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Un lavoro e un conto in banca per uscire dalla violenza. Ecco come

Il fatto di non poter disporre di denaro proprio e di non avere un lavoro regolare rende più faticosa per una donna la scelta di sottrarsi al compagno maltrattante. Un problema molto più frequente di quanto si immagini. In Italia il 40% delle donne non ha un proprio conto corrente. Il 30% delle donne che chiede aiuto ai centri antiviolenza subisce anche violenza economica. Da Milano a Palermo, ecco a chi chiedere aiuto

di Sabina Pignataro

Patrizia è uno scricciolo, una donna leggera, molto dolce con i figli, remissiva nelle questioni scolastiche. Suo marito è un uomo molto impegnato, con poco tempo per la famiglia ed una carriera molto avviata. Patrizia non guida se non è indispensabile e soprattutto guida solo se suo marito non c’è. Quando da scuola arrivano spese impreviste, spesso dice «devo chiedere a mio marito, non ho i contanti ora», oppure si rabbuia in silenzio. «Non c’è mai stato bisogno di lavorare – dice – perché la famiglia di mio marito è sempre stata benestante e i figli devono essere seguiti dalla mamma».

Si parla sempre più spesso di violenza fisica ma c’è anche un’altra forma meno conosciuta e altrettanto subdola: è la violenza economica, un tipo di abuso che le rende finanziariamente dipendente e si manifesta con il controllo delle sue risorse e la sua esclusione dalle scelte di spesa o investimento, a cui si aggiungono la negazione dell’accesso al denaro o della partecipazione al mondo del lavoro.

Secondo i dati raccolti nel 2022 dal Telefono Rosa, a subirla è il 30% delle donne che chiede aiuto. Percentuale che sale al 37,8%, secondo l’Istat, se si considerano tutti i centri anti violenza. Inoltre, una ricerca condotta da Episteme dal titolo “Le donne e la gestione famigliare” ha registrato che quasi il 40% delle donne italiane non possiede un proprio conto corrente e la percentuale arriva al 100% per chi ha un basso livello di scolarizzazione.

Le forme di violenza esercitata sulle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza di DiRE-Donne in rete contro la violenza sono di varia natura. La più frequente è quella psicologica, violenza subìta dalla grande maggioranza delle donne (77,3%), seguita da quella fisica (60% circa dei casi). La violenza economica viene esercitata su un numero di donne abbastanza elevato (33,4%) mentre la violenza sessuale e lo stalking riguardano percentuali più basse (15,3% e 14,9%, rispettivamente).

Senza soldi, in lotta con ostacoli burocratici

In presenza di violenza economica la fuorisucita da una relazione tossica si fa ancora più complicata, perché si somma alla difficoltà di accedere alle misure di welfare a causa di procedure burocratiche standardizzate che non rispondono alle necessità specifiche delle donne che hanno subito violenza e che spesso impediscono loro di beneficiarne: tra queste la richiesta della residenza come requisito per usufruire di alcuni servizi, difficoltà a uscire dallo stato di famiglia del maltrattante o di ottenere un Isee separato da quello del maltrattante.

«L’esperienza dei Centri antiviolenza con le donne coinvolte in situazioni di violenza ci ha portate a riconoscere l’intimo e necessario legame tra l’uscita dalla violenza e il recupero della piena autonomia sotto il profilo sociale ed economico», osserva la Presidente D.i.Re Antonella Veltri. «Sebbene sia fondamentale agire con sistemi di protezione ed accoglienza per preservare la vita delle donne, è altrettanto fondamentale necessaria l’attivazione di percorsi di empowerment e di sostegno all’autostima, misure di sostegno al reddito, accesso a servizi di qualità e a prezzi accessibili, programmi di inserimento lavorativo».

