Il simbolo della casa? «Silvestro!», grida Gaia, infilandosi sotto il divano. Riemerge brandendo un gatto di peluche e con la spontaneità spettinata dei suoi 19 anni spiega che «l’abbiamo preso con i punti del supermercato, per la spesa che abbiamo fatto insieme». Gaia è originaria di Fabriano, nelle Marche, e a Milano frequenta il primo anno di Scienze Politiche. Vive con quattro coinquiline in un bell’appartamento a due passi dal Parco di Trenno: Denise, 21 anni, di Riva del Garda; Aurora, 24 anni, che arriva da Pieve Emanuele; Alice, 26 anni e Olga, 28, entrambe di Milano. Sono le 18 di un giovedì sera, le ragazze sono da poco rientrate. La tv fa da sottofondo con la “Cenerentola” di Walt Disney, anche se Olga tiene a precisare che il suo film preferito è “A qualcuno piace caldo”. Aurora (che appena ci ha visti entrare si è infilata in bagno per mettersi le lenti a contatto, «così nelle foto vengo meglio») avvia la cena insieme a Denise: affetta una verza e intanto propone ricette a raffica, dalla cassuola in giù (si vede che lavora in un ristorante, la vicina Cascina Bellaria) finché tutte e cinque si accordano sulle polpette di farro. In tavola nel frattempo compaiono patatine e nutella, la tv cede il posto alla musica e a qualche ballo accennato per scherzo, Alice scruta le etichette e rimbrotta le chi ha comprato biscotti con l’olio di palma mentre Olga ripone nel lavello le tazze del caffè che si era premurata di offrirci e prepararci al nostro arrivo: «Scusate, ne è venuto poco, ma hai visto Anto, non ne ho rovesciato neanche un po’», aveva detto orgogliosa.
Uno scambio win win
È una sera come tante, fra ragazze come tante: ma questa casa ha qualcosa di speciale. “La Casa Comune” è un progetto di cohousing dell’Associazione La Comune, sostenuto da Fondazione Cariplo e partito nell’autunno 2014: qui giovani studenti o lavoratori fuorisede – in questo momento Denise e Gaia, ma prima di loro, durante lo scorso anno accademico, ci sono state Cecilia e Martina – vivono insieme a tre ragazze con disabilità, Alice, Aurora e Olga. Una di loro ha una disabilità intellettiva e qualche difficoltà motoria, due la sindrome di Asperger: tutte e tre sono qui «per crescere un po’», per dirla come Olga, e in questa casa hanno intenzione di rimanerci a lungo. Un’esperienza da prendere a modello anche in vista della discussione finale in Senato della legge sul “dopo di noi”.
Le studentesse pagano un affitto di 150 euro al mese e garantiscono a rotazione la presenza in casa dalle 18,30 alle 9 della mattina successiva; le ragazze con disabilità partecipano alle spese in cambio di vitto e alloggio per sei giorni su sette, accompagnamento educativo all’autonomia, counseling pedagogico, attività sportive. Una volta al mese ci si siede tutti attorno a un tavolo per sbrogliare eventuali problematiche e per le studentesse c’è un incontro settimanale con una formatrice.
«La casa si fonda sul riconoscere i giovani disabili come persone adulte, con esigenze di autonomia e autodeterminazione molto simili a quelle dei loro coetanei», spiega Antonella Viganò, la pedagogista dell’Associazione, che ogni pomeriggio passa di qui per accompagnare il percorso di autonomia di Olga, Aurora e Alice, con obiettivi sia dentro che fuori la casa. «Un secondo pilastro dell’esperienza è la reciprocità: le cinque ragazze qui sono tutte alla pari, nessuna sta uno scalino sopra, e questo è il motivo per cui preferiamo non avere studentesse di psicologia o scienze dell’educazione: si viene qui per vivere delle relazioni, non per fare tirocinio. Maggiore è la capacità di essere liberi nelle relazioni, maggiore è il successo della convivenza».
