Padri nella disabilità

Per far lavorare mia figlia, ho creato un’impresa che non è mia

di Giampaolo Cerri

Enrico Pedemonte è un imprenditore di successo nella sua Genova. La sua primogenita, Giulia, è nata con la sindrome di Down, e come molti altri, dopo le scuole superiori, ha cominciato a scontare la difficoltà nel trovare un'occupazione. È stato in quel momento che, con la moglie Silvia, questo papà ha pensato di dar vita a un'azienda, in forma di cooperativa sociale, nel settore alberghiero. Che desse lavoro a lei e ad altri come lei. VITA lo ha incontrato

Nuova puntata della serie che vuole raccontare genitori dinnanzi alla fatica dei propri figli. Da Genova, una storia che ha a che fare con l’inclusione lavorativa e il “dopo di noi”.

Solo Genova, stretta fra le colline e il mare, offre angoli così: salite al quarto piano di un palazzo ottocentesco, in via Caffaro, non lontano dalla stazione di Piazza Principe, dove avete preso una camera in un bed & breakfast.

Tutto bello, pulito, in ordine. Andate a letto soddisfatti. L’indomani vi servono la colazione in uno splendido giardino, ombreggiato da alberi da frutto e alloro, contrappuntato da fiori coloratissimi. Al quarto piano! I balconi dell’edificio si fondono infatti con la collina verde. Si resta annichiliti dalla bellezza e dallo stupore. A servirvi, dei giovani con disabilità. Lo fanno con cura, staremmo per dire con affetto.

Cose dell’altro mondo, a cui si arriva prendendo uno di quei vecchi ascensori, con sportelli da azionare manualmente e il cartello che prega, implora quasi, di chiudere piano.

Cose dell’altro mondo: La Sosta della Tartaruga è un luogo bello e accogliente, un gioiellino di micro-hotellerie (cinque camere) ma è anche una cooperativa sociale di tipo B, che inserisce a lavoro cinque giovani con disabilità intellettiva.

Il giardino de La Sosta della Tartaruga – foto Giampaolo Cerri per VITA

Cose dell’altro mondo che dovrebbero essere di questo mondo.

Un luogo creato da un imprenditore informatico di un certo successo sotto la Lanterna, insieme a sua moglie, perché desiderosi di dar vita a un’opportunità di lavoro per la figlia maggiore, nata con sindrome di Down.

Imprenditore di successo

Pagando di tasca propria. Proprio così, Enrico Pedemonte, 57 anni, ingegnere genovese, è il fondatore, negli anni ’90, di una solida società di sistemi informatici, Edisoftware, specializzata in gestionali, 45 dipendenti. Recentemente acquisita da uno dei leader di settore, Zucchetti, che l’ha voluto a lavorare come manager.

Per la figlia Giulia, che di anni ne ha 26, Pedemonte e sua moglie Silvia Stagno hanno acquistato i due appartamenti per creare La Sosta e li hanno ceduti in comodato gratuito alla cooperativa sociale costituita ad hoc, La Compagnia della Tartaruga, prestando alla nuova compagine, anche i soldi per ristrutturare e per avviare le attività, fra cui un percorso di formazione e selezione del personale. Anche mettendo in conto che la ragazza non fosse idonea per quel luogo e quel lavoro. «Non solo», racconta, «temevamo che fosse una nostra scelta e non la sua. Di questo avevamo un terrore enorme. Se lei non fosse risultata idonea o se non le fosse piaciuto, il progetto sarebbe ovviamente andato avanti ugualmente. Forse ci avremmo messo meno energie ma avrebbe mantenuto il suo senso profondo: dare un’opportunità di inserimento lavorativo a questi giovani».

Mentre mi racconta la genesi de La Sosta della Tartaruga, Pedemonte è seduto nell’incredibile giardino al quarto piano: sorseggiamo un caffè, l’iPad registra, Luca, uno dei quattro giovani inseriti, in un accento genovese che riconosceresti ovunque, insiste garbatamente perché assaggi la torta: «Vieni fin quassù e non vuoi assaggiare i nostri dolci?».

