Una colata di fango di 180mila metri cubi, più altri 40-50mila frutto di erosione e distruzione di edifici, con una velocità di 90 km orari. Un luogo da cartolina, in valle di Fiemme, diventò così l’immagine di una catastrofe immane. Il più grande disastro minerario avvenuto in Italia e tra i più gravi nel mondo.
Era il 19 luglio 1985. Quando ci fu il crollo della grande discarica di rifiuti di un’attività mineraria erano le 12 e 22. Bastarono tre minuti per cancellare l’abitato di Stava e parte di quello di Tesero e causare 268 morti: 28 bambini, 31 ragazzi, 120 donne e 89 uomini. Tredici vittime non furono mai ritrovate, 71 non poterono essere identificate.
Undici regioni piansero delle vittime
In Trentino Alto Adige, la bellezza della natura attraeva, allora come oggi: undici regioni e 64 comuni italiani registrarono morti. Quel giorno, in pochi attimi, uno strato di fango spesso fra i 20 e 40 centimetri, seppellì le vite e le storie anche di chi aveva scelto quei luoghi per una vacanza, incrociando drammaticamente il destino di tanti abitanti del luogo.

Sono passati 40 anni da allora. Sembra oggi a pensare alle proporzioni e alle cause di quel dramma. Quei luoghi, vocati al turismo, avevano nelle viscere una ricchezza da sfruttare, la fluorite, minerale impiegato nella siderurgia. Partì da qui la tragedia.
Sopra Stava, nella piccola frazione del comune di Tesero, vennero realizzati due sovrapposti bacini di decantazione della miniera di Prestavel, alle pendici dell’omonimo monte. Il luogo scelto per creare il primo bacino per gli scarti di estrazione, nel 1961, si chiamava Pozzole. Un nome dato dagli abitanti per le tante pozze d’acqua presenti; un termine che indica qualcosa di instabile, poco sicuro, per sua natura. Ma questo non bastò per fermarsi. Quell’attività avrebbe portato lavoro e ricchezza. Nel 1969 si andò avanti con la realizzazione del secondo bacino. E poi, a seguire, con altre modifiche dell’esistente.
Il crollo
Il 19 luglio gli argini del bacino superiore crollarono in quello inferiore: 3 alberghi, 53 case, 8 ponti furono cancellati. Le vittime vennero recuperate faticosamente, avvolte in lenzuoli, contrassegnate da numeri e riconosciute da piccoli particolari: una fede nuziale, una cicatrice, un tratto somatico. Molti ricordano la difficoltà di trovare saldatori: le bare erano troppe, passarono giorni prima di veder partire le salme per i loro luoghi di origine.
Renato Meregalli era lì, aveva solo 20 anni. Militare nel Reggimento Alpini di Vipiteno, inviato sul posto poche ore dopo la catastrofe, rimase nel fango per dieci giorni. Ci ha messo 39 anni prima di riuscire a tornare in quei luoghi.
Ciò che più di tutto mi sconvolse, fu arrivare dove non c’era più nessuno da salvare
Renato Meregalli, allora tra i soccorritori

«Ero un ragazzo e quei giorni mi segnarono profondamente» racconta oggi, ancora con fatica. «Ci sono cose che ho visto e non ho detto neppure a mia moglie. La scorsa estate, insieme, abbiamo deciso di tornare nella valle. Ho trovato il coraggio di elaborare in qualche modo quei giorni, mi ha aiutato la bellezza naturale del luogo. Ciò che più di tutto mi sconvolse, fu arrivare dove non c’era più nessuno da salvare».
«Tutto era distrutto. Non dimenticherò mai la notte trascorsa di guardia alla palestra dove i familiari venivano a cercare di riconoscere i propri cari», conclude Meregalli.
L’albergo Miramonti delle Acli d Milano
Sotto quella colata morirono anche due giovani fratelli, Paolo e Davide Disarò, di Cesano Maderno, in Brianza. Con loro altri 14 brianzoli, molti milanesi, intere famiglie in vacanza. A Stava c’era l’albergo Miramonti, gestito dalle Acli-Associazioni cattoliche lavoratori italiani di Milano. Proprio lì, come negli altri alberghi e nelle case affittate ai villeggianti, molti all’ora della tragedia stavano per sedersi a tavola per il pranzo. Più di 50 dei 268 morti erano iscritti alle Acli.
Le borse di studio
I fratelli Disarò avevano 23 e 24 anni ed erano al Miramonti per dare una mano nella gestione. Mamma Giulia e papà Francesco, in procinto di raggiungerli a breve, non li vedranno più. Da 35 anni hanno scelto di fare memoria attiva dei loro figli, studenti modello, e di quella tragedia, aiutando altri giovani meritevoli con borse di studio, anche con il sostegno Acli.

«Abbiamo scelto di ricordare i nostri figli e le altre vittime aiutando gli studenti. Davide e Paolo, quando morirono, erano giovani universitari appassionati. Facciamo così memoria di quanto accaduto, perché non si ripeta più». Francesco ha 95 anni, Giulia quasi 90. Con un piano già definito, hanno fatto in modo che le borse di studio continueranno a essere assegnate fino al 2060.
Caterina Baltieri, di Milano, ne ha ricevuta una nel 2024 proprio per una tesi sulle responsabilità degli enti coinvolti, in questa come in altre tragedie simili. Perché la storia continua a ripetersi, dal Vajont al Ponte Morandi. L’ha discussa all’Alta scuola Federico Stella sulla Giustizia penale (Asgp) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
La fondazione
La Fondazione Stava 1985 , che oggi fa memoria attiva della catastrofe, è nata proprio con l’obiettivo di stimolare la riflessione sul corretto rapporto tra ambiente, territorio e uomo, ma anche tra responsabilità civile e d’impresa e sugli aspetti socio-economici ed etico morali che hanno generato la catastrofe e altri disastri drammaticamente analoghi.

