Numeri da capogiro, il primo tennista italiano che conquista il titolo delle Nitto ATP Finals senza perdere un set, i Carota Boys che fanno il tifo in mezzo a un pubblico perfetto. Jannik Sinner continua a vincere, ma di tutte le immagini che da Torino si sono rincorse dentro piccoli e grandi schermi, quella che più resta non è la sua foto mentre alza la coppa. È il visino dolce di una bambina di 7 anni che, nella divisa con il cappellino blu, stringe la mano del numero 1 al mondo e gli fa due domande semplici e potenti. «Hai paura? Puoi vincere?». Le risposte restituiscono un Sinner fallibile nella sua perfezione atletica («Sì, ho paura»). È “l’effetto Francesca”, anche se di nomi ne dovremmo scrivere 27 perché 27 sono i bambini scesi in campo per accompagnare i campioni in partita: fanno parte della grande famiglia Ugi, Unione Genitori italiani contro il tumore dei bambini, scelta da Nitto come charity partner. «Un momento di spensieratezza e speranza dopo la lunga e difficilissima malattia», scrive l’organizzazione di volontariato sul sito. Un’opportunità incredibile, per tutti noi, per riflettere su quante cose significhi vincere.
27 case in una grande Casa
«C’è un’energia positiva qui». Non c’è definizione migliore per Ugi. Arriva alla fine di un pomeriggio di incontri e racconti nei luoghi in cui si dipana una realtà nata nel 1980 dall’intuizione (e dall’esigenza) di un gruppo di genitori. Offrire sostegno in varie forme – attività didattiche e ludiche, trasporto, assistenza nella gestione delle pratiche burocratiche, ospitalità – alle famiglie dei bambini e dei ragazzi in terapia presso il Centro di Oncoematologia pediatrica dell’ospedale infantile Regina Margherita di Torino. Oggi è una tela di persone e spazi, luminosi e creativi, che è cresciuta nel tempo fino ad assumere la struttura attuale: un centro amministrativo, riabilitativo e di sperimentazione in corso Dante, una casa di accoglienza e ospitalità in posizione strategica rispetto all’ospedale in quella che era in origine la partenza della monorotaia costruita per Italia ‘61.
Nella vecchia stazione, con la sua forma e le vetrate distintive, sono stati ricavati 21 alloggi a cui da qualche anno ne sono stati aggiunti sei in un edificio poco distante. «La richiesta di accoglienza cresce, e noi ci siamo», spiega il presidente Enrico Pira, nel direttivo Ugi da una ventina d’anni. «Per capire la nostra realtà bisogna conoscerla. Qui c’è qualcosa di diverso, è l’urgenza con cui guardiamo al bisogno di un’ospitalità duratura, protetta e di qualità, di una famiglia con bambini che hanno ricevuto una diagnosi di questo tipo. È la stessa urgenza che abbiamo vissuto sulla nostra pelle e che non dimenticheremo mai». La voce di Pira non è soltanto quella del presidente, è anche la voce del papà di un ragazzino (oggi giovane uomo) che grazie alle terapie ha superato la malattia. Lo Statuto di Ugi prevede infatti che soltanto i genitori di bambini che abbiano vissuto un’esperienza simile possano assumere il ruolo di presidente nel consiglio direttivo. «Nella storia di una famiglia, la malattia di un bambino è un elemento che cambia gli equilibri per un periodo dilatato nel tempo, durante il quale la quotidianità viene regolata dalle terapie e dai ricoveri. In questi momenti tutta la famiglia deve essere aiutata ad affrontare prove che hanno bisogno di grande coraggio e che richiedono pesanti sacrifici. Noi dell’Ugi lo facciamo in tutti i modi necessari».