Enrico Pedemonte, durante l’intervista. Foto Giampaolo Cerri per VITA

Dal giardino si intravede Giulia, la ragazza per cui questo piccolo paradiso è nato, andare e venire dalle camere da rassettare. Si vede anche Betta, la capo squadra, che in passato ha gestito un ostello e oggi ha scelto di lavorare in questo singolare b&b con persone che han bisogno di essere seguite, e che non tarda a chiamarlo alla routine alberghiera. «Qua si lavora», fa notare Pedemonte, «questo non vuol essere un luogo dove dei giovani con disabilità possano passare le giornate».

Il racconto parte dalla fine, proprio da Luca che ci ha amabilmente serviti e fatto sentire accolti, con una sottile ironia tutta “made in Zéna”. Il fondatore mi racconta l’ansia di quel giovane alla fine del progetto formativo, «conosce i suoi limiti, temeva di non essere incluso», e che, coi primi stipendi, s’è comprato una microcar, che finalmente gli facesse risparmiare un po’ del lungo viaggio: «Aveva già il patentino e con le buste paga, è andato in concessionaria, si è fatto dare un finanziamento. Un momento di autonomia vera». E ricorda anche di quando l’aveva incontrato, dopo la prima intensissima estate, piena di clienti che andavano e venivano: «“Enrico, sono stanchissimo”, mi aveva detto, “nel pomeriggio vado a casa e crollo”. Mi si era gelato il sangue: temevo che avessimo creato un luogo che, alla fine, questi ragazzi li annichiliva. Durò giusto qualche secondo, perché lui subito aggiunse: “Però è stata la più bella estate della mia vita”».

L’inprinting dell’imprenditore

Enrico Pedemonte ha un eloquio pacato, sorride spesso, gli si legge negli occhi la soddisfazione di chi sta costruendo un’impresa forse più difficile di quella, di successo, che ha messo in piedi. Probabilmente anche più rischiosa, certamente di soddisfazione enorme. E anche questa seconda impresa, del tutto speciale, pare governata coi criteri dell’altra, tenendo conto di quello che può fare il capitale umano di cui dispone. Il suo essere imprenditore si è visto, ne La Sosta, sin dall’inizio: la cooperativa è partita con un percorso formativo di mesi. Siamo alla fine del 2021. «Bisognava esser certi che le persone che andavamo ad assumere fossero in grado di fare quel lavoro e volessero farlo: ho stressato dal primo giorno sia gli educatori della Fondazione Cepim (storico ente genovese che lavora sulle disabilità intellettive, ndr) che monitoravano la formazione, sia i capi squadra, sia i formatori che avevamo arruolato, fra cui insegnanti della scuola alberghiera e persone che lavoravano nell’accoglienza turistica, per insegnarci il mestiere».

E li aveva stressati, come ci ha detto subito, anche per sapere se sua figlia sarebbe stata adatta per quel lavoro o meno. «Ma lei pensi che galera, per una ragazza, fare una cosa per compiacere gli altri, anche volendo loro bene – Giulia mi adora – per non deluderli, per rispetto, eccetera».

«È un b&b e io volevo persone che volessero lavorare in un bed and breakfast. E che fossero disponibili per un pezzo in più: farlo insieme a dei ragazzi in difficoltà»

Enrico Pedemonte, imprenditore

Ma dopo la formazione dei ragazzi da includere, curata col necessario puntiglio imprenditoriale, era arrivato il lavoro, lavoro vero. Per il quale erano state assunte anche altre persone, non con disabilità. Sorpresa: non erano educatori. «Io volevo persone che volessero lavorare in b&b», spiega lui, «è un bed and breakfast e io volevo persone che volessero lavorare in un bed and breakfast. E che fossero disponibili per un pezzo in più: farlo insieme a dei ragazzi in difficoltà», ricorda.

Insomma un’impresa sociale molto particolare: «In un bed and breakfast, che sta su Booking (qui la loro scheda)», argomenta, «ognuno ha il suo posto. D’altra parte se lei volesse mettere in piedi un bed and breakfast, assumerebbe un educatore? Deve trovare soltanto degli uomini, delle donne che, nel fare il loro lavoro, vogliono portarsi dietro dei ragazzi che hanno delle difficoltà».

