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Un buco da 2 milioninel muro di Israele Il progetto iniziale prevedeva un esborso di soli 500mila euro. Che adesso sono quadruplicati. I numeri shock di un economista indipendente: «La spesa ormai è fuori controllo» di Daniele Biella

Medio oriente Mantenere la barriera costa sempre di più

di Redazione

Shir Hever, israeliano, 29 anni, economista, lavora per l’Aic – Alternative information center, organizzazione israelo-palestinese che dal 1988 dà voce alle persone che vivono nei territori occupati. L’ultimo studio realizzato da Hever è sull’economia dell’occupazione, in particolare sui costi del muro che divide Gerusalemme. «I risultati sono “scomodi” per il mio Paese», rivela a Vita. «Ma bisogna avere il coraggio di affrontare la realtà».
Vita: Cosa emerge dallo studio?
Shir Hever: Molti, anche in patria, pensano che l’occupazione dia profitto a Israele. Niente di più sbagliato. I costi dell’occupazione, già altissimi, saranno a breve insostenibili. Parliamo di una spesa che è stata, per il 2007, di 9 miliardi di dollari, e che ogni anno aumenta dell’8%. Di questo passo, tra vent’anni metà del budget statale servirà per coprire i costi dell’occupazione. A ciò vanno aggiunti i sussidi ai coloni (costo della casa abbattuto del 50%, agevolazioni economiche, sull’istruzione, lavorative), e soprattutto l’esborso per la costruzione del muro di Gerusalemme. E pensare che il muro era nato per ridurre i costi. «Con il muro, useremo meno soldati e check-point», avevano pensato.
Vita: Quanto costa il muro?
Hever: Nel progetto iniziale del 2002 il muro costava “solo” 500mila euro. Oggi siamo arrivati a 2 milioni e la spesa cresce ogni giorno. Il governo, lasciando agli abitanti la pianificazione del muro, ha perso il controllo su quanto avviene, e si è creata una schizofrenia generale in cui ognuno cerca di introdurre la propria casa, spostando sempre più a est il tracciato e generando disagi alla popolazione palestinese. Nei casi più eclatanti intervengono le organizzazioni umanitarie, denunciando alla corte israeliana che il muro è illegale per la presenza di palestinesi “intrappolati” a ovest, a volte completamente circondati dalle pareti: il tribunale, che non ha mai riconosciuto la decisione d’illegittimità del muro della Corte internazionale, ogni tanto dà ragione alle ong e dichiara illegale una parte del muro e allora l’esercito la distrugge. Ma meno di un anno dopo, la sentenza viene “dimenticata” e il pezzo di muro viene rifatto nello stesso punto! E con tutto questo costruire e distruggere i costi aumentano.
Vita: Che reazioni ha avuto il suo studio?
Hever: Pochissime in patria, e ancor meno consensi. L’Alternative information center, indipendente e finanziato da donatori europei, è addirittura stato accusato di tradire l’interesse nazionale e fare il gioco del “nemico”. È quasi un rifiuto della realtà. Per noi è difficile portare avanti le nostre tesi, anche se supportate da dati concreti: se giudichi in modo negativo l’occupazione, sei contro Israele. Nei dipartimenti universitari di economia, conservatori e neoliberali allo stesso tempo, le mie ricerche non vengono accettate; va meglio nelle letture settimanali che riesco a dare nei vari circoli culturali. La pressione internazionale su Israele è la cosa più importante per dare un futuro sostenibile a queste terre.
Vita: Quale direzione seguire?
Hever: Cerchiamo di fare un’informazione non veicolata dalla propaganda, da entrambe le parti. Per i palestinesi favoriamo l’informazione come strumento per esercitare i propri diritti, un’alternativa alla violenza. In Israele, invece, la sfida è più difficile: l’informazione ufficiale, come la società civile, è troppo impregnata dalla paura del palestinese. Capita allora che il cinismo sia il sentimento prevalente, che s’impara fin da piccoli. Ne consegue che la maggior parte dei giovani reputa giusta l’occupazione, ma nessuno vuole “esserne parte”. Il senso di non appartenenza è grande: il 40% dei giovani israeliani vuole andare via dal proprio Paese.

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