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Tbilisi, la dura normalità

La popolazione sfollata in parte ritorna nelle case. Ma a Gori domina ancora la paura. Dal nostro inviato in Georgia

di Maurizio Pagliassotti

Tutto torna alla normalità nella Georgia colpita dalla guerra? Se per i politici locali è tempo di trionfali proclami televisivi per la popolazione sfollata è giunto il momento di lasciare le scuole di Tbilisi e tornare nelle loro case. È il caso soprattutto degli uomini, delle donne e dei bambini scappati da Gori due settimane fa.

Ieri circa 200 pullman hanno lasciato la capitale e hanno riportato a casa migliaia di persone. I mezzi erano stipati di mogli e qualche marito, questi ultimi tutti con le chiavi di casa in mano. Tutti in pensiero per quello che avevano lasciato: un cavallo, un televisore, povere cose. Chi invece ha avuto la casa distrutta dai bombardamenti è rimasto a Tbilisi, assistito, si fa per dire, dl governo.

Gori ieri era attraversata da folle in preda al panico. I saccheggi di cui si è parlato tanto nei giorni precedenti sembra che abbiano colpito solo poche case. Persiste invece il pericolo di ordigni inesplosi e delle mine. Proprio per questo la paura domina la gente: entrare dentro la propria casa è un atto di fede, perché si ha il terrore che la maniglia sia collegata a un esplosivo, o addirittura che gli animali non rubati siano stati lasciati apposta perché avvelenati.

Qualsiasi pezzo di ferro, di bottiglia, di lattina lasciato ai bordi della strada, è visto come un esplosivo. Si cammina facendo zig-zag in un percorso potenzialmente fatale. Il panico è amplificato alla televisione che ama gonfiare i reali casi accaduti, non più di cinque.

Il problema più grave in questo momento sembra si trovi in Ossezia e Abkhazia. Alcuni profughi ancora presenti nella zona di Tbilisi raccontano che via telefono hanno saputo di distruzioni mirate, da parte degli osseti, delle case dei georgiani. In questo momento nella capitale sarebbero presenti ventimila profughi assistiti in gran parte dalla Caritas.

Purtroppo nessuno riesce a fare miracoli e si assiste a scene amare e tragiche.  I volontari sono costretti a fronteggiare l’assalto di madri che chiedono povere cose: una tenda, una teiera, una tanica, tutti beni che non sono presenti in questo momento. Si scatenano quindi discussioni feroci che vedono sempre coinvolte le donne, mentre gli uomini restano sempre in disparte a fumare o a chiacchierare. Questa normalità pare durerà ancora parecchio tempo.

Nella foto: un volontario al centro Caritas di Tbilisi


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