Vito Teti

Nella mia Calabria non riduciamo a slogan identità e memoria

di Gilda Sciortino

«In una regione come la Calabria», dice l'antropologo e scrittore Vito Teti, «si parla di identità in maniera astorica, monocromatica, compatta, mummificata, retorica. Invece è una terra fatta di mobilità, di scambi, di arrivi di popoli, di mescolanze, di un sovrapporsi di culture e civiltà. Non esiste "la Calabria", ma "mille Calabrie"»

Termine complesso, l’identità, da utilizzare con molta cautela perché spesso afferma più di quanto non spieghi. Lo sostiene con forza Vito Teti, antropologo e scrittore, che affronterà il tema a Lamezia Terme, ospite di Trame, il festival dei libri contro le mafie,  promosso da Fondazione Trame e dall’associazione Antiracket Lamezia Onlus. “A futura memoria”, il titolo di questa tredicesima edizione.

«Soprattutto nel caso di una regione come la Calabria», spiega Teti, «si parla di identità in maniera astorica, monocromatica, compatta, mummificata, retorica; mentre, invece, dovrebbe essere intesa in quanto identità di tante Calabrie. Come hanno affermato prima di me molti studiosi, di “Mille Calabrie”. Una terra, la nostra, fatta di mobilità, di scambi, di arrivi di popoli, di mescolanze, di un sovrapporsi di culture e civiltà, di rapporti tra alto e basso. In qualche modo, si presenta con una sua complessità e con i suoi tanti contrasti».

Gioiosa Jonica. Festa di S. Rocco. 1986

Anche antropologiche sociali, per cui l’identità calabrese al singolare, vista in maniera statica, potrebbe essere fuorviante e non dare conto della ricchezza, della pluralità, della varietà delle culture calabresi; e, pertanto, del modo e dei modi di sentirsi appartenenti a questa terra. E poi, parlare oggi di identità regionale, senza fare riferimento alla memoria, rischia di falsare la realtà e portare lontano. Ovviamente, questa è l’interpretazione fatta da me che intendo l’identità come un progetto, come qualcosa da costruire su quello che si eredita, appunto sulla memoria, sulla storia, sulle tradizioni. Non è, però, qualcosa di definitivamente acquisito perché questo senso di identità rifiuta ogni atteggiamento, come dire, di risentimento, di rivalsa o di opposizione agli altri. Affermo allo stesso tempo con convinzione che ci sono stati atteggiamenti anti-calabresi. La Calabria ha conosciuto violenze e invasioni ma, limitarsi a dire questo, significa non assumersi le proprie responsabilità per quello che si sta facendo e che si intende fare.

Vallelonga. Scuola elementare 1985

La Calabria viene spesso paragonata alla Sicilia per problemi connessi alla criminalità mafiosa. È corretto o sbagliato?

Ogni terra ha le sue specificità e peculiarità, per cui è difficile fare comparazioni in termini di più o di meno, di diversità e alterità. La Calabria è sicuramente differente dalla Sicilia per mille ragioni. La Sicilia intanto è un’isola che ha una storia ricchissima e complessa, una terra con molte città. La Calabria in fondo non ha una vera storia, è composta più che altro da paesi, piccoli comuni, piccoli villaggi. Non ha grandi centri storici e ciò vuol dire che la vita sociale e culturale, in qualche modo, ha avuto delle limitazioni oggettive per gli abitanti, la cui esistenza non si è sviluppata in tutti quei grandi centri che hanno avuto e hanno un ruolo di slancio e di trascinamento anche per i territori vicini. Si soffre una specie di lontananza, di solitudine dei paesi che ha fatto considerare la nostra regione come luogo estremo, lontano. Paradossalmente, la Sicilia era più facile da raggiungere imbarcandosi a Napoli, mentre arrivare in Calabria in passato è sempre stata un’impresa. Per dire che ci si poteva perdere, si diceva “va in Calabria, luogo della lontananza”. Molto eloquente.

Pentedattilo

Il concetto di restanza è sempre stato al centro del suo lavoro e delle sue produzioni letterarie

Il grande tema che appartiene non solo alle aree interne è un problema che deve essere affrontato perché il Sud rischia di spopolarsi. Restare, però, non significa stare in un posto per guardare le nuvole o contare le mosche. Se qualcuno deve restare lo deve fare perché riceve una carica innovativa, propulsiva di mutamento, capace di sovvertire le cose, cambiarle, rendere abitabili i luoghi. Significa affermare i diritti, lottare per i servizi, la sanità, le scuole, per i centri culturali, perché è chiaro che, diversamente, questi territori tenderanno sempre di più a spopolarsi. Impossibile scegliere di stare in un paese vuoto dove non ci sono strade, luoghi di aggregazione sociale, dove non esistono opportunità lavorative e gli unici sentimenti esistenti sono quelli di apatia e solitudine dettati da abbandoni che durano da almeno 70 anni. Ma, da questo punto di vista, potremmo andare indietro, sicuramente anche sino alla fine dell’Ottocento.

