Sostenibilità
Summit sull’ambiente di Bonn: è il funerale di Kyoto?
Il fronte dei Paesi industrializzati che firmò il protocollo per la riduzione dei gas serra è spaccato. E l'esempio di Bush è sempre più trainante
di Redazione
Sulla carta, la conferenza degli Stati membri della Convenzione sul Clima (Cop6bis), che si terrà a Bonn dal 16 al 27 luglio, dovrebbe essere il momento conclusivo di quattro anni di trattative internazionali per concordare misure concrete e regole per fermare i mutamenti climatici. In realtà nessuno dei 170 Paesi partecipanti (6.000 delegati) si attende un accordo. In realtà, la conferenza di Bonn potrebbe trasformarsi nel funerale del protocollo di Kyoto.
Un accordo, infatti, è improbabile. Il fronte dei Paesi industrializzati che nel 1997 a Kyoto si erano impegnati a diminuire entro il 2012 le emissioni dei gas a “effetto serra”, ritenuti responsabile dell’innalzamento della temperatura globale del pianeta del 5,2 per cento rispetto al 1990, sette mesi fa all’Aja non riuscirono a trovare un accordo per l’applicazione pratica dell’impegno. Ora é diviso da una frattura che appare insanabile.
Inoltre, la sessione ministeriale, quella in cui verranno assunte le decisioni più importanti, si terrà tra il 19 e il 22 luglio, in contemporanea con il G8 di Genova, e da questo verrà sicuramente oscurata.
La prima picconata al fragile accordo è arrivata dal presidente americano George W. Bush. In marzo, due mesi dopo essersi insediato alla Casa Bianca, ha fatto piazza pulita dei tentennamenti del suo predecessore e ha detto a chiare lettere che gli Usa non avrebbero ratificato il trattato “perché danneggerebbe gli Stati Uniti” e perché è “iniquo”, visto che non fissando obiettivi da raggiungere per i Paesi in via di sviluppo, lascia campo libero a potenziali grandi inquinatori come Cina e India.
Il no di Bush ha innescato poi una reazione a domino nei Paesi del cosiddetto “Umbrella group”, da sempre vicini alle posizioni Usa sui mutamenti climatici. Sostenendo che senza la partecipazione degli Stati Uniti – il maggior produttore al mondo di gas ad effetto serra (un quarto delle emissioni prodotte dall’uomo, il 36 per cento di quelle prodotte nei Paesi sviluppati che hanno aderito al protocollo di Kyoto) – la ratifica del protocollo non avrebbe senso, hanno fatto marcia indietro anche il Canada, l’Australia e, in maniera meno chiara, il Giappone.
A nulla sono valsi i tentativi di richiamo alle responsabilità verso il pianeta e verso le generazioni future delle Nazioni Unite e i tentativi di lobby dell’Unione europea. “Una azione decisiva contro questa catastrofe climatica è realmente e moralmente un obbligo, ed è sicuramente possibile”, ha scritto in un editoriale apparso sul quotidiano tedesco Bild am Sonntag il direttore del Programma ambientale dell’Onu (Unep), Klaus Toepfer.
L’ultimo colpo è arrivato alla vigilia dell’apertura del vertice del premier giapponese Junichiro Koizumi: “Non abbiamo trovato ancora un modo di cooperare tra Usa, Ue e Giappone. Ritengo che dalla conferenza di Bonn non uscirà un accordo”, ha detto in un dibattito televisivo nel quale ha annunciato che il Giappone deciderà sulla ratifica del trattato dopo la riunione sui cambiamenti climatici prevista in ottobre in Marocco.
Perché il protocollo firmato nel 1997 da 84 Paesi entri in vigore è necessario che venga ratificato entro il 2002 da almeno il 55 per cento del Paesi firmatari che rappresentino almeno il 55 per cento delle emissioni totali. E solo i Paesi che l’hanno ratificato saranno obbligati a rispettarlo. Senza l’appoggio degli Usa (36 per cento delle emissioni) e del Giappone (8,5 per cento), oltre che di Canada e Australia, l’obiettivo è di fatto impossibile.
I sostenitori del trattato, vista la situazione, sono disposti a cedere molto. Alla vigilia del vertice un altro responsabile dell’Onu, Michael Zammit Cutjar, ha evocato la possibilità di rinviare le scadenze previste dal protocollo, se ciò servirà per raggiungere un accordo politico globale che includa gli Usa. “Più tardi si comincerà e più ci costerà – ha spiegato – ma se un rinvio delle scadenze è il prezzo da pagare per concludere un accordo globale politico, una visione a lungo termine lascerebbe pensare che il gioco vale la candela”.
Il commissario europeo all’Ambiente Margot Wallstrom ha detto che l’Europa potrebbe decidere di andare avanti da sola nella strada della riduzione unilaterale delle emissioni, e ha rigettato le critiche di chi sostiene che una scelta simile provocherebbe un grosso svantaggio all’industria del Vecchio continente affermando che i calcoli mostrano che l’Europa è in grado di tagliare le emissioni di anidride carbonica.
Eppure anche il fronte europeo non sembra troppo compatto. Il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi non ha mai dimostrato di apprezzare il trattato, anche se all’indomani dell’insediamento ha detto che l’Italia avrebbe mantenuto gli impegni presi. E il ministro dell’Ambiente italiano solo pochi giorni fa ha esplicitato la preoccupazione per i danni che un’applicazione unilaterale del trattato da parte dell’Europa arrecherebbe alle imprese italiane. “La posizione del governo italiano – ha detto Altero Matteoli in un’audizione alla commissione Ambiente della Camera – sarà coerente con quella dell’Unione europea, ma la ratifica del protocollo di Kyoto avrebbe scarsa efficacia se mancano Paesi del peso di Usa, Giappone, Canada e Australia, senza contare il costo economico maggiore derivante da una ratifica unilaterale di Kyoto da parte dell’Unione europea”. (Fonte: Cnn)
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