Enrico Pedemonte, la moglie Silvia Stagno nel giorno del compleanno di Giulia

Così sono arrivati i primi dipendenti. A cominciare da Gioele, «una persona che ha una capacità di incontro con le persone meravigliosa. Ed è nato per il turismo, che è sicuramente il suo mestiere» e da Betta, che aveva esperienze nel settore: «Meravigliosa: una persona che ha messo il cuore su questa cosa». A loro si è aggiunta da poco anche Bianca, per gestire meglio le turnazioni e farsi carico anche di alcune attività del nascente laboratorio.

Una teoria sul capitale umano

L’imprenditore ha anche una sua teoria sul capitale umano: «Sono convinto», ci dice, «che i bei progetti attraggono belle persone e, aggiungo, anche un po’ di fortuna: incontrare persone come Betta, Giole e Bianca, trovare questo luogo». Si volta, il padre, il fondatore, l’imprenditore a guardare quel piccolo Eden, verde e fiorito, del quarto piano di Via Caffaro. Calano quei cinque secondi dove ci troviamo entrambi ad ammirare la bellezza di quel luogo in un sole di fine maggio. Il mare non si vede ma se ne avverte la lucentezza, si respira nell’aria.

Ma a rendere più bello il bello ci sono loro: Giulia e Luca, appunto, che vanno e vengono, e Gabriele e Leonardo, che saranno di turno il giorno successivo. «Se ci sono stati momenti difficili? Beh finché abbiamo provato, a struttura chiusa…». Pedemonte ci spiega infatti che, all’inizio e per alcuni mesi, fra aprile e giugno del 2022, La Sosta ha vissuto uno singolare rodaggio: nei fine settimane arrivavano come ospiti, amici degli amici, serviti di tutto punto, come clienti veri. «Con un tam tam abbiamo arruolato questa clientela cordiale», spiega il presidente, «avevamo bisogno di gente che fosse paziente, che insomma non ti mettesse una recensione-killer su Tripadvisor o Google». Prova felicissima e tutti gli ospiti-tester han preteso di pagare, oltretutto.

Un’altra sfida: il laboratorio di pasticceria

L’altra sfida, già partita, è il Laboratorio di pasticceria, I pasticci della Tartaruga, che sta al piano terreno di quello stesso palazzo di Via Caffaro: ci sono tre giovani già in formazione, che seguono e affiancano il lavoro di un pasticcere. La produzione è già superlativa: il test drive l’ha fatto proprio chi scrive, non lasciando un neppure le briciole di una stupenda crostata di fragole, quella caldeggiata da Luca, con la sua gentilezza un po’ sorniona.

Enrico Pedemonte nel laboratorio de I pasticci della Tartaruga

Già Luca. Ritornato per sbarazzare il tavolo e a chiedere se l’ospite volesse qualcosa ancora, con la consueta dolcissima insistenza, si sofferma per due battute. È il momento di chiedere anche a lui, che cosa abbia significato quel luogo e quel lavoro. «Eh, questo posto mi ha cambiato la vita», dice facendo sparire di colpo il sorriso con cui c’aveva accolto e che non ci aveva mai lesinato. Si capisce, il discorso si fa serio, perché si parla di lui: «È un posto dove si lavora, eh, si lavora tanto», dice e ripercorre proprio l’aneddoto già riferito da Pedemonte, di quella prima, defatigante, estate, «ma la persone ti vogliono bene, sono attente a te». E fa un esempio che, immaginiamo, gli costa emotivamente non poco: «Poco tempo fa, ho perso mio padre, e loro qui mi sono stati vicini, mi hanno dato tutto il tempo di cui ho avuto bisogno: nel dolore, è stato bello».

È una scena commovente: un giovane uomo, che nella vita deve fare più fatica di altri, che decide di raccontare a uno sconosciuto di passaggio, del dolore vissuto e del rassicurante abbraccio sperimentato in un luogo fuori dal perimetro degli affetti familiari: si capisce bene che lo scoprire quella comprensione, capace di allentare presenze, orari, impegno, per lui deve essere stata una grande consolazione. Anzi una compagnia, la compagnia della Compagnia.

