Non profit

Una sfida anche per le grandi imprese

Filippo Veglio - WBCSD

di Redazione

Il punto è conciliare l’impresa con la sostenibilità anche ambientale. Dare l’accesso energetico universale senza però alzare troppo il livello di emissioni di CO2. Un risultato possibile secondo molti osservatori». Perché questo risultato sia a portata di mano, avverte però Filippo Veglio, deputy director all’agenzia Wbcsd – World Business Council for Sustainable Development, sono necessarie determinate condizioni: «Il rapporto fra business, accesso universale e green economy non va semplificato».
In che senso?
Specialmente per le grandi imprese, occorre tener conto di molti fattori: le dimensioni, la complessità, l’aspetto commerciale, la sostenibilità anche economica di un progetto.
Nel rapporto “Business solutions to enable energy access for all” avete analizzato molte aziende. Quali costanti avete potuto riscontrare?
Molto spesso quando si discute di accesso energetico si fa riferimento alle imprese sociali, alle ong. Accingendoci a compiere quest’analisi il nostro obiettivo era comprendere in particolare il contributo delle grande aziende. E dunque abbiano studiato 20 imprese, cercando di capire quali erano le loro motivazioni. E quali percorsi hanno elaborato i big player in riferimento al tema dell’accesso.
Quali sono stati?
In generale hanno lavorato su quattro filoni. E cioè anzitutto la messa a punto di modelli innovativi di business, poi la regolazione ovvero la sinergia con le politiche pubbliche che ovviamente possono essere molto significative, il finanziamento e il rapporto con le istituzioni pubbliche. Poi naturalmente ciascuna azienda ha elaborato strategie specifiche. Qualcuna è riuscita ad assumere punti di vista non particolaristici.
Cosa vuol dire?
Intendo riferirmi al fatto che spesso le aziende sostengono dei progetti che però non fanno la differenza. Sono iniziative positive, meritorie, ma molto specifiche, locali. Viceversa alcune hanno saputo avere un’ottica sistemica. Per esempio la francese Schneider Electric ha adottato, in un suo progetto in Vietnam, una prospettiva di questo tipo, e ha proposto un modello che affianca il business con un fondo di investimento che sostiene le imprese anche sociali, l’innovazione tecnologica e l’investimento sulle persone, per le quali vengono realizzati dei corsi di formazione perché diventino agenti di sviluppo.
Quest’ultima parte è forse la più strategica…
Certo perché punta all’empowerment e guarda al futuro.
Oltre l’80% della popolazione senza accesso all’energia vive nelle zone rurali. L’industria riuscirà a raggiungere queste persone?
Occorre sempre fare una analisi del rapporto costi-benefici anche in termini di sostenibilità imprenditoriale ed ambientale. In molti casi occorrerà elaborare soluzioni decentralizzate per soddisfare il fabbisogno energetico di questi Paesi. E spesso saranno soluzioni possibili grazie alle rinnovabili o utilizzando energia prodotta in modi diversi secondo un’ottica di integrazione. È quello che ha fatto ad esempio la danese Novozymes che in Mozambico si è posta il problema della deforestazione connessa al fatto che la legna viene usata per cucinare. Quindi ha coinvolto gli agricoltori sulla produzione dell’etanolo con cui sostituire la legna.

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