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Cooperazione & Relazioni internazionali

Tempo e competenze, con Jumo arriva la giving revolution

Parla Chris Hughes, fondatore di Facebook

di Rose Hackman

La nuova piattaforma consentirà di andare oltre la semplice donazione di denaro. Sulla carta una svolta per tutto il non profit: «Il mio è un modello diverso da tutti gli altri» È stato invitato infinite volte a riprendere un ruolo attivo in Facebook, ma ha sempre rifiutato. Voleva utilizzare quello che aveva imparato per creare qualcosa di positivo, e forse adesso, ha “finalmente” trovato la sua strada. Da Chris Hughes, il ventiseienne ex compagno di camera di Mark Zuckerberg che ha cofondato Facebook e diretto la campagna online di Obama, nasce Jumo, una nuova iniziativa di social networking di carattere filantropico che in prospettiva porterà una rivoluzione nel mondo del non profit.
La sua missione? «Connettere la gente alle cause, le organizzazioni con gli individui per coltivare relazioni durature e azioni significative».
Il nome della piattaforma, Jumo, vuol dire “il mondo in concerto” nella lingua Yoruba dell’Africa occidentale e il suo lancio ufficiale è previsto per quest’autunno, anche se per adesso si può comunque andare su www.jumo.com per un’anteprima di quello che tanti commentatori hanno già descritto come una “giving revolution”.
Con il logo in evidenza, Jumo chiede ai naviganti di inserire la mail e di rispondere a qualche domanda per aiutare la squadra nella sua ricerca. Dove sei la domenica? Che auto sogni? Qual è il tuo sport preferito? Hughes sembra aver già cominciato un’attività di profiling del potenziale donatore. Alla fine del questionario si viene informati che la squadra Jumo si farà sentire con opportunità che corrispondono al profilo di ciascuno.
L’unico messaggio sulla home page per ora è questo: «Non ci sono soluzioni magiche alle sfide che il nostro mondo affronta. Ma ci sono milioni di persone in giro per il mondo che lavorano ogni giorno per migliorare la vita degli altri. Sfortunatamente, ci sono altri milioni che non sanno come aiutare».
Più che una “call for action”, è una “call to help”. La gente normale quindi, quella fuori dal non profit, non sarebbe vittima di apatia, ma solo di mancanza di conoscenza. Hughes lo conferma: «Voglio far sì che le persone non possano più dire, “voglio aiutare, ma non so come”. Nel sito che creerò questo non sarà più possibile».
Hughes è stato accusato di invadere un mercato saturo creando confusione tra i gruppi non profit che provano già difficoltà a scegliere nella marea di opzioni che hanno per connettersi con il grande pubblico. DonorEdge.org, Idealist.org e LeapAnywhere.com sono solo tre esempi di siti americani che cercano di organizzare e convogliare le donazioni su progetti delle organizzazioni. Cosa renderà Jumo diversa? «Prima potevi contare su persone che davano 10 dollari per un’emergenza umanitaria senza andare oltre. Nel nuovo modello le persone daranno soldi, ma saranno messe nelle condizioni di dare anche tempo e competenze».


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