Un’inchiesta della svizzera Public Eye, in collaborazione con Repórter Brasil, fa luce su diversi casi di schiavitù moderna perpetrati dai fornitori brasiliani della multinazionale dell’alimentazione. Questo nonostante l’azienda elvetica abbia promesso tolleranza zero nei confronti di questa pratica. Un fenomeno alimentato dalla scarsità di risorse a disposizione delle autorità locali, da sanzioni troppo spesso lievi e dalla assenza di consapevolezza dei lavoratori a proposito delle condizioni di lavoro
Condizioni di lavoro non solo “degradanti”, ma “simili alla schiavitù”: parliamo di “ordini di lavoro estenuanti”, mancanza di acqua potabile e alloggi scadenti, di una condizione aggravata da “minacce, frode, inganno o coercizione”, da condizioni igieniche oltre il limite (i lavoratori sono costretti a mangiare per terra o sui materassi, con bagni e docce inutilizzabili), di assenza di privacy e perfino di limitazione della libertà di movimento dovuta a debiti.
Tutto questo per una paga che copriva “solo il 75% del salario minimo legale al mese”, mentre il proprietario dell’azienda agricola, secondo le sue stesse dichiarazioni, vende i chicchi di caffè decorticati ed essiccati a 40 volte il prezzo pagato ai lavoratori.
Destinataria della vendita? La cooperativa Cooabriel, fornitrice diretta di Nestlé, il più grande produttore di caffè al mondo, che partecipa anche al suo programma di sostenibilità chiamato Plan Nescafé (il claim? Cultivado com respeito), che richiede la certificazione cosiddetta 4c.
Questi i termini della vicenda emersa da un’inchiesta della ong svizzera Public eye, confermati da un rapporto successivo ad un’ispezione del ministero del Lavoro brasiliano. Una storia che ha al centro la testimonianza di due lavoratori, che geograficamente è mappata in un’azienda agricola a Mata Verde, municipalità dello stato di Minas Gerais.
Una filiera del caffè opaca
«Le nostre indagini dimostrano», sottolinea Public eye, «che Mata Verde non è l’unica azienda agricola nella catena di approvvigionamento di Nestlé in cui sono emersi gravi abusi negli ultimi tre anni. Nel 2022, ad esempio, gli ispettori del lavoro hanno individuato gravi violazioni del diritto del lavoro brasiliano presso le aziende agricole di Três Irmãs e Primavera nello stato di Bahia, a nord di Espírito Santo, che erano anche fornitrici di Cooabriel, partner del Piano Nescafé, nonché un caso di schiavitù moderna a Três Irmãs. In un terzo caso, il 4 luglio 2023, tre lavoratori dell’azienda agricola Vista Alegre a Patrocínio, nello stato di Minas Gerais, hanno dovuto essere liberati da condizioni di schiavitù».
La replica da Vevey: «I nostri fornitori certificati»
Dopo lo scandalo legato all’uso di filtri non autorizzati da parte di Nestlé per il trattamento delle sue acque minerali e l’accusa di aver commercializzato prodotti, come quelle dei brand Perrier, Vittel e Contrex, etichettati come minerali naturali pur avendo subito trattamenti proibiti e per la presenza batteri, pesticidi e Pfas. Ebbene dopo le acque minerali, un’altra tegola si abbatte sulla multinazionale svizzera.
Questa volta (e come vedremo non è un caso isolato) riguarda le condizioni di schiavitù cui sono costretti i lavoratori delle aziende della filiera brasiliana del caffè. Condizioni nei cui confronti Nestlé ha da anni promesso tolleranza zero. In primo piano soprattutto le aziende agricole a Mata Verde e Vista Alegre.
L’azienda, ha replicato QUI, attualmente si rifornisce di caffè da “unità agricole certificate 4C” di 500 aziende agricole all’interno della cooperativa Cooabriel, che rappresentano un sottoinsieme del totale delle aziende agricole associate a questa cooperativa. Ha inoltre dichiarato di non acquistare caffè dalle aziende agricole Mata Verde, Três Irmãs e Primavera menzionate nell’inchiesta di Public eye e che non fanno parte del Piano Nescafé.
“Tuttavia”, fa notare la ong, “Nestlé non ha rilasciato dichiarazioni sulle passate relazioni commerciali, nemmeno con l’azienda agricola Mata Verde, che ha fornito caffè certificato 4c a Cooabriel fino alla sua esclusione dal sistema 4c nel giugno 2023″.
Tanto zucchero negli snack. Troppo
Public Eye aveva già portato all’attenzione del pubblico, un anno fa, la controversia legata alla diversa quantità di zucchero nei prodotti Nestlé per i bambini. Da un’analisi della ong emerse nel 2024 che gli alimenti per bambini e neonati venduti dalla multinazionale svizzera in Africa, Asia e America Latina contenevano più zuccheri rispetto alle loro controparti commercializzate nei mercati europei. Un doppio standard che secondo lo studio porta a un “aumento esplosivo dell’obesità e spinge i bambini a sviluppare una preferenza per i prodotti zuccherati che durerà tutta la vita”.
I numeri del caffè
In Brasile, ogni anno vengono raccolte circa 4 milioni di tonnellate di chicchi di caffè (il 40% del totale mondiale): il paese è il più grande produttore mondiale di questa materia prima. Mentre nell’entroterra montuoso, soprattutto nello stato di Minas Gerais, vengono coltivate le varietà Arabica, considerate di qualità superiore, i coltivatori di caffè nello stato costiero di Espírito Santo si sono specializzati nel caffè Robusta, utilizzato principalmente per caffè istantaneo e miscele da tostatura più economiche.