Oltre a questo, emerge anche la difficoltà a mantenere il posto di lavoro dovendo conciliare i tempi di vita che nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza si complicano con una serie di ulteriori impegni che le donne devono assolvere, per esempio gli incontri con i servizi socio sanitari, i colloqui al centro antiviolenza e le udienze in tribunale che richiedono una preparazione prima e un tempo di recupero successivo. «Se il congedo specifico per donne vittime di violenza è stata una misura importante, preme anche dire che è una conquista a metà perché spesso le donne avrebbero bisogno di più tempo rispetto a quello previsto dal congedo», osserva ancora Veltri.

Serve più attenzione nei luoghi di lavoro

«Importante quindi rimane ancora il riconoscimento dei luoghi di lavoro rispetto ai bisogni specifici delle donne coinvolte nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, creando ambienti accoglienti, non giudicanti e che facilitino le loro vite». Per questo, D.i.Re è impegnata nella formazione nei luoghi di lavoro rispetto alla complessità del fenomeno e delle possibilità per lavoratori e lavoratrici di essere attori attivi di cambiamento culturale e di sostegno concreto a colleghe che si trovano in situazioni di violenza.

«Non c’è violenza di genere che non si manifesti anche nella sfera economica», osserva Silvia Carameli, responsabile dell’area Housing di Fondazione Arché, pensando al vissuto delle tante donne affiancate quotidianamente. «I partner non permettevano loro né di accedere ai conti correnti famigliari né di intraprendere un percorso lavorativo. Volevano un controllo assoluto sulle loro vite». Un atteggiamento che ha conseguenze anche sulle stesse vittime: «spesso, infatti, queste donne sono prive dei mezzi economici basilari per poter fuggire e iniziare una nuova vita». Per questo, una volta arrivate in Arché, le donne che decidono di sottrarsi alla violenza vengono gradualmente accompagnate in un percorso di inserimento lavorativo in grado anche di rispondere alle competenze e alle aspirazioni di ciascuna. «Abbiamo avviato delle preziose collaborazioni con imprese pronte a offrire opportunità di lavoro che garantiscono la conciliazione tempi di lavoro, vita e gestione dei figli», spiega ancora Carameli. «Per donne single e prive di una rete famigliare, si dimostra una delle necessità più impellenti».

Reddito, casa, lavoro sono gli ingredienti fondamentali

Nel rapporto di ActionAid “Diritti in bilico”, dedicato all’analisi delle politiche e degli strumenti nazionali e regionali a sostegno delle donne, si legge che dal 2015 al 2022 il nostro Paese ha speso 157 milioni di euro per supportare le donne nel percorso di uscita dalla violenza. Circa 20 milioni di euro per misure di sostegno al reddito, 124 milioni di euro per interventi di (re)inserimento lavorativo e 12 milioni di euro per favorire l’autonomia abitativa. Secondo gli esperti, reddito, casa, lavoro sono gli ingredienti fondamentali per aiutare le donne a uscire da situazioni di violenza e raggiungere la piena emancipazione.

Il reddito di libertà: una misura concreta per cambiare vita

La Sardegna è stata la prima Regione ad adottare nel 2018 una misura di sostegno al reddito specificatamente rivolta a donne che cercano di uscire da contesti di violenza. Denominata “Reddito di libertà”, prevede un sussidio mensile di 780 euro per massimo 3 anni. Nello stesso anno, il Lazio ha istituito il “Contributo di libertà”, destinando alle beneficiarie massimo 5mila euro una tantum.
Nel 2020, il Parlamento italiano ha istituito il “Reddito di libertà” a livello nazionale. La quota allocata è di 12 milioni di euro, permettendo a massimo 2.500 donne di beneficiarne. Il rapporto di ActionAid sottolinea che, solo nel 2020, l’Inps ha registrato 3.283 richieste di contributo. E, secondo l’Istat, sarebbero circa 21mila all’anno le donne inserite in percorsi di fuoriuscita dalla violenza che potrebbero beneficiare di misure di supporto al reddito.

