Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Migranti

«Per noi sarà sempre Sina, un gigante di umanità»

di Antonietta Nembri

Ci sono persone e incontri che segnano la vita. La storia di un ragazzo afghano accolto sedicenne nel 2009 e la sua scomparsa prematura nel 2020 fa parte di queste esperienze. Ed è per questo che Manuela Comi, per quattordici anni coordinatrice e oggi responsabile del polo educativo per minori stranieri non accompagnati di Fondazione Asilo Mariuccia a Porto Valtravaglia ha deciso di raccontarla

«Per tutti quelli che lo hanno conosciuto Sina è il paradigma delle persone che vessate dalla vita per tanti anni hanno saputo mantenere uno spirito generoso, umano e una forza incredibili…». Sono queste le prime parole che Manuela Comi, responsabile area educativa per i minori stranieri non accompagnati – Misna di Fondazione Asilo Mariuccia per dieci anni educatrice nella Comunità per minori di Porto Valtravaglia (Va) della stessa fondazione. 

«La sua è una storia che deve essere conosciuta perché dopo tutto quello che ha subito e vissuto nel suo viaggio verso l’Italia, avrebbe avuto tutto il diritto di essere arrabbiato e invece non solo il suo era un atteggiamento pacifico, ma ha sempre scelto la legalità. È stato con noi un paio di anni e anche dopo l’uscita dal programma in quanto non più minore è rimasto in contatto con noi», continua Comi.

Il lungo viaggio di Sina dall’Afghanistan all’Italia

Quella di Sina (nella foto) è la storia di un adolescente che dopo la morte del padre seguita  pochi anni dopo da quella della madre ha dovuto crescere in fretta. A 13 anni è stato messo fuori casa dallo zio paterno, ha iniziato a lavorare e dopo poco tempo ha deciso di raggiungere la sorella maggiore che dopo il matrimonio viveva in Iran. «Il suo obiettivo era quello di raggiungere l’Europa. In un primo momento ci aveva detto di essere arrivato via mare. Poi alla vigilia dell’udienza in commissione per la richiesta di protezione umanitaria è entrato in crisi e ci ha raccontato tutto», continua Comi.

… i traumi che si portava dentro erano immensi. Nelle prime settimane dormiva seduto e vestito

Manuela Comi

Lasciato l’Iran il giovanissimo Sina arriva in Turchia e poi in Grecia «dove conosce quello che diventerà il suo miglior amico», chiosa Comi. «Il suo primo tentativo è quello di nascondersi sotto i camion che attraversano il mare verso l’Italia, una volta scoperto e rimandato indietro ha affrontato la rotta balcanica».

E qui, nel raccontare la storia di Sina Comi quasi si commuove perché ricorda il terribile racconto fatto «di violenza e percosse, dei giorni di cammino, della volta in cui lo hanno rincorso con i cani fino all’arrivo in Ungheria dove lui con il suo amico è stato messo in un centro da cui è fuggito. Dopo questo episodio con l’amico ha deciso di sfregiarsi i polpastrelli per evitare di essere identificato e rimandato indietro in Ungheria». Dopo il suo arrivo a Trieste arriva infine a Milano e da lì alla comunità della provincia di Varese. 

Manuela Comi

L’educatrice ammette che per arrivare a conoscere questa sua storia c’è voluto del tempo. «Al di là della lingua che ha comunque imparato abbastanza velocemente, i traumi che si portava dentro erano immensi. Nelle prime settimane dormiva seduto e vestito», continua Comi che ricorda anche i problemi di salute come un fortissimo strabismo che su iniziativa della Comunità della Fondazione a Porto Valtravaglia è stato corretto con un’operazione all’ospedale di Varese. «Poi un giorno ci ha fatto davvero spaventare, era il 2010 mancava poco all’udienza quando ha avuto un grave malore dovuto al disturbo post traumatico, quando si è ripreso non ricordava più nulla della sua vita, parlava italiano rammentava alcuni legami ma poco più. Ci sono voluti mesi per un completo recupero della memoria».

Il rapporto con la Comunità e gli operatori

Nei due anni di permanenza in Comunità Sina non solo ha imparato l’italiano, ma ha anche seguito un percorso di inserimento lavorativo, ha seguito i corsi e si è pian piano avviato all’autonomia.

Concluso anche il prosieguo amministrativo è rimasto a vivere nella zona di Porto Valtravaglia «ha mantenuto una forte relazione con gli operatori, anche con il suo datore di lavoro, le attività che avevamo fatto con lui con gli psicologi hanno dato risultati positivi… aveva raggiunto un equilibrio, si era sposato con una ragazza afghana, ormai aveva 27 anni sembrava una bella storia destina all’happy end», osserva Comi. «Ma invece il destino ha deciso altrimenti e un incidente se l’è portato via». 

Una delle serre dove i ragazzi ospiti nella Comunità di Porto Valtravaglia imparano un mestiere

Ma perché tra i tanti Msna (alcune centinaia) che dal 2001 sono passati dalle due Comunità per minori della Fondazione Asilo Mariuccia raccontare proprio la storia di Sina, un giovane scomparso quattro anni fa? 

«La sua morte ci ha colpito tutti perché la sua vita è stato un insegnamento per tutti noi, la sua capacità di mantenersi fiducioso verso la vita ha aiutato anche molti suoi compagni, perché il suo percorso, la sua integrazione sono stati la dimostrazione pratica che la rabbia non è funzionale» conclude Comi.

Che aggiunge «l’attenzione educativa che abbiamo avuto con Sina è quella che abbiamo con tutti i ragazzi che in questi anni e anche ora sono in comunità con noi. Non con tutti si riesce a instaurare una relazione così forte, ma l’obiettivo resta sempre quello di accogliere e accompagnare questi giovani e le storie alle loro spalle».

In apertura attività in serra alla Comunità per Msna a Porto Valtravaglia – tutte le foto sono di Ufficio stampa


La rivista dell’innovazione sociale.

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti
e funzionalità esclusive