La Chiesa non dimentica i diritti dei detenuti
«Avete mai visto la sala degli incontri di Poggioreale? In uno stanzone di 200 metri quadrati ci sono centinaia di persone che parlano, urlano; ci sono bambini piccoli, parenti, amici. Stare un po’ di tempo in tranquillità con il coniuge è un diritto. È un modo per non abbrutirsi». A parlare è don Franco Esposito, cappellano del carcere di Poggioreale, che si appresta a presentare una serie di proposte per il carcere quasi “rivoluzionarie”, a partire da una nuova “disciplina dei rapporti affettivi” tra detenuti e coniugi. È interessante che il diritto delle persone recluse di coltivare gli affetti, anche con momenti di intimità, venga finalmente portato all’attenzione di tutti, e che a farlo sia proprio la Chiesa.
Chi deve occuparsi della salute dei detenuti?
Qual è lo stato della sanità nelle carceri italiane oggi? Pare che non lo sappia quasi nessuno, e che ci siano addirittura Regioni che si sono dimenticate che ora la salute dei detenuti è di loro competenza. Intanto quello che succede lo testimonia con crudezza un detenuto, Dritan Iberisha: «Quando mai si è visto che un medico effettui una visita senza toccare il paziente? E invece in più di una infermeria di carcere mi è capitato di vedere “diagnosi a distanza”. Per non parlare poi della facilità con cui ho visto somministrare una terapia massiccia a base di psicofarmaci. È triste constatare come un sistema sanitario che raggiunge livelli di eccellenza, all’interno delle carceri non rispetti la dignità umana».
Il carcere oggi è un luogo senza speranza
Il 2009 rischia di stabilire il triste record dei suicidi in carcere: mancano tre mesi a fine anno e siamo già a 49, più dello scorso anno. Ad analizzare le possibili cause di questo disastro è Francesco Morelli, detenuto e curatore insieme a Laura Baccaro del libro In carcere: Del suicidio e altre fughe: «E poi in questi anni la speranza di scontare almeno una parte della pena fuori in misura alternativa si è andata affievolendo in maniera spaventosa. Era proprio quella speranza che ha rappresentato un valido deterrente: oggi invece uno sa che se gli danno 10 anni, dovrà probabilmente scontarseli tutti in galera, spesso senza far niente, in luoghi poco umani, in condizioni di maggiore sofferenza».
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