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Migranti

Trieste: per 400 richiedenti asilo un Natale al freddo e al gelo

Nel capoluogo giuliano continua, anche con l'arrivo dell'inverno, l'emergenza umanitaria. I migranti costretti a vivere per strada, molti dei quali richiedenti asilo, a inizio dicembre erano più di 400. Una situazione inumana, che le associazioni cercano di tamponare

di Veronica Rossi

Migranti al buio, in fila, con giacche e vestiti pesanti, in una piazza cittadina

Tra una settimana è Natale. Con l’arrivo delle feste, ci vengono in mente immagini di case addobbate, di lenti pomeriggi davanti al caminetto e di pranzi in famiglia. A Trieste, tuttavia, c’è chi non avrà nulla di tutto questo. Anzi. Non avrà nemmeno un tetto sopra la testa per ripararsi dalle intemperie e dal freddo invernale. Si tratta dei migranti in arrivo dalla rotta balcanica, che ancora si ritrovano a dormire all’addiaccio, riparandosi in molti in una struttura fatiscente a lato della stazione dei treni, il cosiddetto “Silos”.

Secondo le stime delle associazioni che scendono in piazza ad aiutarli, a inizio dicembre erano più di 400. Un numero enorme. Tra questi moltissimi hanno fatto domanda di asilo, ma devono aspettare circa tre mesi per entrare nel sistema di prima accoglienza, che gli spetterebbe di diritto. Tra loro, anche famiglie, bambini e ragazzi; nel capoluogo giuliano, infatti, secondo i dati raccolti dalla Diaconia Valdese e da International rescue committee – Irc, sono arrivati nel solo 2023 2.818 minori stranieri non accompagnati, il 19% delle presenze. I nuclei familiari, invece, sono stati 307, e le donne sole o con figli 167.

Affermare che questa emergenza umanitaria sia causata dall’aumento spropositato degli arrivi sarebbe fuorviante, secondo le persone che si spendono quotidianamente sul campo: è vero che nel 2023 è stata riscontrata in piazza la presenza di14.792 persone (nel 2022 erano 13.127), ma è altrettanto vero che a chiedere di entrare nel sistema di accoglienza sono state solo circa quattro o cinque persone al giorno (117 a novembre e 152 a ottobre, per esempio). Una quantità che potrebbe essere gestita attraverso un sistema di trasferimenti adatto a una città che si trova nel punto di ingresso in Italia della rotta balcanica. Secondo una lettera con cui il prefetto ha declinato l’invito a una conferenza sul tema organizzata sabato scorso, i trasferimenti nel 2023 sono stati 1500: poco più di cento persone al mese di media, quindi.

Per far fronte a questa situazione, sono scese in campo diverse realtà cittadine della solidarietà. La Caritas, per esempio, ha aperto su iniziativa del nuovo vescovo della città – monsignor Enrico Trevisi, insediatosi a inizio febbraio – un dormitorio per dare accoglienza notturna a 24 persone, utilizzando fondi della diocesi. Un centro diurno a pochi passi dalla stazione gestito dalla Comunità di San Martino al Campo offre due docce, un posto dove riscaldarsi e una tazza di té, mentre i volontari dell’associazione Linea d’ombra portano coperte, cibo, supporto in piazza e quelli di Donk humanitarian medicine forniscono assistenza sanitaria gratuita. Tutte attività lodevoli, ma completamente a carico della società civile. «Dal primo dicembre il Consorzio italiano di solidarietà – Ics ha aperto una struttura con 20 posti, che, seppur senza preclusioni, tende a servire i richiedenti asilo che aspettano di entrare nel sistema di accoglienza», dice Gianfranco Schiavone, presidente di Ics e membro dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione – Asgi. «Si tratta di una soluzione che accoglie i più vulnerabili a rotazione, ma è evidente che il rapporto tra letti disponibili e persone fuori dall’accoglienza è talmente spropositato che ci sono migranti che a questa minima possibilità non accedono mai».

