Semia Gharbi

La Terra è una, per questo la difesa dell’ambiente non ha confini

di Elisa Cozzarini

C'è un'insegnante tunisina tra gli attivisti che hanno ricevuto il Premio Goldman per l'ambiente quest'anno. Grazie alla sua tenacia e competenza, ha saputo portare avanti una campagna di sensibilizzazione sul traffico illecito di rifiuti tra Italia e Tunisia. Ha fatto la differenza, ha mobilitato la società civile e le istituzioni su entrambe le sponde del Mediterraneo, tanto da far cambiare le regole dell'Ue nel senso dell'economia circolare. «I Paesi del Sud globale non devono diventare la discarica del Nord ricco»

«È favoloso: impegnarsi per l’ambiente è diventata un’occupazione così nobile, capace di unire persone di diverse culture, religioni, lingue, verso l’unico obiettivo di proteggere la salute umana e la natura», ha detto l’insegnante e attivista tunisina Semia Gharbi durante la cerimonia del Premio Goldman, a San Francisco, in occasione della Giornata della Terra. Ogni anno, il riconoscimento celebra i risultati e la leadership di ambientalisti provenienti da tutto il mondo, persone che diventano fonte di ispirazione per l’azione dal basso in difesa del pianeta. Gharbi è una dei sei premiati nel 2025, per la campagna di sensibilizzazione con cui è stata capace di accendere i riflettori su un traffico illecito di rifiuti dall’Italia alla Tunisia: 282 container pieni di rifiuti urbani fatti passare come plastica riciclabile nel 2019. Grazie alla pressione della società civile sulle due sponde del Mediterraneo, nel febbraio 2022 le circa seimila tonnellate di immondizia sono ripartite dal porto di Sousse, per tornare in Italia. Nei due Paesi sono state arrestate complessivamente quaranta persone. Proprio in seguito a questi fatti, a novembre 2023 l’Unione europea ha reso più stringenti le regole sull’esportazione di rifiuti, puntando piuttosto sull’economia circolare nell’ambito del Green deal.

Secondo le stime dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – Ocse, nel 2020 gli Stati ricchi hanno esportato illegalmente 1,7 miliardi di tonnellate di rifiuti verso i Paesi del Sud globale. L’azione di Semia Gharbi, con la sua ong Association of environmental education for future generations e con Green Tunisia network, una rete di oltre cento ong ambientaliste tunisine, ha contribuito a far venire a galla un fenomeno che l’attivista tunisina considera una nuova forma di colonialismo: la trasformazione del Sud globale in discarica del Nord ricco.

Semia Gharbi, ci racconti qualcosa di sé…

Ho una formazione scientifica. L’approfondimento sulle sostanze chimiche inquinanti hanno dato inizio alla mia carriera in ambito ambientale. Ora sono coordinatrice per il Medio Oriente e il Nord Africa della rete internazionale per l’eliminazione degli inquinanti: International pollutants elimination network – Ipen. Facciamo pressione per l’adozione di convenzioni internazionali che limitino l’utilizzo dei prodotti chimici, che affrontino la questione dei contaminanti emergenti. Attraverso l’educazione ambientale e il sostegno alle donne in ambito rurale, agiamo per la riduzione dell’uso di pesticidi in agricoltura. Come insegnante, sono convinta che l’educazione sia uno strumento fondamentale per cambiare il comportamento delle persone nel segno della sostenibilità e della cittadinanza attiva. Lavoro in una scuola secondaria, con ragazzi dai dodici ai sedici anni: in questa fascia d’età, con la scienza e la pedagogia, si possono davvero dare delle buone basi e fare la differenza nella crescita di cittadini più responsabili e consapevoli.

Semia Gharbi, foto Goldman Environmental Prize

I suoi studenti devono essere orgogliosi di avere un’insegnante che ha vinto un premio internazionale.

Credo di sì. Ma la cosa più importante non è che ricordino il mio nome. Conta il risultato dell’impegno, comprendere che lavorare per gli altri e la collettività fa stare bene.

Lavoro in una scuola secondaria. Con gli adolescenti, grazie a scienza e pedagogia, si può davvero fare la differenza nella crescita di cittadini più responsabili e consapevoli.

Semia Gharbi, insegnante e attivista ambientale

Si potrebbe pensare che l’ambiente non sia il primo dei problemi in un Paese come la Tunisia o in altri Stati africani, che ne dice?

