Un libro polifonico, che raccoglie le voci di «tipi umani particolarmente strani», che si raccontano e lasciano intravedere il loro sguardo sul mondo. È questo l’Almanacco Tups 2022 (Lem), curato da Enrico Valtellina, esperto di disability studies con all’attivo diversi libri sull’argomento, e realizzato in collaborazione con Neuropeculiar, il Movimento per la biodiversità neurologica a guida totalmente neurodivergente. «Questo testo», si legge in quarta di copertina, «è qualcosa di assolutamente diverso da qualunque altra cosa a tema autismo, non parla di diagnosi, comportamenti problema, tecniche riparative. In effetti non parla nemmeno di autismo, la “A word” è alle spalle, non ha più niente da dirci». Si va quindi al di là dello spettro, in una dimensione in cui le individualità trovano lo spazio per esprimersi e raccontarsi a modo loro. Ne abbiamo parlato con Valtellina, che ci ha raccontato la genesi e lo sviluppo di questo singolare volume.
Com’è nato l’Almanacco Tups?
Nel tempo io ho coltivato tanti progetti editoriali sui disability studies. Quando sono venuto a contatto con Neuropeculiar e con Autcamp (conferenza di due giorni a tema autismo che è ormai diventata appuntamento annuale dell’associazione, ndr) ho provato a proporre che alcuni partecipanti all’evento si raccontassero, con la propria voce, in un testo scritto. Neuropeculiar ha quindi fatto suo questo progetto e ci abbiamo lavorato insieme.
C’è stata partecipazione?
Io ho lanciato un sassolino nello stagno ed è partito uno tsunami: hanno preso parte all’iniziativa una quarantina di persone. La maggior parte degli autori si colloca in diversi punti dello spettro, ma ci sono anche alcuni non certificati. Ciascuno ha parlato di qualcosa che gli stava a cuore, partendo dall’autismo come nota di fondo, ma facendone più una questione esperienziale e utilizzando lo stile che gli era più congegnale. In sostanza, l’obiettivo era andare al di là dello sguardo medico, dirigendosi verso una visione più sociale e relazionale. Volevamo anche togliere quel sentore tragico che spesso si sente nella narrazione sull’autismo.
Qualche esempio dei partecipanti?
Gli autori erano tanti, ognuno diverso dall’altro. C’è, per esempio, Martina Savoia, autistica e madre di due figlie neurodivergenti, di cui una non verbale, che ha portato la testimonianza della sua quotidianità. O Marco Brancia, che fino a 18 anni non ha parlato e che ora scrive delle bellissime poesie. Ma non vorrei far torto a nessuno, tutti i racconti sono interessanti, proprio perché sono così multiformi e differenti. Quando hanno cominciato ad arrivarmi i testi mi sono esaltato moltissimo, perché ciascuno di essi era funzionale al progetto; non tutti sono allineati con quello che penso io o quello che pensa l'associazione, ma il senso del libro è questo, dare conto delle singole esperienze e sensibilità.
A che cosa è dovuta la definizione di “almanacco”?
Ci sono diversi motivi. Il principale è legato alla presenza di più voci e contributi. Poi, è un termine a cui sono legato, perché molti volumi che ho apprezzato nella mia vita erano proprio almanacchi. E nel titolo abbiamo aggiunto l’anno, 2022, perché vorremmo portare avanti nel tempo questa iniziativa, riproporla allargandola ad altre persone.
Perché gli sguardi sono tutti diversi.
Sì. Ho conosciuto migliaia di persone autistiche nella mia vita e non ne ho incontrate due uguali tra loro. Si tratta di un campo umano estremamente eterogeneo, il cui minimo comune denominatore è che si tratta di individui fatti ciascuno a modo loro, che non sono conformi alle attese dell’altro, soprattutto in termini di interazione. Non c’è piano di omologazione se non la distanza dalla norma.
Si tratta di un libro unico, quindi, sotto molti punti di vista.
Già. E ci tengo a dire una cosa. Il sociologo Mike Oliver diceva che perché una ricerca sia davvero emancipatoria il progetto deve partire dalle persone disabili, il finanziamento deve arrivare alle persone disabili, lo studio deve essere condotto dalle persone disabili e la restituzione deve essere fatta alle persone disabili. Per quanto abbiamo anche dei contenuti prodotti da neurotipici, io penso che il nostro libro risponda a questi criteri, chi ha partecipato si riconosce nel volume. Vorrei anche aggiungere che l’editore è l’associazione Lem di Sesto San Giovanni, formata da persone nello spettro che traducono e pubblicano testi sul tema, ma fanno anche giochi di ruolo per autistici, laboratori per lo sviluppo di abilità sociali, attività di disegno, teatro e pratiche filosofiche.
Ha altri progetti per il futuro?
Mi piacerebbe occuparmi di etica legata all’autismo. C’è bisogno di un’analisi critica dei metodi di intervento – per esempio quello comportamentista –, che spesso sono solo un’industria. A tal proposito, c’è uno scritto interessante della ricercatrice Michelle Dawson, dal titolo “The misbehaviour of behaviourists”, che io ho tradotto con “I comportamenti problema dei comportamentisti”. Poi c’è anche tutta la questione dell’etica dell’attivismo, che in alcuni casi suona terribilmente prossimo al narcisismo: ci sono tanti personaggi che senza avere gli strumenti pretendono di parlare di autismo, senza aver letto nulla e senza capire quello di cui stanno parlando.
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