da territori montani e che lo sviluppo oggi passa anche dalla rivalorizzazione delle aree interne».
Tra ostacoli e sfide
Chi si occupa di disabilità e diritto alla vita indipendente deve affrontare ostacoli e sfide. «Gli ostacoli sono culturali e strutturali», spiegano le sorelle Lavazza. «Esiste ancora un’idea assistenzialista, che vede la persona con disabilità come fragile e da proteggere più che come cittadina o cittadino titolare di diritti. Anche nei contesti che si dichiarano inclusivi, spesso manca l’ascolto autentico del desiderio di autodeterminazione. Il progetto di vita è lo strumento più potente per combattere queste resistenze, ma per funzionare ha bisogno di contesti attrezzati, flessibili, umani. Ancora oggi, molte famiglie si trovano sole a navigare tra burocrazie e servizi che non comunicano».

Una fondazione come Time2 può assumere il ruolo di bussola? «Noi lavoriamo per creare alleanze educative, sociali e istituzionali, affinché l’uguaglianza sia un fatto, non solo un principio. Per fortuna stiamo vivendo un momento nel quale questi temi sono molto presenti all’attenzione delle istituzioni e della società civile. La nuova legge di riforma in materia di disabilità, va proprio in questa direzione: un welfare centrato sul progetto personalizzato, partecipato e su base comunitaria. Stiamo seguendo con molta attenzione gli sviluppi della sperimentazione e ci auguriamo che segni un vero spartiacque nella vita delle persone».
Mauro Palma, presidente del centro di ricerca European Penological Center del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, nella prima plenaria del 10 giugno ha sottolineato come ognuno di noi sia «implicitamente portatore di ostacoli. È nostro compito rimuoverli». Come si mettono in discussione i modelli tradizionali? «La vita indipendente non è solo una questione di assistenza o abitazione: è una questione di libertà», dice Manuela Lavazza. «E la libertà richiede contesti, risorse, fiducia, politiche pubbliche coerenti. La sfida più grande è creare un ecosistema in cui ogni persona, con i suoi tempi e le sue caratteristiche, possa immaginare e costruire il proprio percorso. È un processo lungo, ma necessario. Vogliamo continuare a esserne parte attiva».
Le parole per dirlo
Ci sono parole che ritornano alla Centrale Nuvola Lavazza: cambiamento, narrazione, autodeterminazione. «Il cambiamento è la nostra vocazione», spiega Antonella Lavazza. «È quello che ci chiedono le famiglie, le persone giovani, le comunità. Ma il cambiamento non si realizza in astratto: ha bisogno di luoghi capaci di accoglierlo. Da qui l’attenzione per spazi come Casa Mistral a Oulx (piccolo comune montano a 1100 metri di altitudine, nda) e Open in una città come Torino, che non sono soltanto sedi, ma ambienti di relazione e co-costruzione. Nell’ambito della disabilità il cambiamento di sguardo cui stiamo contribuendo è trasversale. Per questo la narrazione è un tema centrale: vogliamo raccontare storie diverse, che rompano gli stereotipi di persone con disabilità da compatire o da celebrare come supereroi. Vogliamo raccontare storie di rimozione di barriere e di progetti di vita ordinaria e proprio per questo importanti e uniche». E l’autodeterminazione? «È il nostro orizzonte culturale: ogni persona ha diritto a progettare il proprio futuro, e il nostro compito è quello di sostenere questa possibilità. Anche quando è difficile. Anche quando non è immediatamente visibile nella sua realizzabilità. Su questo è fondamentale lavorare alla progettazione universale e ai sostegni adeguati alle caratteristiche di ognuno».
Secondo le sorelle Lavazza, oggi la filantropia ha il compito di «uscire dalla logica riparativa e diventare generativa. Non si tratta di “fare beneficenza”, ma di incidere nelle cause strutturali delle disuguaglianze. La filantropia deve saper connettere persone, linguaggi, mondi diversi. Deve essere laboratorio, antenna e alleata del cambiamento. Vogliamo far parte di un Terzo settore che si muove, che cerca approcci più partecipativi, più coraggiosi, più capaci di “trasformare” e non soltanto “intervenire”».
«Adesso sono quella che parla di più»
Un’imprenditoria che cammina accanto alle persone incontra tante storie. «Ho impressa nella mente una ragazza che ha partecipato al nostro gruppo di self-advocacy», ricorda Antonella Lavazza. «All’inizio era timida, quasi invisibile. Poi ha preso parola in pubblico, in occasione di alcuni eventi, parlando dei suoi diritti. Ha detto: “Adesso sono quella che parla di più”. È un piccolo fatto, ma racconta tantissimo di cosa può significare dare voce alle persone».
Poi aggiunge. «Penso a un genitore, dopo la nostra Summer School sulla legge delega 227/2021 in materia di disabilità, che ci ha scritto: “Sono partito pensando a mio figlio, sono tornato pensando anche a me”».
Le fotografie sono di Paolo Properzi per Fondazione Time2
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