Cultura

Una mappa per fare comunità

Importate dall'Inghilterra, dove sono nate negli anni '80, le mappe di comunità sono uno strumento per stimolare la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali sui luoghi che abitano, attraverso la rappresentazione del patrimonio paesaggistico e culturale. In Italia sono attive alcune sperimentazioni, con il coinvolgimento di persone di diverse età

di Veronica Rossi

“Una mappa di comunità è uno strumento e allo stesso tempo un processo: permette agli abitanti di un territorio di riappropriarsi dei luoghi in cui vivono attraverso la loro rappresentazione”. A parlare così è Nadia Carestiato, docente di geografia umana all’Università di Udine che, assieme alla collega Patrizia Quattrocchi, antropologa, ha gestito un progetto per la realizzazione di una di queste mappe, all’interno di un’iniziativa interdipartimentale dell’ateneo sul tema dell’invecchiamento attivo. Nel corso dell’iniziativa sono state coinvolte persone di tutte le età, dagli anziani dell’Università della terza età ai laureandi, passando per gli studenti di un liceo artistico cittadino.

Lo strumento è nato negli anni ’80 del secolo scorso, da un’idea dell’associazione inglese, Common ground. “Lo scopo iniziale che si proponevano i suoi inventori”, spiega Carestiato, “era il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali riguardanti i luoghi in cui vivevano, partendo dall’identificazione delle loro caratteristiche principali, dal punto di vista paesaggistico e architettonico, ma anche da quello della cultura e delle tradizioni. Vengono rappresentanti gli elementi macroscopici, come i campi o le industrie, ma anche quelli più minuti, come il tipo di colture seminate storicamente in un luogo”. Insomma, una mappa di comunità è un mezzo per delineare la local distinctivness, quello che caratterizza una zona rispetto a un'altra, in modo da stabilire delle direttrici per lo sviluppo futuro a livello locale.

Questo strumento di partecipazione è stato importato in Italia dagli ecomusei, istituzioni che si occupano di far ricerca, divulgazione e valorizzazione dei beni naturali e culturali dei diversi territori. “Lavoriamo con le comunità”, dice Maurizio Tondolo, presidente dell’Ecomuseo delle acque del gemonese, in provincia di Udine, “per recuperarne il patrimonio ambientale e paesaggistico. Per ora nella nostra area abbiamo realizzato quattro mappe: credo che, al momento, siamo la realtà che ne ha prodotte di più”.

Se il Friuli è particolarmente attivo in questo ambito, non è però l’unica regione in cui si stanno avviando dei processi in questo senso. A Cuneo l’Ecomuseo dei terrazzamenti e della vite e quello della pastorizia hanno intrapreso dei percorsi che hanno portato la cittadinanza a una maggiore consapevolezza sul proprio patrimonio ambientale; nel casentino sono state realizzate tre mappe, mentre a Trento questo strumento è stato sperimentato anche con il coinvolgimento delle Pro loco.

Il fil rouge di tutte queste esperienze è l’utilizzo del processo partecipativo come motore per l’azione sul territorio. “A Susans, una delle zone su cui ci siamo concentrati”, afferma Tondolo, “dal gruppo di lavoro è emersa la necessità di recuperare un muretto a secco che univa due frazioni; da poco, l’intervento si è concluso e l’area, che ha una vocazione turistica, è stata rivalutata”. Un altro successo dell’Ecomuseo delle acque del gemonese è stato la riconversione dei roccoli, particolari boschi circolari utilizzati per l’uccellagione, in luoghi per lo svolgimento di manifestazioni culturali, come concerti e conferenze.

Il percorso per la creazione di una mappa di comunità è lungo, della durata minima di un anno. “Anche la realizzazione del prodotto finale”, afferma Carestiato, “non dovrebbe essere intesa come la conclusione del processo, ma come una fase fondamentale di un cammino che deve rimanere aperto”. Per questo motivo, se affidare il disegno a un grafico esterno assicura la professionalità del risultato, qualche studioso preferisce che la persona che va a mettere su carta il lavoro di recupero del patrimonio paesaggistico e culturale sia interna al gruppo impegnato nel percorso.

L’esperienza di Udine, in questo senso, è stata innovativa: a disegnare la mappa sono stati alcuni ragazzi del liceo artistico statale Giovanni Sello, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro. “Abbiamo voluto dare uno sguardo intergenerazionale”, commenta la professoressa, “per capire com’era la città in passato, com’è vissuta oggi e cosa si può fare in futuro perché gli spazi pubblici non siano visti solo per un utilizzo privato e capitalistico, ma come luoghi di aggregazione per i cittadini”.

Le persone coinvolte nel progetto – circa una trentina, di età differenti – si sono divise in sottogruppi, che hanno lavorato nelle diverse aree urbane, dal centro alla periferia. “Per aiutare i partecipanti a trovare un loro linguaggio”, racconta Carestiato, “abbiamo anche organizzato tre laboratori, uno sul landscape storytelling, uno sulla georeferenziazione e uno sulla realtà virtuale immersiva”.

Ora la mappa è pronta: ci sono vari elementi della città, dal castello al parco con la sua pista di skateboard, rappresentati con una logica non gerarchica. Il passaggio successivo sarà la digitalizzazione. Il disegno, scansionato, diventerà interattivo; chiunque potrà consultarlo, anche nella sua parte narrativa, accendendo dal portale dell’Università o attraverso un QR code.

“Vorremmo che questo strumento rimanesse aperto”, conclude la geografa, “in modo che possa essere alimentato e aggiornato continuamente attraverso il coinvolgimento di nuovi soggetti.

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