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Tobino, e la pazzia diventò poesia

di Redazione

Cento anni fa nasceva Mario Tobino, psichiatra e scrittore. Aveva lavorato al manicomio di Maggiano, in provincia di Lucca, una struttura con ben 1.040 malati. Da quell’esperienza nacque nel 1953 un famoso romanzo, Le libere donne di Magliano, che per la prima volta portava alla ribalta la dignità dei “matti”. Quello di Tobino è un approccio poetico alla malattia mentale, cosa che lo mise spesso in polemica con Basaglia. Ma l’inizio di quel romanzo è un fatto memorabile della nostra storia sociale…

Oggi è arrivata, proveniente da Firenze, una malata, una matta, giovane, fresca, alta, con lo stampo della salute fisica. Quando sono entrato nel reparto era seduta a letto e mangiava con golosità. Aveva la camicia aperta sì che le si vedeva comodamente un seno. Non aveva alcun pudore, neppure la finzione del pudore. È affetta da schizofrenia, quella malattia mentale che scompone la persona umana rendendola senza senso e senza scopo… La mia vita è qui, nel manicomio di Lucca. Qui si snodano i miei sentimenti. Qui sincero mi manifesto. Qui vedo albe, tramonti, e il tempo scorre nella mia attenzione. Dentro una stanza del manicomio studio gli uomini e li amo. Qui attendo: gloria e morte. Di qui parto per le vacanze. Qui, fino a questo momento, son ritornato. Ed il mio desiderio è di fare di ogni grano di questo territorio un tranquillo, ordinato, universale parlare… La pazzia è veramente una malattia? Non è soltanto una delle tante misteriose e divine manifestazioni dell’uomo, un’altra realtà dove le emozioni sono più sincere e non meno vive?

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