Non profit
Una rivoluzione impossibile
L’Iran non può cambiare con un presidente, il problema di questi giovani è il fatto che si confrontano con una società dominata da classi sociali religiosissime e conservatrici
di Redazione

di Sara Hejazi, da Mashad (nord est dell’Iran)
Mashad quasi al confine con il Turkmenistan, è una città di pellegrinaggio religioso di 3 milioni di persone. La stampa iraniana definisce i manifestanti ribelli, agitatori esterni, e naturalmente ribadisce che tutto si è svolto in modo regolare. Ieri Ali Khamenei la guida suprema della repubblica islamica ha parlato alla nazione, rassicurando gli iraniani sul fatto che è possibile ricontare i voti, se davvero dubbi sulla trasperenza delle elezioni persistono, ma non di rifare le elezioni. In realtà a causa dei disordini di questi giorni lo Shoray Negah Ban, il concilio dei Guardiani composto da sei uomini, che fungono da filtro di controllo per la presidenza della repubblica, non hanno firmato la presidenza di Ahmadinejad, per cui in questo momento l`Iran non ha ufficialmente un presidente della Repubblica, anche se poi hanno parlato della visita di Ahamdinejad in Russia come la visita del presidente iraniano.
Le manifestazioni di Teheran sono organizzate tramite passaparola, sms e prima facebook, ma ora i due più importanti social network sono filtrati, e nessuno vi ha accesso.
I messaggi normalmente indicano orario e luogo di incontro, eventualmente il colore da indossare per riconoscersi. Fuori da Teheran non si respira aria di rivoluzione… piuttosto di rassegnazione. Il governo ha dimostrato di non avere alcun problema a soffocare le rivolte, anzi. Con il terrore riesce sempre ad avere la meglio sui giovani, è successo anche a Mashad, dove aspettavamo una grande manifestazione al Park E Mellat, ma poi arrivati lì la polizia era talmente numerosa e pronta a menare che la manifestazione si è dispersa quasi subito.
Non credo che per i giovani sia poi così importante chi sia il loro presidente, stanno protestando per la loro vita, per cambiare l’Iran, infatti non c’è un’ideologia politica alla base dei movimenti, solo malcontento e voglia di cambiamento.
Mussavi non è l’anti Ahmadinejad, è un uomo dell’establishment, ma rappresenta la possibilità di cambiare, una sorta di spiraglio di apertura. L’Iran non può cambiare con un presidente, il problema di questi giovani non è tanto il governo, ma il fatto che si confrontano con una società composta in gran parte da classi sociali religiosissime e conservatrici. Un giovane studente di Teheran è culturalmente lontano da una chadorì di Yazd esattamente quanto lo possiamo essere noi, anche se portano sullla carta la stessa nazionalità.
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