Social innovation

Un filo per cucire l’integrazione

di Luca Cereda

A Milano, nel quartiere di Lambrate c’è una sartoria unica, nel nome, “Taivé”, e nella storia di questo laboratorio sociale gestito da Caritas per donne di diverse etnie

Si può cucire qualsiasi cosa nella stoffa di un vestito. Storie. Cultura. Integrazione e lavoro. Sono soprattutto queste ultime quelle che con ago e filo si cuciono a Taivé, una stireria sociale che da 12 anni a Milano, nel quartiere di Lambrate, dà lavoro e offre integrazione alle donne Rom. E non solo. Taivé però è un progetto di Caritas Ambrosiana intrinsecamente legato alla cultura Rom, infatti il suo stesso nome arriva da lì, dalla lingua romaní: significa letteralmente “filo”.

È il punto di arrivo e di partenza per l’integrazione cultuale delle donne che lavorano al suo interno: «Abbiamo aperto il laboratorio nel 2009 per consentire ad alcune donne di nazionalità kosovara e macedone che vivevano nel campo Rom di via Novara di emanciparsi dalla cultura patriarcale in cui erano imprigionate, senza lavoro e senza la possibilità di integrazione linguistica e culturale. Perché restavano quasi sempre dentro il campo», spiega Maria Squillaci, coordinatrice del progetto Taivé.

Il filo di Taivé per cucire integrazione

Taivè sorge a Lambrate, frizzante e multietnico quartiere di Milano: «Al suo interno puoi portare dei pantaloni per un rammendo, o entri per far stirare un cappotto. Oppure si possono progettare insieme alle sarte capi d’abbigliamento artigianalmente fatti su misura. E ancora, si trovano fasce per capelli di stoffa colorata, oppure astucci, e ancora sacchetti si stoffa. Insomma, tutto quello che è fatto di tessuto e si possa cucire», spiega Squillaci.

Come racconta il nome sull’insegna e come sta scritto nel progetto Caritas, la stireria solidale Taivé è nato per integrare lavorativamente e quindi anche culturalmente le donne di etnia Rom, «Successivamente però abbiamo coinvolto anche altre donne di differenti nazionalità, ora ci sono donne nigeriane, ragazze che arrivano dal Gambia, ma anche da Marocco e dallo Sri Lanka. La diversità da noi non crea differenze e incomprensioni, ma è un valore aggiunto. È come i colori sui tessuti che cuciamo». In 12 anni, dalle postazioni con le macchine da cucire, sono passate trenta donne fra i 18 e i 50 anni. Le donne di Taivé hanno tutte storie diverse, ma sempre difficili alle loro spalle: dal carcere alla tratta di essere umani.

Quando è possibile intessere bello storie di vita

Dodici anni fa, quando la bottega di Taivè apriva i battenti, dietro al macchina da cucire c’era anche Ramize, quarantanove anni, donna Rom di origini kosovare, che viveva nel campo nomadi abusivo di via Barzaghi. Quando, senza impiego ne una gran conoscenza della lingua, girava per Milano, non sapeva neppure leggere i nomi delle stazioni della metropolitana. Oggi, invece, grazie al progetto sociale che si cuce tra le pareti di Taivé ha votato per le elezioni europee e ora per le amministrative, prima per la sua Europa e poi per la sua città. Ramize infatti da 4 anni ha la cittadinanza italiana. Ora sa leggere e scrivere bene in italiano. Ha un lavoro a tempo indeterminato e non vive più fra le baracche, ma in un alloggio a Quarto Oggiaro. Il destino di Ramize è intrecciato a quello della stireria sociale, perché nel 2001, il campo di via Barzaghi in cui viveva è stato smantellato dal Comune e la sua famiglia si è trasferita nel campo comunale di via Novara. Lì ha conosciuto gli operatori di Caritas Ambrosiana e sfidando la tradizione Rom, nel 2009 ha accettato di cominciare a lavorare fuori dal campo.

Ora “sforna” abiti, pantofole, mascherine colorate – bagliore di colore nei tempi grigi della pandemia -, ma anche astucci di stoffa, borse in feltro e altri oggetti. Le sue borse, visto che il Natale di avvicina, possono diventate ottimi regali. «Grazie a questa opportunità, ho capito che potevo essere molto più utile a tutti uscendo dal campo. All’inizio non è stato facile. Ho dovuto prima di tutto convincere me stessa, poi mio marito e i suoi parenti. Ma alla fine, la mia determinazione e l’incoraggiamento che ho ricevuto dalle operatrici e dalle volontarie della stireria hanno avuto la meglio», testimonia Ramize.

Taivé punto d’arrivo, ma soprattutto luogo di inizio lavorativo per le sue sarte

«Questo ha fatto di Taivé non solo una stireria e sartoria che offre un servizio di qualità alla clientela prevalentemente del quartiere, ma anche un vero e proprio laboratorio culturale tutto al femminile – spiega Maria Squillaci, referente del progetto Taivé -.Grazie alla collaborazione con il progetto Caritas, Vesti Solidale, ora entriamo in una nuova fase, quella del recupero del materiale, che ci è sembrato uno sbocco naturale del lavoro sociale che abbiamo fatto con le persone in oltre 10 anni di storia».

Tra le ragazze di Taivé c’è anche chi ha ripreso gli studi, spiega Squillaci: «Questo lavoro contribuisce a rafforzare l’autostima e la presa di coscienza dei diritti di queste donne e ha migliorato la condizione sociale delle loro famiglie». Negli anni, il progetto si è evoluto, allargandosi ad altre nazionalità, ma anche, in quanto bottega di quartiere, cucendo relazioni tra le persone della zona e con le donne che lavorano al suo interno.

ScartiAMO, una linea di moda creata a Taivé partendo dagli scarti

A Taivè le iniziative nascono dal basso e spontaneamente: «Nel laboratorio della stireria, come nel più classico dei ‘retrobottega’, vigono le nostre regole, quelle che ci siamo dati tutti insieme, coordinatori del progetto e le donne che rendono Taivé quello che è tutti i giorni». Ecco, le donne di Taivé si sono da sempre imposte di evitare il più possibile gli sprechi, di materiali, e in generale di risorse. Da qui è nata l’idea di far si che anche quei pochi scarti della lavorazione, diventassero materiale per creare qualcosa di nuovo, in particolare oggetti di uso quotidiano. «Così abbiamo pensato di dare a quegli scarti la forma più alta che si possa dare ad un tessuto: quello di essere parte di una collezione di moda. Collezione che non si poteva non chiamare ScartiAMO», spiega Maria Squillaci, coordinatrice del progetto Taivé

Cravatte di seta fuori moda riutilizzate per realizzare raffinate bordature di kimono, oppure, cucite insieme, per dare forma a borse e pochette variopinte di diverse fogge e dimensioni. Scampoli di velluto pregiato avanzati nei processi di lavorazione, apparentemente inutilizzabili, trasformati in giacche calde e accoglienti. Sono alcuni dei pezzi di scartiAMO, la prima – e unica – collezione prodotta interamente con materiale di recupero. Questa freschezza di idee fa e ha fatto di Taivé non solo una stireria e sartoria che offre un servizio di qualità alla clientela prevalentemente del quartiere, ma anche un vero e proprio laboratorio culturale tutto al femminile.

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