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«Io, donna, nera e romana, vi racconto la città accessibile»

di Alessio Nisi

Kwanza

Kwanza Musi Do Santos, 30 anni, è attivista e cofondatrice di Questa è Roma, associazione a difesa delle comunità marginalizzate della città, che nelle scorse settimane ha compiuto dieci anni di attività

Kwanza Musi Do Santos, 30 anni, è attivista e cofondatrice di Questa è Roma, associazione a difesa delle comunità marginalizzate della città, che nelle scorse settimane ha compiuto dieci anni di attivitàItalo-afro-brasiliana, afrodiscendente, diplomata al liceo linguistico, laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, un master in Management of diversity, Kwanza Musi Do Santos ha raccontato che “Questa è Roma” è nata dalla volontà di dare una voce a quei marginalizzati (per origine, ma non solo) e di renderli protagonisti della comunità e della loro narrazione. Non più quindi oggetti di un racconto, ma soggetti, parte attiva. Diversità: è questo a voler sintetizzare al massimo il termine che dà il senso (e ha dato una direzione) all’associazione. Diversità: che poi è la volontà di rappresentare l’anima più variegata della città e dove questa spinta si è affievolita di rimetterla in piedi. Con la consapevolezza che, minoranza e spesso senza diritto di voto, la strada è una: stringersi e collaborare. Come? Ce lo ha raccontato proprio Kwanza, tra aneddoti, romanità e frontiera, a San Lorenzo, durante “Nero è il colore dell’amore”, appuntamento organizzato dall’associazione.

Come e perché ha deciso di impegnarsi come volontaria?

Avevo 20 anni (ora ne ho 30) quando ho fondato questa associazione ed è successo un po’ per caso un po’ per destino. I miei genitori erano attivisti nei loro paesi di origine: mio papà è brasiliano, afrodiscendente, mia mamma è bolognese e si sono incontrati in Brasile. Hanno vissuto per un decennio in Germania, dove sono nata io. Ad un anno sono venuta in Italia e sono cresciuta a Roma, a Torpignattara, in un contesto veramente multi etnico. Fin da piccola mi sono sempre trovata in situazioni di ingiustizia e a difendere persone fragili in situazioni vulnerabili. Per me quella era la normalità.

Kwanza in lingua swahili vuol dire “primo frutto del raccolto”. Me lo ha dato mio papà per onorare le origini africane della nostra famiglia

Kwanza Musi Do Santos

Per lei, ma per gli altri?

Crescendo mi sono resa conto che quella che io vivevo come normalità, per altri era impedimento e disagio. Quindi mi sonoe trovata a fare da ponte. A 20 anni mi sono candidata al primo municipio come consigliera, ma non sono stata eletta. Poi al Pigneto ho incontrato altri attivisti e da lì è iniziata l’avventura di “Questa è Roma”. Sono donna, sono nera, con me non si scherza: non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno. Ho messo la mia determinazione a disposizione dei più fragili e di chi non ha la mia tenacia.

Come definirebbe “Questa è Roma”?

Un’associazione culturale e sportiva fondata da un gruppo di giovani italiani di origine straniera provenienti da diversi contesti socio-culturali e diversi Paesi e con diverse professionalità che hanno deciso di mettersi insieme per creare un uno spazio di interazione e cittadinanza attiva per i giovani e per le persone marginalizzate. Contro tutte le discriminazioni.

Fra le vostre iniziative?

Sicuramente “l’Asia e l’Africa che non si vede in tv”: due format in cui invitiamo relatori provenienti dai diversi paesi del continente a parlare su temi come la storia, la sessualità, il lavoro. Nelle scuole poi facciamo formazione sui temi della discriminazione con un approccio interattivo e stimolante. L’ultimo arrivato è “Nero è il colore dell’amore”, progetto che vuole lavorare sulla costruzione di una nuova narrazione legata alle persone nere, non solo legata a crimini e traumi ma anche all’amore e all’affetto.

città

Come siete organizzati?

Siamo circa 15 nel gruppo organizzativo e 300 soci. Su Roma abbiamo una rete molto capillare. Il nome? È il titolo di un pezzo di Amir Issaa, rapper italo egiziano di Torpignattara, anche lui tra i fondatori dell’associazione. Nel suo brano non si chiedeva di essere riconosciuti come parte della città, noi te lo sbattiamo in faccia che Roma è così: multiculturale, aperta, poliedrica, interattiva. E la costruiamo insieme.

Com’è cambiato, se è cambiato, il rapporto di Roma con la discriminazione?

In dieci anni la città è cambiata sì, in peggio. I nostri genitori facevano militanza per i permessi soggiorno e i documenti. Noi, figli di immigrati, non sentiamo di dover chiedere di rimanere. Siamo già parte integrante della comunità. Però abbiamo un problema con il razzismo: il nostro obiettivo sono i diritti. Per questo con l’associazione ci mettiamo a disposizione dei figli degli immigrati.

Ci sono zone della città che secondo lei che sono più critiche di altre e su cui il lavoro da fare in termini di accessibilità è più forte?

La parola chiave è proprio accessibilità. Nel momento in cui un luogo, uno spazio, una comunità è accessibile a tutte e tutti, le persone scelgono se accedervi o meno. Sì, in questo senso, a Roma ci sono zone più critiche di altre e dove la non accessibilità è legata all’assenza o alla scarsità di servizi (anche per spostarsi). Direi che il tema vero è la coesione territoriale e la connessione tra un quartiere e l’altro.

Può fare un esempio?

L’ufficio immigrazione si trova a Tor Sapienza, una zona complicatissima da raggiungere con i mezzi. Dovrebbe essere in centro, come l’anagrafe. Invece è relegata anche spazialmente ai margini.

In che modo sostenete chi vi chiede aiuto?

Molti figli di immigrati non hanno la cittadinanza italiana e la legge che disciplina la materia è un disastro. Quindi si trovano a dover chiedere il permesso di soggiorno, nonostante siano nati in questa città. Ecco, noi funzioniamo come uno sportello informazioni e abbiamo anche degli avvocati affiliati che offrono consulenze gratuite. Siamo di base a “Matemu”, uno spazio del Cies, in cui si tengono attività culturali e artistiche nel doposcuola per ragazzi dagli 11 ai 27 anni.

Informazioni, aiuto. Fate rete.

Sì, oltre al sostegno legale e informativo, cerchiamo anche di dare un aiuto emotivo. Vuol dire ascoltare, accogliere e farti capire che non sei da sola o solo e non sei l’unica o l’unico a stare in questa situazione. Facciamo tantissimi eventi di sport e cultura, perché crediamo che, grazie al loro linguaggio universale, questi siano tra gli strumenti più democratici e più in grado di abbattere barriere assurde.

In apertura Kwanza Musi Do Santos, nel testo “Nero è il colore dell’amore”, appuntamento di networking organizzato dall’associazione Questa è Roma (foto Alessio Nisi)


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