Welfare
Stranieri & impresabl’alleanza che non si vede
migranti Intervista ad Emilio Tanzi, economista dell'integrazione
di Redazione

Sul territorio a livello locale convivono visioni contrastanti e sorprendenti: «Di qui i sindacati come la Cgil che chiedono meno ingressi, di là gli artigiani che vorrebbero un aumento dei flussi», spiega il docente della Bocconi S ono 3 milioni 432mila 651 gli stranieri residenti in Italia al primo gennaio 2008, 493.729 in più rispetto all’anno precedente (+16,8%). Lo certifica l’Istat nel rapporto La popolazione straniera residente in Italia , sottolineando che «si tratta dell’incremento più elevato mai registrato nel corso della storia dell’immigrazione nel nostro Paese». Aspettando i dati 2009 abbiamo provato ad aprire una finestra sul futuro multietnico in Italia con Emilio Tanzi, fresco autore del suo secondo saggio, Luoghi d’integrazione e convivenza , docente e ricercatore sociale per la Sda Bocconi sulle problematiche di gestione del fenomeno migratorio a livello locale.
Vita: Il caso di Parma, la tragedia di Abba e la prima manifestazione Black Italy non sono un ponte molto rassicurante sul 2009. Cosa ci aspetta all’orizzonte?
Emilio Tanzi: Non credo esistano sufficienti elementi per esprimere un giudizio. Comunque consiglierei di vederli come casi gravi, ma isolati. Non generalizzabili. Per comprendere al meglio la sfida dell’integrazione si dovrebbero studiare le esperienze realizzate in alcune città italiane e straniere, trovare soluzioni capaci di dare concrete risposte alle istanze del territorio. Saper rispondere all’imprenditore che necessita di forza lavoro, all’anziana signora che esprime un disagio nell’adattarsi ai cambiamenti del quartiere, al lavoratore straniero che chiede una semplificazione per rinnovare il permesso di soggiorno. Se si continua a vedere lo straniero come un problema e non come una risorsa allora sì che l’orizzonte si fa cupo. L’integrazione è un processo bidirezionale: loro verso di noi, ma anche noi verso di loro. Non è alimentando la paura verso l’altro che favoriremo l’integrazione.
Vita: La crisi economica colpirà sempre più le fasce deboli. Gli immigrati, categoria non protetta per eccellenza, cosa devono aspettarsi?
Tanzi: Il mercato del lavoro italiano esprime forti richieste di manodopera straniera. Senza il loro contributo molte realtà imprenditoriali dovrebbero chiudere o ridurre drasticamente la produzione. Esistono tuttavia visioni contrastanti. Per esempio, da una parte c’è la Cgil di Treviso che, in linea con il pensiero del ministro Maroni, ha chiesto di ridurre l’ingresso di lavoratori stranieri finché non saranno riassorbiti i disoccupati italiani e stranieri. D’altro canto ci sono, invece, le richieste d’apertura dell’Unione Artigiani di Milano ai flussi migratori, altrimenti l’84% circa delle richieste delle imprese resteranno insoddisfatte. Qual è la richiesta corretta? La risposta va ricercata nei dati. Io non credo che la crisi economica metterà in concorrenza lavoratori stranieri e italiani. Piuttosto si dovrà prestare maggiore attenzione al fenomeno del sommerso che potrebbe avvantaggiarsi della posizione di debolezza del cittadino straniero, la cui possibilità di restare in Italia è sostanzialmente legata alla titolarità di un impiego. Le priorità da affrontare sono due. Maggiori controlli, più severe sanzioni per i datori di lavoro che utilizzano lavoratori in nero e semplificazione delle procedure di rinnovo del permesso di soggiorno, ridefinendo al rialzo il tempo per trovare un impiego.
Vita: Cosa ne pensa delle classi ponte, poi rinominate d’inserimento?
Tanzi: Vi sono istituti ove la concentrazione di alunni stranieri è molto elevata e questo è dovuto essenzialmente ad errate scelte organizzative. Molti alunni stranieri entrano nelle nostre aule (magari ad anno scolastico avviato) senza un adeguato bagaglio linguistico e il rischio che si sentano esclusi è altissimo. Il bimbo italiano, anche se non scrive e non legge, capisce e parla la nostra lingua. Non riconoscere questa differenza non fa altro che alzare un ulteriore muro di discriminazione. Quindi l’idea delle “classi ponte” non è del tutto sbagliata, a patto di usarle per un periodo limitato e solo per l’insegnamento della lingua italiana. Negli altri momenti di vita scolastica è bene che si mantenga la commistione italiani-stranieri. Mi chiedo, però, se esistano fondi per creare delle “classi ponte” veramente utili. Il problema, a mio giudizio, è la mancanza di figure professionali capaci di gestire questa situazione. Perché problematica è la situazione, non i ragazzi. La verità è che si dovrebbe investire di più su insegnanti e multiculturalità. Si dovrebbero ripensare i programmi scolastici, pur senza rinunciare alle nostre specificità. Perché la globalizzazione si gioca sui banchi di scuola.
Vita: Che ruolo gioca la pubblica amministrazione nelle politiche di integrazione?
Tanzi: In Italia, come già avvenuto in Francia e Inghilterra, il numero di conflitti urbani connessi all’immigrazione sta aumentando. Ed è per questo che le amministrazioni comunali sono chiamate a un ruolo strategicamente rilevante nella definizione di quelle politiche utili a favorire i processi d’integrazione. In realtà, però, gli amministratori locali fanno proprie azioni di basso profilo che incontrano minori resistenze da parte della popolazione autoctona, se non addirittura interventi unicamente sul fronte della sicurezza e del controllo, a discapito delle azioni di natura sociale. Nel corso del mio lavoro appare chiara la predominanza delle cosiddette “politiche d’inclusione subordinata”, che riconoscono gli immigrati come una risorsa per il sistema produttivo, ma che non ne accettano la quotidiana presenza. Questa fase di stallo potrà essere superata solo introducendo adeguati meccanismi di rappresentanza, in attesa che si definisca la questione del diritto di voto amministrativo.
Vita: Lei ha dedicato il suo ultimo libro a «tutti quelli che ancora ci credono, nonostante tutto». Non suona granché positivo. Cosa vede in quel «nonostante tutto»?
Tanzi: Il clima, in effetti, non è dei migliori. L’11 settembre ha cambiato radicalmente le percezioni. Spesso si guarda alla religione per preferire un’etnia rispetto a un’altra. E la cosa mi fa sorridere, alla luce di fenomeni come quello delle “bande latine”. Ma ottimista, sinceramente, lo sono ogni qualvolta entro in contatto col non profit, con certe realtà della pubblica amministrazione dove non ci sono solo valori, ma anche professionalità, voglia di mettersi in gioco, idee. Allora si ha l’opportunità di vedere “sportelli unici” in grado di aiutare il cittadino straniero a muoversi tra i servizi territoriali, interventi di formazione per gli operatori chiamati alla gestione delle relazioni con l’utente straniero, occasioni di conoscenza attraverso la condivisione di spazi comuni (quali le lavanderie condominiali o gli orti di quartiere) o del proprio tempo sul modello della “Banca del tempo. È su queste buone prassi che deve fondarsi il dibattito e non sulla paura. Ed è nostro dovere morale dare visibilità a queste esperienze, per dimostrare che la convivenza è realmente possibile.
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