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La conversazione

L’Islam, l’Occidente e le persone come ponti

di Barbara Marini

Saggista, studioso della letteratura araba, docente della Cattolica, l'egiziano Wael Farouq è soprattutto un instancabile costruttore di occasioni di confronto e di dialogo fra cultura islamica e occidente. Lo hanno appena chiamato a dirigere la rivista Jusur

Wael Farouq è poeta, scrittore, saggista e professore associato di Lingua araba all’Università Cattolica di Milano Quando lo si incontra, si viene investiti da un abbraccio a sé stessi e contemporaneamente all’umanità intera e da una compassione per il dolore del mondo che convivono con un sorriso egiziano, carico di speranza. Oltre che un fine intellettuale è un tenace combattente di pace e gira il mondo per incontrare chi, nella bellezza, vuole vivere una responsabilità e contribuire al cambiamento e alla costruzione. Da qualche mese è divenuto direttore della rivista Jusur e ci ha raccontato l’impalcatura di questo nuovo ponte che parte dal mondo islamico in dialogo col mondo.

Professore, è il direttore responsabile di Jusur, come mai ha intrapreso questa nuova avventura, come nasce questa rivista e a chi è dedicata?

La rivista è l’iniziativa di un gruppo di intellettuali che hanno la grazia e la fortuna di incontrare tante realtà culturali nel mondo e hanno capito che il miglior dialogo fra culture consiste nel far conoscere gli uni agli altri. È un dialogo che non ha argomento, non ha scopo, non richiede nessun compromesso, perché lo scopo è far conoscere. E far conoscere non significa fornire delle informazioni, ma portare una testimonianza in cui si unisce l’informazione all’esperienza umana. Così il dialogo non sarà mai astratto, ma sarà un dialogo di vita.

Cosa intende raccontare e a chi darà voce?

Lo scopo della rivista è contenuto nel suo nome, Jusur, una parola araba di forma plurale, derivante da una radice linguistica dai molteplici significati, che traccia un percorso sorprendente ed esemplare del dialogo a cui aspiriamo. Il verbo jàsara significa “andare via” e “passare attraverso”, mentre il sostantivo jasàra significa “audacia” e “coraggio del cuore”. La parola jisr (singolare di jusur) è invece il “ponte”. Il significato di “andare via” e “passare attraverso” allude alla volontà e al desiderio di aprire nuovi orizzonti, un cammino che richiede di armarsi del secondo significato della parola: il coraggio del cuore. Se si completa questo percorso, sarà realizzato il terzo significato della parola, perché la persona diventerà un ponte, un legame tra due mondi: il mondo del presente in cui viviamo e il mondo del futuro a cui aspiriamo.

L’avete scelta per questo, dunque…

Esatto, vorremmo che questa rivista fosse una strada da percorrere insieme verso il futuro. Per questo le sue porte sono aperte a tutti, nessuno escluso, non tanto ai fini di un dialogo che potrà forse concludersi in accordo o disaccordo, ma per posare insieme i mattoni di un futuro che ci unisca, nella ricchezza delle nostre differenze.

A chi è dedicata Jusur?

Principalmente al mondo islamico. Per questo è in lingua inglese, perché è la lingua più diffusa nel mondo musulmano. L’iniziativa di diffonderla nel mondo islamico è stata di sua eccellenza Muhammad bin Abdul Karim al-Issa, il segretario generale della Lega musulmana mondiale, che ritiene importante far vedere ai musulmani di tutto il mondo la bellezza della fede e della cultura, propria e degli altri. La rivista è aperta al contributo di tutti, di tutte le fedi, anche non credenti, e di tutte le culture.

Ma cos’è l’identità? Non esiste un’identità pura. Anzi, quelli che credono che esista un’identità pura sono definiti razzisti. Infatti, noi siamo “fatti” degli altri, non esiste nessuna civiltà o cultura che non abbia preso in prestito elementi di altre culture.

Wael Forouq

Perchè c’è bisogno di una rivista come questa?

Perché non esiste ancora una rivista rivolta a tutti e scritta da tutti, per testimoniare la bellezza della propria cultura e della vita quotidiana.

Da anni lei è un instancabile comunicatore, attraverso il suo lavoro, attraverso mostre, convegni… In un momento di grande contrapposizione tra chi crede nella contaminazione culturale e chi invece irrigidisce ed estremizza le distanze da tenere: come si salvano l’unicità del singolo e contemporaneamente, l’identità di un popolo?

Ma cos’è l’identità? Non esiste un’identità pura. Anzi, quelli che credono che esista un’identità pura sono definiti razzisti. Infatti, noi siamo “fatti” degli altri, non esiste nessuna civiltà o cultura che non abbia preso in prestito elementi di altre culture. L’idea alla base della rivista, centrata sulla testimonianza, è per far capire la presenza degli altri dentro il sé.

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Questo primo numero è dedicato al “cibo e religione”, al nutrimento come rito e azione che identificano una appartenenza e una sacralità. C’è un cibo che sia ancora anche dell’anima oltre del corpo?

Quello che abbiamo letto nei contributi del primo numero, dalle prospettive di varie culture e fedi, conferma che ogni cibo è anche un cibo dell’anima, perché quel che rende l’anima vitale è lo sguardo. Quel che cerchiamo di offrire è proprio un nuovo sguardo sulle cose scontate.

Lei una volta ha detto che il mondo islamico ha paura del futuro e quello occidentale è ancorato al passato: in quale tipo di presente questi mondi possono incontrarsi?

Si possono incontrare solo in un mondo che cerca la bellezza. Il bello non è relativo, perché non dipende solo dal gusto personale o culturale. Il bello è bello perché genera significato. In un mondo così ci si può incontrare.


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