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Tribunali per i minorenni, il caos calmo della riforma Cartabia

È stata fatta per accorciare i tempi dei procedimenti, ma la riforma della giustizia nei Tribunali per i minorenni allungherà i tempi. Da oggi con l'entrata in vigore della parte processuale della riforma Cartabia i giudici onorari non potranno più seguire gran parte del lavoro relativo alle udienze ma solo dedicarsi all'ascolto dei minori. Migliaia di procedimenti si aggiungono così al lavoro dei (pochi) giudici togati

di Sara De Carli

Al Tribunale per i Minorenni di Milano, nell’anno 2021, i giudici onorari hanno seguito 9.395 istruttorie su delega del giudice togato. A Genova 4.076. A Napoli, 3.840. Da oggi questo non sarà più possibile e il lavoro che fino a ieri è stato fatto dai giudici onorari dovrà essere svolto dai giudici togati: peccato che questi siano troppo pochi per poter sommare a quel che già fanno (in primis l’ambito penale) anche l’ambito civile e l’ascolto dei minori. I conti sono presto fatti: se oggi nei Tribunali per ogni giudice onorario ci sono da due a quattro giudici onorari (a Brescia per esempio ci sono 8 giudici togati da pianta organica, in realtà 7 compresa la presidente e 28 giudici onorari) e in questo modo si garantivano tempi di trattazione mediamente ragionevoli, ecco che la riforma fatta per accorciare i tempi dei processi italiani avrà nei tribunali per i minorenni l’effetto opposto, quello di allungare i procedimenti. «Gli organici restano quelli. Che succede da oggi, per i nuovi procedimenti? Semplicemente sarà impossibile mantenere gli attuali tempi di trattazione. I tempi si allungheranno e ciò è molto preoccupante vista la gravità delle situazioni che arrivano sui nostri tavoli. Questo gioca a sfavore dei bambini, sono loro che ci rimettono: al genitore trascurante fa piacere che l’udienza arrivi tardi», commenta Cristina Maggia, presidente del Tribunale per i minorenni di Brescia e dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia-Aimmf.

Dal 28 febbraio è entrata in vigore la parte processuale della riforma Cartabia, inizialmente prevista per il 30 giugno 2023. A ottobre 2024, poi, entrerà in vigore anche la parte ordinamentale della riforma. Riforma che, per quanto riguarda la giustizia minorile, è stata «precipitosa e non abbastanza mediata», ha scritto Maggia a fine dicembre in un articolo su “Questione Giustizia”. «Un vulnus ormai non più rimediabile», dice oggi. «Abbiamo cominciato ad aprile 2021 a portare all’evidenza del decisore l’impatto della riforma sulla giustizia minorile, non perché volessimo osteggiare la riforma ma per far comprendere le criticità con cui avremmo avuto a che fare. Non siamo mai stati ascoltati. L’unico punto che abbiamo ottenuto è stato il rinvio al 30 giugno del divieto di ascolto per i giudici onorari». È in quell’articolo che sono riportati i numeri dell’impatto della riforma: «Una raccolta di dati fatta “artigianalmente” per evidenziare l’impossibilità che i giudici togati possano sostituire gli onorari senza che i tempi delle procedure si moltiplichino in modo del tutto contrario all’interesse del soggetto minorenne a vedersi riconosciuta la tutela che gli deve essere tempestivamente riservata», scriveva Maggia a dicembre. «Il divieto di delegare un grande numero di attività ci farà precipitare nel caos».

Due sono i temi che oggi, primo giorno della nuova era, la presidente sottolinea. «Il primo è che la riforma ha sovrapposto i Tribunali per i minorenni con i tribunali ordinari, che uguali non sono. Il tribunale ordinario regola torti e ragioni tra due parti che confliggono, il giudice è un terzo. Qui no. Se non ci fossero il dolore, la sofferenza, il pregiudizio di un bambino… le nostre procedure non ci sarebbero. Questo è il nostro focus. Le nostre procedure sono tutte – ciascuna a suo modo – tragiche. Questo non è indifferente. È come voler mettere un vestito taglia 38 a una taglia 46: non ci entra». Eppure questo oggi è l’abito da indossare: «Allora ci vengano dati i mezzi. Dateci la digitalizzazione, le risorse, le persone. Perché oggi non c’è niente».

Foto Unsplash

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