Campagne di S. Nicola da Crissa, 1985

Sempre più giovani vogliono restare, rivendicando un’ identità che affonda nella memoria

Ci sono tanti casi di ragazzi che organizzano cooperative di artigianato, gruppi musicali, che producono il grano antico dedicandosi alla panificazione, così come alla pastorizia e all’agricoltura, ma sono minoranze che vanno sostenute e incoraggiate. Per questo dico che bisogna politicizzare la restanza per fare in modo che, chi desidera investire restando in un luogo che ha scelto per vivere, abbia tutte le opportunità per poterlo fare. E questo deve avvenire, per esempio, attraverso finanziamenti adeguati che non siano il classico sussidio di mantenimento clientelare.

Lei ha affermato che, per ricostruire  l’identità calabrese, serve una memoria sovversiva

Sì, credo che serva una memoria assolutamente sovversiva. Credo che bisogna attingere dalla tradizione culturale calabrese quello che di positivo e innovativo c’è stato e abbiamo avuto. La memoria è qualcosa che di per sé non esiste, non si va a prendere un pezzo di memoria. La memoria è qualcosa che devi organizzare per cambiare il presente e proiettarti nel futuro senza essere legato al passato, a un mondo che non esiste più e che magari è meglio che non esista perché il metodo adottato non era quello giusto. Non dobbiamo avere il mito del buon tempo antico. Il passato è conosciuto per la sua bellezza, ma anche per le sue difficoltà, per la sua complessità, e dobbiamo trarne elementi utili per affrontare l’attualità.

Campagne di S. Nicola da Crissa, 1985

Ma perché non si riesce a reagire rispetto alla memoria che, soprattutto nelle regioni del Sud, è segnata da così tanto terrore e orrori?

È mancato negli ultimi tempi un ceto politico dirigente capace di contrastare la criminalità e le sue tante complicità. Purtroppo il cittadino si sente più solo, meno tutelato, meno difeso, e non è sempre disponibile a fare l’eroe solitario. Bisognerebbe che ci fosse un clima civile sociale diffuso di legalità che, attraverso le buone pratiche, ci faccia capire che essere onesti, vivere in maniera retta, è conveniente per noi e per la comunità che ci sta a guardare.

Quindi, torniamo a quel moto di orgoglio che rivendica un’identità legata alla memoria?

Assolutamente sì perché, se l’identità e la memoria non servono per farti conoscere il mondo in cui vivi e per cambiarlo, per renderlo migliore, rischiano di diventare slogan, vanto, retorica e ci facciano solo dire: “Io sono calabrese, io amo la Calabria”. Dopodiché, in cosa si traduce questo sentirci legati alla Calabria, come viviamo la nostra terra, come la tuteliamo, come la rispettiamo, in che modo la difendiamo e valorizziamo? Se non seguiremo questa strada, faremo solo proclami e nessuna azione sarà concreta, pratica. Solo rivendicando un’identità smarrita, potremo operare il cambiamento. Certo, non è che tutto d’un colpo i luoghi si riempiranno, però si può fare in modo che, se tanta gente è partita, tante altre persone non vadano più via. E poi, ricordiamoci sempre che le scelte si devono fare insieme agli abitanti, con i residenti delle aree interne. Questo, per evitare che vengano calati dall’alto modelli di sviluppo che non hanno alcuna aderenza col territorio.

Pentedattilo, 1993-1994

Su cosa verterà esattamente il suo intervento a “Trame”?

Sicuramente quello che le ho detto, ma vorrei ricordare la storia di un poeta contadino che ha scritto delle cose molto belle contro la ‘ndrangheta e,  a partire da lui, vorrei parlare dell’identità della memoria, di che senso ha oggi restare e di come restare in Calabria per migliorare ciò che ci circonda. Il poeta a cui mi riferisco è Luciano Nucera, molto noto nella nostra regione perché raccontava in rime quello che tutti sappiamo e cioè che la criminalità è responsabile dello svuotamento di alcuni paesi, che i giovani se ne vanno non solo perché non trovano lavoro ma anche perché non vogliono cedere ai ricatti, non vogliono subire prepotenze e perché pretendono di vivere in maniera libera. Luciano è morto all’età di 77 anni, faceva il portalettere a Motticella di Bruzzano Zeffirio, in provincia di Reggio Calabria, e mi pregio di essere stato suo amico.

vita a sud

Cosa le ha lasciato questo rapporto che lei condividerà con tutti a Lamezia Terme?

Mi ha insegnato ad amare i luoghi, non a parole ma con i fatti. E poi, che la violenza non aiuta sicuramente, anzi danneggia e non porta a costruire. Lui lo diceva e ne scriveva in maniera lucida e pacifica, il che ci insegna quanto potere abbia la parola.

Credit foto apertura Antonio Talotta
Le foto all’interno del pezzo sono dell’archivio di Vito Teti

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