La questione ambientale tocca diversi ambiti e discipline. Certamente si declina a seconda della vocazione del Paese, se è industrializzato o in via di sviluppo… Ma gli inquinanti chimici interessano praticamente tutti i settori. Come dappertutto nel mondo, anche in Tunisia utilizziamo sostanze che presentano rischi per la salute umana e per l’ambiente. Con la mia associazione, lavoriamo con un approccio dal locale al globale, e viceversa. Cerchiamo di rendere visibile ciò che non lo è. I consumatori, nella maggior parte dei casi, non sanno cosa si trova nei prodotti che acquistano e mettono in tavola. L’informazione è cruciale, perché la scienza dimostra molto chiaramente che una lunga lista di prodotti chimici implica rischi legati all’utilizzo e all’esposizione. Molti sono considerati interferenti endocrini, legati allo sviluppo di diverse malattie.

Quando ha ricevuto il Premio Goldman, ha detto che lavorare per l’ambiente unisce le persone. Perché?

Nella mia esperienza ventennale a livello internazionale, ho visto persone da tutto il mondo condividere lo stesso impegno. C’è un solo pianeta, ci sono ecosistemi che condividiamo e che dovremmo difendere. Quando si affrontano questioni ambientali non ci sono confini né differenze. C’è un solo obiettivo: proteggere l’umanità ovunque si trovi, che sia in un Paese sviluppato o in via di sviluppo. Ciò che importa è la salute e il diritto di vivere in un ambiente sano.

Semia Gharbi, foto Goldman Environmental Prize

Lei è stata premiata a proposito del traffico illegale di rifiuti dall’Italia, per la capacità di suscitare la reazione delle istituzioni sulle due rive del Mediterraneo. Un’impresa davvero eccezionale: come ha fatto?

Lo dico sempre: quando si lavora per l’ambiente non c’è mai un “io” ma sempre un “noi”. Solo con un impegno collettivo e globale si possono raggiungere risultati. Come società civile tunisina siamo stati a fianco del nostro governo e abbiamo avuto un sostegno incondizionato dalla società civile italiana e internazionale. È stata un’unione di competenze, si è creata una sinergia in cui ciascuno ha fatto la sua parte. Erano state violate le regole internazionali stabilite dalle convenzioni di Basilea e Bamako, e nazionali, visto che la Tunisia vieta l’importazione di rifiuti urbani dall’estero. Come ong tunisine consideriamo inaccettabile ricevere rifiuti da altri Paesi. Per questo ci siamo impegnati per la restituzione all’Italia. I rifiuti dovrebbero restare dove sono stati prodotti, tanto più che provenivano da un Paese sviluppato, con la capacità di gestione e la tecnologia adeguata. E allora perché questo traffico? È un fenomeno che osserviamo da decenni, non solo in Tunisia. Interessa soprattutto i Paesi africani. A volte, dopo molto tempo, si riesce a rimandare l’immondizia al mittente, ma nella maggior parte dei casi resta, viene incenerita o finisce in discarica, con conseguenze per la salute della popolazione locale. Chiediamo la fine di questa forma di colonizzazione dei rifiuti.

Il traffico illegale dall’Italia, dunque, non è stato un caso isolato. Cosa possiamo fare noi, come cittadini, in Europa?

Per prima cosa è importante che ciascuno sia cosciente di dove vanno a finire i propri rifiuti. Ma non basta: bisogna limitare la produzione. Anche i Paesi industrializzati sono ormai sommersi di scarti e la capacità di smaltimento è diminuita. La popolazione deve essere consapevole che c’è una sovrapproduzione e non si può spostare il problema facendolo ricadere su altri.

Semia Gharbi, durante la premiazione del Goldman Environmental Prize

Che significato ha per lei il Premio Goldman?

È il coronamento di un percorso, ci arricchisce e valorizza quello che abbiamo fatto. Per me, personalmente, riceverlo è stata una bellissima sorpresa. Ma ora sento ancor più la responsabilità di andare avanti. L’impegno per l’ambiente non si interrompe mai. Da insegnante, lo considero un dovere nei confronti delle giovani generazioni. E sento il dovere di dare il massimo, perché ho conoscenze scientifiche che vanno diffuse e condivise il più possibile.

Tutte le foto sono del Goldman Environmental Prize

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