Lavoro, per non regredire

«L’idea di questo luogo è stata anche da subito condivisa con mia moglie», spiega Pedemonte, «quando Giulia ha finito la scuola superiore: capivamo che il lavoro sarebbe stato un elemento decisivo per lei, ma capivamo che sarebbe stato difficile trovarlo». Anche questa coppia di genitori molto attenti e motivati aveva dovuto misurarsi al dato di fatto della disabilità in questo Paese: il sistema scolastico, tutto sommato, dà le sue risposte, il sostegno mediamente c’è (con tutte le problematiche che su VITA raccontiamo ogni giorno), insomma, il percorso dei ragazzi e delle ragazze con disabilità procede. I problemi vengono dopo: per molti giovani con disabilità significa tornare a chiudersi in casa, il rarefarsi dei rapporti, talvolta il regredire sull’autonomia conquistata.

Hanno anche Sara e Fabio, i Pedemonte-Stagno, due altri figli di poco più giovani di Giulia. La ragazza, dopo una laurea triennale in Storia a Genova, oggi studia per conseguire la laurea specialistica, sempre in Storia, a Pisa; lui, dopo la laurea in Ingegneria meccanica in città, sta facendo la specialistica in Ingegneria aerospaziale a Torino e, in questi giorni, è in Erasmus a Barcellona. Tutti legatissimi alla sorella.

«Mia moglie si è licenziata dall’azienda in cui lavorava – è un’informatica anche lei – e abbiamo creato un progetto che potesse seguire all’interno della Compagnia», spiega Pedemonte. Di nuovo la capacità di visione, dell’imprenditore, dell’uomo capace di valutare anche le risorse ideali e affettive, oltre che alle competenze.

Il ragionamento torna sull’impresa inclusiva ma che resta impresa «per davvero».

L’impresa “per davvero” e open source

L’ingegnere lo ribadisce: «Non c’entra sei disabile o se non lo sei. Devi fare un lavoro che è alla tua altezza», ragiona, «è chiaro che, se ti danno un compito che non lo è, non lo riesci a fare, non produci niente. Se, viceversa, ti attribuiscono un compito alla tua altezza, lo fai». Per questo lo slogan de La Sosta della Tartaruga, in omaggio all’animale che va piano, va sano e va lontano, è «Slow, We Can», riadattamento del fortunato slogan obamiano.

Un progetto scalabile, come si dice nel gergo imprenditoriale, intendendo realizzazioni che, così come sono concepite, possono crescere dimensionalmente, senza problemi strutturali. «Certamente», conferma questo singolare imprenditore profit e non profit a un tempo, «ed è proprio quello a cui vorrei dedicarmi prossimamente, andando da qualche fondazione e spiegando il percorso fatto: “Sin qui c’ho messo i soldi io ma se ci investite possiamo arrivare fino a qua». Parla anche di andare incontrare, in giro per l’Italia, «qualche altro Pedemonte, che magari ha un po’ meno incoscienza di me e quindi non si è lanciato, ancora, ma che ha l’energia e la stoffa per farlo. Lo vedi negli occhi della gente quando uno ci crede o può fare. Per me, se nasce un’altra Tartaruga, è solo un bene».

Una Tartaruga open source, insomma. E all’imprenditore informatico l’idea del sistema aperto, che tutti possono incrementare secondo le proprie capacità, non poteva che piacere. «Bella definizione», chiosa, «mi ci ritrovo!».

E si schermisce: «Io in fondo potevo farlo, avevo venduto l’azienda. Se fosse andata male, pazienza. Anzi questa storia mi ha aiutato a capire che il denaro e il successo non hanno alcuna importanza. Il mio stile di vita non è cambiato e gli unici soldi che ho speso son quelli per La Sosta».

Nella foto di apertura, di Luciano Rosasco per La Compagnia della Tartaruga, Enrico Pedemonte con la figlia Giulia e con Gabriele, un altro dei giovani inseriti. Le altre foto sono dell’ufficio stampa della Compagnia o dell’autore.

Terzo articolo della serie, Padri nella disabilità
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