Una via d’uscita è possibile

Patrizia, la donna di cui abbiamo raccontato all'inizio, si è avvicinata allo Spazio Donna WeWorld grazie al suggerimento di un’amica e spinta dalla voglia di entrare nel mondo del lavoro. Ha infatti deciso di partecipare ad un incontro con le esperte del centro per un bilancio delle sue competenze: lei che non aveva mai lavorato, se non saltuariamente. Da questo momento ha iniziato un percorso di empowerment che ha portato alla luce anche la sua storia di violenza economica e psicologica. Grazie allo Spazio Donna WeWorld oggi è più consapevole delle sue risorse, fino a quel momento sottovalutate a causa dalle continue mortificazioni. Patrizia ha chiesto col tempo la separazione, accettata dal marito che rideva di lei, pensando che non se la sarebbe cavata senza di lui. Oggi invece i suoi occhi non più rassegnati e sente di aver garantito un futuro nuovo a se stessa e ai suoi figli.

È positiva anche la testimonianza di Nicoletta Cosentino, di Palermo, che con i suoi due figli è sopravvissuta a una relazione abusante, e oggi accompagna altre donne sullo stesso percorso con l’impresa sociale. Si sono chiamate “Le cuoche combattenti” e producono dolci, conserve e marmellate: su ogni loro vasetto scrivono una frase, un motto che aiuti le altre a essere più consapevoli. Somiglia ai bigliettini dei baci di cioccolato, solo che qui l’amore è amor proprio, amore della propria dignità, amore del proprio valore. Nicoletta ha una storia di dolore e di riscatto, di sofferenza e liberazione, di inferno e paradiso, una storia tortuosa e difficile come sono le storie vere delle persone vere. Insieme ad altre donne con una storia simile alla sua ha messo in piedi a Palermo un’impresa sociale che produce dolci, conserve e marmellate. e

Foto in apertura, Io sono VIVA, dolci e gelati

Per chiedere aiuto

A livello nazionale
A questo link sono disponibili tutti i numeri di telefono dei centri antiviolenza D.i.Re, città per città, in ordine alfabetico.
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A Milano, Io sono VIVA, dolci e gelati
“Io sono VIVA, dolci e gelati” è il progetto della chef stellata Viviana Varese: una pasticceria in cui lavorano donne sfuggite ai tanti volti della violenza di genere. La squadra è tutta formata da donne. L’obiettivo del progetto nato in collaborazione con CADMI, il primo centro antiviolenza aperto in Italia, è quello di ridare dignità e indipendenza economica alle donne che hanno vissuto violenza sia essa fisica, psicologica, sessuale, economica o stalking attraverso il lavoro.
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A Milano, Fondazione Arché
Fondazione Arché accoglie mamme in difficoltà con i loro figli a Milano nelle comunità Casa Carla e Casa Adriana e a Roma Casa Marzia, negli appartamenti di semi autonomia sul territorio. Vi si può accedere su segnalazione dei Servizi Sociali e degli enti territoriali. Nel corso del 2022, all’interno delle sole due strutture di Milano, sono stati accolti 24 nuclei “mamma – bambino”, per un totale di 39 minori e 24 adulti, mentre nei 39 appartamenti che gestisce sono entrati 122 beneficiari, 57 minori e 65 adulti.
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A Milano, Spazio Donna di WeWorld
Negli otto Spazi Donna WeWorld presenti in Italia, staff femminile specializzato permette di creare un luogo di accoglienza e di aggregazione dove costruire relazioni di fiducia e attivare nelle donne una presa di coscienza, attraverso interventi in grado di restituire autostima, progettualità e autonomia. Le attività proposte sono gratuite, con un’attenzione specifica rivolta alla relazione mamma/ bambino e ai più piccoli, attraverso un servizio dedicato.
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A Palermo, Cuoche combattenti
Un progetto di imprenditoria sociale che ha come obiettivo l’emancipazione economica delle donne vittime di violenza di genere. Producono confetture di frutta di stagione e marmellate, conserve dolci e salate, prodotti da forno.
Per sostenere il progetto è attiva una raccolta fondi
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