Esserci. Dal 2006 a oggi, Casa Ugi è stata accanto a qualche decina di migliaia di famiglie da tutto il globo («Capita di avere provenienze da tre continenti in contemporanea»), con cestino della spesa, trasporto e supporto grazie a una rete capillare di oltre 200 volontari, 14 dipendenti e un’ottantina di soci. Nei locali di corso Dante, dal 2018 è nata Radio Ugi, una web radio che è ponte «tra i nostri ex ricoverati e i piccoli che ora stanno affrontando le terapie: in diretta con l’ospedale i bambini di ieri rispondono alle domande dei bambini di oggi, li tranquillizzano e li motivano». Non solo. Nel mondo di Ugi c’è tantissimo sport: «Abbiamo una squadra di calcio, 100% Ugi, che è diventata famosissima, allenata dal Torino Calcio». E poi c’è un luogo pensato per il dopo guarigione, si trova a pochi metri dalla radio, vicino al laboratorio dove si realizzano i regali solidali. Pira ce la mostra con orgoglio, «una nuova palestra eccezionale, con macchinari d’avanguardia, fisioterapisti, psicologi e logopedisti per sostenere le famiglie anche nel percorso di ritorno alle abitudini pre-diagnosi». Anche se l’iniziativa che più di tutte secondo lui ha inciso sulla qualità della vita di genitori e bambini è il servizio infermieristico a domicilio.
«Avere paura è come rimanere fermi in un buco nero»
Francesca ha quasi 10 anni, ama la danza e suona il violino: giovedì, di fronte al pubblico dell’Inalpi Arena, ha stretto la mano di Alex De Minaur. La sua mamma si chiama Clara Messina e quando racconta la storia clinica di sua figlia, oggi un ricordo del passato, piange: «Quando diventi mamma, ti abitui a convivere con l’aver paura, ma ai miei bambini dico sempre che nella vita si può vincere». Su che cosa significhi vincere, risponde il marito: «Tornare a casa la sera e poter stare insieme, tutti e cinque. Io e la paura siamo due fratelli: a volte ce l’ho davanti, altre volte mi sta dietro o si siede accanto. Però la affronto». «Avere paura è come rimanere fermi in un buco nero», aggiunge Francesca. «Me lo ha detto la maestra».
Anche Samuele ha quasi 10 anni e una passione per il calcio. Ha l’ironia di papà, Ciro Ciaravolo, e la dolcezza di mamma Francesca. Lunedì scorso ha accompagnato in partita il tedesco Alexander Zverev e si è fatto un’idea su cosa serva per giocare bene a tennis: «L’allenamento, la concentrazione ma soprattutto il silenzio». Alla sua mamma non piace la parola vincere, «non la uso mai» (anche per loro il ricordo del ricovero ha a che fare con il passato). Il papà, di fronte alla possibilità di vincere – sul lavoro, nelle relazioni, nella vita – risponde esattamente come Sinner: «Ci provo».
Il sorriso di un bambino felice produce energia
Da quattro anni i bambini di Ugi solcano i campi delle Atp Finals a Torino con il loro sguardo libero: «Sorprendono perché portano tutta la loro spontaneità», riflette il presidente Pira. «L’anno scorso un bambino ha chiesto a Novak Djokovic di regalargli una racchetta, un altro, rivolto a Sinner, l’ha incoraggiato così: “Forza, ti dò tutto il mio coraggio”. Noi non cerchiamo nulla al di fuori del benessere dei bambini e delle loro famiglie. Il sorriso di un bambino felice produce energia».
Fuori è già buio. Con Domenico De Biasio, vicedirettore Ugi, saliamo le scale. C’è una vetrata di fronte alle porte degli alloggi per le famiglie ospitate. Si affaccia su un piccolo parco giochi con un murales colorato e una scritta al centro. L’ha lasciata lì, otto anni fa, una ragazza prima di rientrare a casa. Vietato smettere di sognare.
Nell’immagine in apertura, Jannik Sinner entra in campo con Valentina (foto di Siobhan Hennessy). Le altre immagini sono dell’autrice
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