Aperto e chiuso. Il gruppo demenziale su Facebook che incitava a usare i bambini con sindrome di Down come bersaglio, ha suscitato una vasta indignazione mediatica, partita prima nel social network e approdata poi ai quotidiani on line, ai forum, ai programmi radiotelevisivi. Con il risultato di far sparire la vergogna di un gruppo che aveva comunque raccolto qualche centinaio di sostenitori, prima che scattasse l’allarme. Ancora una volta, nel giro di pochi mesi, le persone Down sono nel mirino di una parte di umanità cattiva, insensibile, cinica. Poco importa, come dicono gli addetti ai lavori del web, che si tratta in questo caso di “trolls”, ossia di esibizionisti delle idiozie, per vedere l’effetto che fa. Qui non c’entra Jannacci, con «Vengo anch’io, no tu no». Qui l’idiozia è comunque raffinata, perché si nutre di un “luogo comune” che alberga nel sottofondo peggiore della società. Le persone Down sono infatti identificabili e assimilabili tout court alla diversità da dileggiare, all’handicap da mostrare con l’evidenza morfologica che comporta. Molti hanno sottolineato come Facebook non sia nuova a questi fenomeni, ed è vero. Ma la censura preventiva è impossibile, esattamente come nella vita reale: il bullismo si può stigmatizzare, punire, ma è difficile prevenirlo. A meno che non si agisca costantemente, con forza e serenità, diffondendo anche altre notizie, quelle positive, quelle delle persone che sono capaci di fare rete per solidarietà, per condivisione, per affinità ideale. Dovremo sempre più abituarci al virtuale che diventa reale. Una volta si considerava non reale la televisione, e invece sappiamo quanto i programmi televisivi siano parte integrante della nostra realtà. Adesso tocca al web, e dobbiamo fare i conti, in trincea, anche con questo cybermondo, senza paura, senza reticenze. Fortunatamente la rete è di tutti, anche della gente per bene, anche di chi scrive su Vita. Fortunatamente.
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