Il Comune, che a luglio aveva chiuso il programma “Emergenza freddo”, che consentiva un aumento di posti in dormitorio, ha deciso di far partire col primo gennaio un altro programma, chiamato “Bassa soglia a rotazione”. È stato fatto un invito a presentare delle proposte da parte delle associazioni e degli enti del settore, che tuttavia – secondo Schiavone – presenta delle criticità. Questa misura, infatti, è ricompresa all’interno di un budget complessivo, che deve riguardare anche altre voci di spesa, come l’accoglienza di primo livello, le attività sul tessuto sociale e l’inserimento per le persone – italiane o straniere – che non trovano alloggio. «Anche se non c’è una quantificazione esatta per ogni voce, che viene lasciata alla discrezionalità di ogni singola realtà, è evidente che non si potranno creare più di 20 o 25 posti», commenta il presidente di Ics. «L’unico aspetto positivo è che il programma andrà avanti tutto l’anno, non ci sarà una cessazione come per il freddo. Ci dovrebbe essere una coprogettazione, ma è piuttosto “finta”, perché esclude la possibilità di fare una proposta ragionata e sensata. 20 o 25 posti potrebbero bastare a una piccola cittadina di provincia, non a una città di medie dimensioni situata sulla rotta balcanica; mi sento di dire che è un esempio della politica del disprezzo».

Una battaglia ideologica, insomma. Che stanno scontando i più fragili, costretti a vivere in condizioni inumane. «Quella del Silos è una situazione incredibile, che nessuno di noi tollererebbe nemmeno per un canile», dice Marianna Buttignoni, segretaria di Linea d’ombra. «Si viene morsi dai topi, piove all’interno, non c’è energia elettrica, non c’è un gabinetto, non c’è acqua potabile. Ho visto casi di persone dimesse dall’ospedale con una terapia per la polmonite, in cui il medico italiano scriveva “Si affida al curante, si raccomanda idratazione e riposo”, quando chi vive al Silos deve andarsi a prendere la sera l’acqua con le taniche dalla fontana. La struttura è fatiscente di suo. Noi abbiamo distribuito tende, diamo le coperte ogni sera, la legna per fare il fuoco. Ma il morto di freddo peserà sulla coscienza della città. Io spero che non succeda però vediamo ogni giorno l’ipotermia e i ragazzi coi piedi viola per il freddo».

La giornata dei migranti è scandita dalle code e dalle file. La mattina si alzano e vanno al centro diurno, dove aspettano per accedere a una delle due docce. «Chiaramente per i bisogni non si va in centro diurno ma dove capita», continua Buttignoni. «In zona ci sono solo i bagni della stazione dei treni a un euro e quelli della stazione delle autocorriere a 50 centesimi». Dalle 10:00 alle 12:00 c’è la scuola di italiano al centro diurno, gestita dai volontari di Linea d’ombra. Poi la struttura chiude. Alcuni vanno alla mensa della Caritas per quello che per molti è l’unico pasto della giornata, ma bisogna prendere l’autobus. Incorrendo nel rischio di multe, perché il biglietto costa. Dalle 15:00 alle 19:00 il centro diurno riapre e alla sera c’è in piazza Linea d’ombra. Si distribuiscono vestiti e cibo, ma, di nuovo, è necessario mettersi in fila.

Nelle giornate peggiori – Trieste è la città della Bora, il vento freddo le cui raffiche possono raggiungere velocità anche di 200km/h – fino a pochi mesi fa ci si poteva riparare nel sottopassaggio della stazione. Che da settembre è chiuso. «Non voglio pensare che sia stato chiuso apposta», commenta la volontaria, «voglio pensare che qualcuno se ne sia dimenticato».

Gran parte della cittadinanza, intanto, pare spesso ignara di quanto succede nei pressi della stazione. La solidarietà, tuttavia, passa per la rete: arrivano da tutta Italia e dall’Europa aiuti e sostegni a chi si trova per strada. «Abbiamo continue richieste da parte di gruppi scout», racconta Buttignoni, «anche nelle vacanze di Natale avremo alcuni gruppi che a turno verranno a fare socialità, a portare qualcosa o a fare la pulizia del Silos». Una piccola luce di speranza, che illumina l’abbandono di chi ha lasciato il suo Paese perché non era più possibile viverci. Di chi, quando sente i cannoni della Barcolana, la famosa regata che si tiene a ottobre nel capoluogo giuliano, manda ai volontari dei video pieni di spavento, perché teme che la guerra l’abbia raggiunto. Di chi si fa foto sul molo, con una maglietta di un famoso brand presa in prestito, per non far preoccupare la famiglia a casa, per fare credere di essere arrivato in un Occidente accogliente, rispettoso e aperto a tutti.

Per Natale, le realtà della Rete solidale che prestano aiuto ai migranti senza accoglienza organizzano una raccolta fondi, per contribuire alle loro attività autofinanziate

Immagini e video forniti da Linea d’ombra


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