Welfare
Tre buoni motivi perstudiare l’impresa sociale
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di Redazione

In questi ultimi anni l’offerta formativa sull’impresa sociale è certamente cresciuta in termini quantitativi e forse anche in qualità (anche se questo aspetto dovrebbe essere valutato con maggiore attenzione). Tale crescita si è però accompagnata ad un andamento altalenante della domanda.
È sempre consistente il numero di persone che già operano in queste imprese e che decidono di qualificare la loro professionalità partecipando a corsi formativi, mentre invece sembra diminuire il numero di iscritti a corsi universitari e post universitari partecipati soprattutto da coloro che non hanno significative esperienze lavorative nel settore. Ed è in particolare a queste persone che è utile riepilogare alcuni motivi per cui è necessario, utile e interessante studiare e conoscere l’impresa sociale.
Il primo motivo è legato alla necessità di cogliere gli elementi fondativi che caratterizzano in modo peculiare questa forma d’impresa rispetto ad altre soggettività pubbliche e private. Conoscerne la mission, la storia e le traiettorie di sviluppo, l’assetto organizzativo e di governo non rappresenta infatti un apprendimento fine a se stesso, volto a delimitare l’ambito di azione dell’impresa sociale. Si tratta piuttosto di competenze utili ad avviare forme di collaborazione e di scambio con altre tipologie organizzative e istituzionali. In questi anni, infatti, le imprese sociali hanno imparato a far propri, senza snaturarsi, importanti strumenti e principi di management (dai bilanci sociali alle certificazioni di qualità, fino ai sistemi di controllo e gestione). D’altro canto, dai dirigenti delle imprese sociali del futuro ci si può attendere che sappiano anche influenzare logiche di azione e modalità di gestione tipiche del mondo dell’impresa tout court e della pubblica amministrazione.
Il secondo motivo per cui studiare l’impresa sociale riguarda il fatto che queste imprese sono ancora ben lontane dall’aver raggiunto il limite del loro sviluppo. Se è vero che la prima fase di affermazione del fenomeno si è caratterizzata per una consistente polarizzazione nel settore del welfare socio-assistenziale e nelle politiche del lavoro per fasce deboli grazie alla cooperazione sociale, è altrettanto evidente che rimangono ancora notevoli margini di sviluppo.
La nuova legge ha posto le basi per il superamento di queste “nicchie”, individuando nuovi e promettenti ambiti di attività dove, stando ai risultati di alcune ricerche, le imprese sociali non sono ancora così presenti. Si tratta di ambiti quali la cultura, la formazione e l’educazione, l’ambiente all’interno dei quali si possono dar vita a progetti d’impresa sociale efficaci e sostenibili, puntando in particolare su risorse comunitarie ancora poco utilizzate.
Il terzo motivo per cui studiare e poi trovare spazio all’interno di un’impresa sociale riguarda le motivazioni al lavoro. Si tratta infatti di organizzazioni che sanno “remunerare” non solo (e non tanto) la variabile economica (anche se gli ultimi dati a disposizione smentiscono in buona parte visioni residuali e “precarie” delle retribuzioni e dei contratti di lavoro nelle imprese sociali), ma anche importanti elementi motivazionali di natura estrinseca. Fattori legati, da un lato, alla qualità delle relazioni con beneficiari delle attività e con i colleghi di lavoro (che rappresentano, nei fatti, i beni prodotti da queste imprese) e, dall’altro, alle modalità di gestione dell’impresa e di redistribuzione delle risorse generate secondo principi di equità, costituiscono gli elementi portanti di uno specifico “mix di incentivi” che motiva una quota sempre più consistente di persone a farsi coinvolgere, anche attraverso la formazione, nell’impresa sociale.
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