Non profit

Una casa ai sinti.E mestre fala guerra a cacciari

razzismo Un comitato "del no" blocca un villaggio per nomadi

di Redazione

Del futuro Villaggio sinti di via Vallenari si parla da anni, a Favaro Veneto, frazione di Mestre. Nel lontano 1998 è stato approvato il progetto di costruire 38 alloggi prefabbricati (10 metri e mezzo per 3 e mezzo, con bagno), per ospitare 160 persone, adulti e bambini.
L’idea è nata dall’incontro tra i sinti, tutti cittadini italiani, il Comune, la Regione e il ministero. Solo che i fondi statali per realizzare il villaggio non sono mai arrivati. Ora il sindaco Cacciari sembra determinato a rispettare l’accordo, con finanziamento comunale. I lavori dovevano iniziare il 23 giugno, ma per la seconda volta il comitato “No campi nomadi” è riuscito a bloccare tutto. Il costo è di 2,8 milioni di euro contro i 120 milioni che il Comune spende per mille nuovi alloggi destinati ai gagi, cioè i non rom. In pratica, un prefabbricato costa 73.700 euro, mentre per un alloggio di edilizia residenziale pubblica la spesa è di 120mila, quasi il doppio. «Che facciano domanda anche loro per la casa popolare, se sono italiani. Hanno tanti figli e sarebbero ai primi posti in graduatoria», è la voce del comitato nato solo qualche settimana fa a Favaro. Ne fanno parte 20 (o giù di lì) persone, appoggiate dalla Lega e Alleanza nazionale. Il Comune ha tentato di mediare, ma il loro no è no e basta.
Difficile definire ancora nomade la comunità sinti che abita a Favaro dal 1968. Alcuni, in effetti, si sono adattati a vivere in appartamento, come i gagi, e come vorrebbero quelli del comitato. Gli altri stanno ancora in roulotte, in un campo a soli 500 metri dal sito dove dovrebbe sorgere il villaggio. È la stessa via Vallenari. Ogni famiglia sinti ha un furgoncino per raccogliere il ferro per Veritas, la società che gestisce la raccolta dei rifiuti nel territorio di Venezia. Insomma, in molti lavorano regolarmente e i bambini vanno a scuola, per lo meno quella dell’obbligo. Poi basta, anche perché spesso non ci sono i mezzi per farli studiare oltre.

Il blocco con i trattori
Don Dino Pistolato, direttore della Caritas veneziana, che conosce i sinti di Favaro da 26 anni, spiega: «Sono istriani, italiani da generazioni. Dopo la seconda Guerra mondiale hanno dovuto abbandonare l’ex Jugoslavia di Tito. Quarant’anni fa monsignor Valentino Vecchi decise di donare loro il terreno in cui vivono. In molti, infatti, erano stufi di vederli girare tra Marghera, Mestre e dintorni. Tra l’altro, qui un tempo non c’era niente, solo campi. Non davano fastidio a nessuno».
Al campo, Paolo, Stefano e Gaetano raccontano com’era diversa la vita, prima che costruissero i condomini proprio a fianco alle roulotte: «C’era sempre la musica e ogni fine settimana si faceva festa. Certo, in mezzo al fango, perché la strada l’hanno costruita solo qualche anno fa. Ma ora il fuoco per la griglia non lo possiamo più accendere, altrimenti affumichiamo i vicini! E ci è toccato spegnere gli stereo. Insomma, dicono che Cacciari è dalla nostra parte. Ma una volta è venuto a dirci quali erano le regole, ci ha detto che dovevamo rigare dritto, altrimenti via».
Il vero problema, per i sinti, non sono la musica e le feste. Ci si arrangia, si fa la colletta, si affitta un agriturismo in campagna una volta ogni tanto e si festeggia in 300. È l’accoglienza che è diversa: «Una volta, quando c’era miseria anche in Veneto, un mestolo di minestra non si negava a nessuno. Era come si fa qui al campo. Si prepara sempre un piatto in più da condividere con i vicini. Oggi iniziamo anche ad avere paura di queste persone del comitato, che dal primo giorno hanno cercato lo scontro con noi».
A fine maggio il comitato è già riuscito a impedire l’inizio dei lavori per il villaggio bloccando gli accessi con i lucchetti o i rimorchi dei trattori. Prima di allora le sole proteste nei confronti dei sinti erano state piccole cose, lamentele per la musica o il rumore delle auto troppo veloci. «Che i torni a casa loro se i no vol integrarse! Diritti e doveri per tutti», dicono i 20 del comitato. Tra loro c’è chi si dichiara preoccupato per i bambini che non vanno a scuola. Chi dice che gli stanno facendo le villette con la piscina. Che il loro non è modo di vivere. Che forse uno è onesto, ma il 99% ruba. E alla fine: «Una vita di sacrifici per farmi una casa e poi accanto mi fanno un campo nomadi, così la mia proprietà non varrà più niente». Ma attorno al sito individuato per il villaggio ci sono cinque case, numero esatto. Dei futuri vicini, solo in tre famiglie protestano. Gli altri del comitato non vivono a ridosso delle future “villette con piscina”.

Prima i veneti, poi gli altri
Intanto, a soli 500 metri di distanza, Gaetano dice: «Oggi, se si rimandasse ancora la costruzione del villaggio, per noi sarebbe una delusione enorme, e significherebbe un altro duro inverno al campo. D’estate si sta anche bene, ma quando fa freddo è un inferno: abbiamo solo otto bagni, in 160. Nelle nuove case, almeno, ogni famiglia avrebbe il suo». E continua: «Ho 43 anni. Da sempre mi dicono: “Prima dobbiamo fare per i veneti, poi venite voi”. A parte che io sono italiano, ma in fondo chiediamo solo di poter vivere decentemente, secondo la nostra tradizione. Mi sembra che sia un diritto. Ma in Italia le minoranze non hanno rappresentanza politica, allora contano poco o nulla». Altrimenti non si spiegherebbe come 20 persone di un comitato riescano a fare la voce così grossa contro un progetto per 160 “altri” cittadini italiani.

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