Il caso Vista Alegre
Anche la fazenda Vista Alegre, nel comune di Patrocínio, nel Minas Gerais, faceva parte del programma di qualità Nespresso Aaa, creato per promuovere buone pratiche socio-ambientali e prevenire le violazioni dei diritti umani tra i fornitori di caffè. Anche in questo caso Repórter Brasil e Public Eye avevano informato la multinazionale che tre lavoratori in condizioni simili alla schiavitù erano stati tratti in salvo durante un’ispezione del ministero del Lavoro.
La vicenda è emersa a luglio 2023: due anni dopo Nestlé ha annunciato il blocco del fornitore. “Dopo essere venuti a conoscenza dei fatti, abbiamo reagito con decisione ed escluso l’azienda agricola dal nostro programma Aaa sustainable quality finché non ci saranno prove che la proprietà soddisfi i nostri rigorosi requisiti”.
Dormivano sui materassi
In totale, 21 persone lavoravano alla fazenda Vista Alegre. Oltre ai tre tratti in salvo, gli altre vivevano in città e viaggiavano quotidianamente su autobus noleggiati dal reclutatore, con i relativi costi a carico dei lavoratori.
Nel rapporto sulle condizioni di lavoro nella fazenda Vista alegre, gli ispettori hanno sottolineato che i tre lavoratori dormivano su materassi direttamente sul pavimento, protetti solo da un pezzo di cartone. Non c’erano fornelli né frigorifero nell’alloggio. Senza una struttura per preparare i pasti, erano costretti ad acquistare cibo pronto, pagando un tot per ogni pranzo o cena. Alla fine del mese, il costo del cibo raggiungeva una somma, che veniva detratta dai loro stipendi. Il reclutatore, che fungeva anche da responsabile del gruppo, effettuava le detrazioni.
Il rapporto afferma inoltre che l’acqua consumata in fattoria veniva trasportata in bottiglie contenenti acqua di rubinetto. Non c’era accesso all’acqua potabile nei campi. Negli alloggi, i lavoratori non avevano una doccia elettrica, solo le tubature fornivano acqua fredda, anche con temperature che, nelle prime ore di luglio, potevano scendere sotto i 10 gradi.
Lo studio sulla catena del caffè
Solo nel 2023, 316 lavoratori sono stati salvati da condizioni simili a schiavi, il numero più alto in 20 anni. Tra il 2013 e il 2023, l’industria del caffè è passata dal quarto al primo posto nella classifica nazionale del lavoro schiavo, concentrando l’11,4% di tutte le vittime.

È quanto si legge in Lavoro degli schiavi nel caffè: dalle fattorie alle multinazionali, ricerca di Conectas (organizzazione non governativa impegnata per la parità dei diritti) che fa luce sulle violazioni del lavoro nella catena globale di produzione del caffè, concentrandosi sul Brasile, e indica anche il suo espandersi in alcuni difetti strutturali, “come la mancanza di trasparenza e governance, che facilitano l’esternalizzazione irregolare della manodopera e l’uso di certificazioni che coprono condizioni di lavoro precarie”.
Secondo il documento, nel 2018, Conectas e l’Articolazione dei dipendenti rurali dello Stato di Minas Gerais hanno presentato una denuncia al National contact point del Brasile su casi di lavoro schiavile nelle piantagioni di caffè nel sud del Minas Gerais.
Tra le aziende che i sono impegnate in merito alla questione, riferisce il report, ci sono state solo Nestlé e Dunkin’ donuts. Tra le azioni proposte dalla multinazionale svizzera ci sono misure che includono audit esterni per verificare le condizioni di lavoro sulle proprietà, consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori per identificare le violazioni e la creazione di forum regionali per datori di lavoro e lavoratori.
Le azioni di Nestlé sono un tentativo di promuovere una maggiore trasparenza e migliorare le condizioni di lavoro nella catena del caffè, rispondendo alle raccomandazioni fatte dopo le denunce di lavoro degli schiavi nelle fattorie di Minas Gerais.
Poche risorse e scarsa consapevolezza
In un’intervista rilasciata a Conectas, Jorge Ferreira dos Santos, leader di Adere-Mg (associazione che riunisce diversi sindacati di lavoratori rurali nello stato di Minas Gerais), ha sottolineato che la mancanza di conoscenza è uno dei problemi maggiori. Secondo dos Santos, molti lavoratori rurali danno per scontate le condizioni di lavoro che subiscono e non sanno riconoscere le condizioni di schiavitù. «La maggior parte dei lavoratori rurali del caffè non sa di essere sottoposta a schiavitù», ha dichiarato.
Un altro nodo è costituito dalle risorse limitate a disposizione del ministero del Lavoro. Sottolinea che il numero ridotto di ispettori fiscali rende difficile monitorare efficacemente le piantagioni di caffè sparse in tutto il paese. Inoltre, critica le sanzioni per il lavoro, che considera basse e incapaci di scoraggiare i datori di lavoro, che le trattano come meri costi operativi. “Le sanzioni per il lavoro schiavistico sono basse e, proprio per questo, il datore di lavoro ritiene che questa pratica sia vantaggiosa per lui”.
Lo Stato, spiega, deve invece considerare il lavoro schiavistico come un reato grave, prevedendo arresti immediati durante le ispezioni. Sostiene inoltre che le aziende che traggono profitto dalla filiera del caffè debbano assumersi le proprie responsabilità e che vengano attuate politiche pubbliche che contrastino la vulnerabilità sociale.
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In apertura foto di Nischal Masand per Unsplash
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