Questa però, ammette Denise, «è la cosa più difficile». Denise fa l’attrice nella pubblicità e ha fortissimamente cercato questa sistemazione, affascinata dalle esperienze tedesche di cohousing con persone disabili studiate in quinta superiore: «Non credo ci vogliano caratteristiche particolari, basta essere se stessi. All’inizio però ho fatto fatica a vedere le ragazze come uguali a me, mi veniva spontaneo fare qualcosa al loro posto perché so che hanno delle difficoltà… Adesso no, ho imparato». Aurora a questo “essere alla pari” tiene moltissimo: «A settembre è venuta una ragazza, ma non aveva lo spirito giusto», dice piccata mostrandomi i turni settimanali delle pulizie affissi al muro: «Va bene “rompere”, ricordarci i nostri compiti, continuare a sottolineare che io non avevo fatto questo e Alice quell’altro, però non puoi venire qui a comandare», sbotta buttandosi sul divano, «se non ci si trova bene non vale la pena».
L'orgoglio e l'invidia
Come a un segnale concordato, tutte si siedono e parte una chiacchierata in cui nessuno si tira indietro. Inizia Alice, la veterana della casa. Ci è entrata nel settembre 2014 e dice: «Ho sempre vissuto in famiglia, un po’ desideravo fare questa esperienza e un po’ avevo paura che mi mancassero i miei genitori, ora mi sono abituata. Ho imparato a fare un sacco di cose che neanche immaginavo, come stirare, cucinare e prendere i mezzi pubblici fino a Cesano Boscone, dove sto facendo un tirocinio presso la mensa della Sacra Famiglia. Devo dire grazie ai miei genitori che mi hanno incoraggiato a costruire una mia indipendenza». Aurora vive qui dal febbraio 2015 e dal suo paese invece voleva proprio «scappare»: «Non avevo amici, frequentavo un centro diurno per disabili gravi ma non mi piaceva, la maggior parte del tempo stavo a casa a giocare al computer. Adesso è un’altra vita, mi piace. Io vivrei anche da sola, anzi meglio ancora sarebbe con un gatto o un compagno, che ora purtroppo non ho… ma chissà». Olga si fa avanti per intervenire. Vuole parlare ma ha un groppo alla gola: «La cosa bella è che ti confronti con persone che non sono la tua famiglia. Ti confronti con altre vite», sussurra. Ecco, lo ha detto. E quando lo ha detto, inizia a piangere. Tasto il terreno, per capire se è il caso di cambiare discorso, ma Olga mi fa capire che vuole andare fino in fondo. «Nel senso che sei invidiosa della vita che fanno Denise e Greta?», chiedo. «La tua domanda è come un pugno. Ma “sì”», mi dice. Adesso viene da piangere a me, ma Olga è molto orgogliosa di sé. E ne ha ragione.
Coinquilina a chi?
«Sono tutte cambiate moltissimo», osserva la pedagogista Viganò: «Aurora faticava a ricordare gli impegni, ora è precisissima e ha molta cura di sé. Alice era molto chiusa, teneva lo sguardo basso, comunicava poco, ora la vedi… Olga è arrivata da poco, si sta misurando con una realtà diversa. Crediamo molto in queste soluzioni che creano le condizioni il più possibili simili alla normalità, esperienze che sebbene protette garantiscano la promozione di una buona qualità di vita. Ovviamente la collaborazione delle famiglie è fondamentale, come i rapporti con gli enti esterni che le ragazze frequentano durante il giorno, nel nostro caso Anmil, Cascina Bellaria e Sacra Famiglia: tutti gli obiettivi devono essere condivisi». Tanto che il termine “coinquiline”, a detta di tutte, a questo quintetto sta stretto: «Siamo amiche: andiamo fuori a cena, siamo andate insieme alla Fiera dell’Artigianato e all’Expo… Con Martina e Cecilia ci sentiamo ancora e sai una cosa? Loro non abitano più qui, ma i loro amici vengono lo stesso a trovarci. Sono diventati i nostri amici».
Partecipa alla due giorni per i 30 anni di VITA
Cara lettrice, caro lettore: il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano, VITA festeggerà i suoi primi 30 anni con il titolo “E noi come vivremo?”. Un evento aperto a tutti, non per celebrare l’anniversario, ma per tracciare insieme a voi e ai tanti amici che parteciperanno nuovi futuri possibili.