Perché nella valle trentina da quel primo bacino, fu un susseguirsi di superficialità e omissioni, errori e negligenze. A partire, ancora prima, dalla scelta di un sito non adatto. Le carenze di responsabilità civile e d’impresa furono la genesi di Stava.
Nessuno scontò delle pene
Graziano Lucchi, che perse entrambe i genitori quel 19 luglio, oggi è presidente della Fondazione Stava e lo ha messo nero su bianco nel libro Stava perché. Lui, così come i coniugi Disarò, furono sempre presenti in ogni momento dell’iter giudiziario. Anche in rappresentanza di altri familiari, affrontarono un ulteriore calvario di interrogazioni, contestazioni, tesi riproposte.

Il processo di primo grado per la strage si concluse nel 1988 con una condanna per 10 imputati, giudicati colpevoli dei reati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo, dai responsabili della costruzione e della gestione del bacino superiore, che crollò per primo, ai responsabili del Distretto minerario della Provincia autonoma di Trento.
Vogliamo promuovere quella coscienza della responsabilità personale che a Stava è mancata da parte di molti e poteva evitare il disastro: perché non fu una frana, un’inondazione, una fatalità. Fu il frutto di una serie di scelte
Graziano Lucchi, presidente fondazione Stava 1985
Il procedimento penale terminò dopo altri quattro gradi di giudizio, con la seconda sentenza della Corte di Cassazione, nel 1992, che confermò le condanne in primo grado. Le pene di reclusione furono ridotte e condonate nel corso dei vari gradi di giudizio. Nessuno scontò pene detentive.
Memoria attiva e vigile
La Fondazione Stava 1985 è nata per ricordare, ogni giorno, quanto accaduto: una memoria attiva e vigile, perché la superficialità di pochi non diventi mai più il dolore di molti. Chi è rimasto non può, e non vuole, dimenticare una tragedia passata presto sotto silenzio. Lo deve ai propri cari. E lo fa con estrema dignità e discrezione, ma con grande fermezza.
«Vogliamo promuovere quella coscienza della responsabilità personale che a Stava è mancata da parte di molti e poteva evitare il disastro: perché non fu una frana, un’inondazione, una fatalità. Fu il frutto di una serie di scelte insensate e di una collettiva rimozione di assunzione di responsabilità, che portò persino a ignorare chiari segnali premonitori. Lo dice chiaramente la sentenza. Già nel 1975 si accertò che la stabilità del bacino era al limite» rimarca Lucchi.

Sarà un anniversario di memoria, coscienza e responsabilità, come sottolinea la Fondazione. Sabato 19 luglio a Tesero, nel cimitero delle Vittime, per la cerimonia ufficiale arriverà in mattinata il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che presenzierà anche alla cerimonia civile organizzata dal Comune di Tesero, dalla Fondazione e con la Fondazione Vajont, 9 ottobre 1963 e Fondazione Alexander Langer (per chi volesse seguirle, è prevista una diretta streaming sui canali social della Fondazione, www.stava1985.it).
La Fondazione Stava mette a disposizione in modo permanente nella sua sede un percorso didattico ed altri strumenti sul tema della tutela ambientale e il concetto di responsabilità individuale e civile. La formazione è rivolta non solo agli studenti ma anche a tecnici e amministratori, che possono attingere a un archivio di oltre 1.400 fotografie e 600 documenti. Dal Centro, parte il sentiero della memoria, che conduce all’area dove sorgevano i bacini di decantazione.

«La Fondazione nasce per dare un senso a tutti quei morti, affinché le persone non siano scomparse invano» sottolinea Lucchi. «Nacque subito un’associazione di familiari delle vittime. I primi anni furono completamente assorbiti dalla necessaria ricostruzione dei fatti e dal procedimento penale, ma poi l’impegno di quella associazione virò verso una memoria attiva, che si è evoluta nella Fondazione, per avere forza e continuità».
Oggi il Centro di Stava si basa soprattutto sull’impegno volontario di tante persone, anche giovani e nati dopo il 1985. «Vogliamo richiamare tutti alla necessità di rapporti nuovi tra gli uomini. È una dinamica di impegno sociale capace di liberare la disperazione di tutti quei morti, un atto indispensabile per fare memoria» conclude Lucchi. «La rimozione sarebbe un’altra ingiustizia. Massimo non aveva cinque mesi: venne trovato nelle braccia della mamma, che cercò disperatamente di proteggerlo. Un uomo perse moglie e quattro figli e non riuscì mai a riconoscerli».
Nell’immagine in apertura la desolazione dopo la colata di fango – tutte le immagine storiche sono dell’Archivio Fondazione Stava 1985
Si può usare la Carta docente per abbonarsi a VITA?
Certo che sì! Basta emettere un buono sulla piattaforma del ministero del valore dell’abbonamento che si intende acquistare (1 anno carta + digital a 80€ o 1 anno digital a 60€) e inviarci il codice del buono a abbonamenti@vita.it