È un tema in cima all’agenda di tutti i gruppi bancari italiani quello del finanziamento al terzo settore. «Le questioni aperte suI finanziamento a questo tipo di “mercato” sono molteplici», spiega Aldo Lombardo, responsabile Crediti di Banca Prossima: «I limiti con cui è stato pensato il nuovo Fondo di garanzia per le Pmi, sono evidenti. Un gap enorme, per esempio, è dovuto al limite posto sul numero dei dipendenti, che si attesta a 250. Purtroppo le cooperative sociali, indifferentemente di tipo A o B, hanno in media un numero di collaboratori molto superiore a quella soglia, e quindi vengono automaticamente escluse», spiega Lombardo, «senza contare che lo scoring per l’accesso ai fondi, cioè quella griglia preconfezionata che elabora i dati di bilancio dei richiedenti, è pensata ad immagine e somiglianza del for profit, e mette quindi in fuorigioco la cooperazione».
Anche in Unicredit non hanno dubbi sul valore di questa galassia di realtà. «Da sempre per noi un’impresa è un’impresa, non esiste una distinzione in base alla ragione sociale», sottolinea Renato Vichi, capo Ufficio stampa: «Il non profit è un mercato in cui siamo molto presenti e per cui abbiamo apposite proposte bancarie e imprenditoriali. Garantire l’accesso al credito per questo settore è un servizio utile a tutto il Paese».
«I nostri dati dimostrano che le attività economiche del terzo settore sono assimilabili, per bisogni ed entità di richiesta, alle Pmi», sottolinea Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica. «Queste realtà, che hanno un trattamento bancario da sempre prudenziale e sfavorevole rispetto alle imprese for profit, risultano ironicamente essere investimenti più sicuri. Lo testimonia la nostra esperienza di fidi al non profit. Tutti i prestiti fatti con attenzione al sociale sono stati i meno rischiosi, per non dire i più convenienti».
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