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Il mondo in guerra

Un’idea di pace “operosa”. La lezione di San Benedetto

All’Angelus Papa Francesco si è augurato che il Natale porti a «passi concreti per la pace». Qui una riflessione del filosofo e saggista Pietro Piro: «L’idea di Pace che potremmo percorrere è quella di una comunità operosa che mette al centro la cura degli spazi “comuni”, imparando dallo stile di vita delle comunità benedettine»

di Pietro Piro

È diventata una esigenza imprescindibile per me parlare da amico agli amici.  Parlare con quella tenerezza e confidenza che si crea quando le persone hanno fatto un pezzo di strada insieme e subito si riconoscono guardandosi negli occhi. D’altronde, è impossibile parlare di Pace se esistono tra noi motivi d’inimicizia, sentimenti d’ostilità, invidie, gelosie, vecchi rancori mai sopiti. Il Signore è stato chiarissimo in merito:

Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 

Quello che provo a fare nella mia quotidianità più spicciola è provare a mettere al centro del mio agire un atteggiamento di pacificazione,  di perdono,  di risanamento dei conflitti. Senza questo sforzo intimo, quotidiano, minuscolo e quasi invisibile, non possiamo nemmeno azzardarci a parlare di Pace.

Tuttavia, la strada del perdono e della riconciliazione non è certo facile.  Anzi, direi che è la strada più difficile da percorrere per un’umanità che è entrata in un conflitto permanente  con l’ecosistema che la ospita e che sistematicamente distrugge le basi della sua stessa sopravvivenza.  Purtroppo, noi siamo una specie in guerra non solo contro i nostri simili, ma anche contro tutti gli altri esseri viventi e con le radici stesse della vita sul Pianeta.  

La Pace una strada difficile o di cosa parliamo quando parliamo di Pace

Quando noi parliamo di Pace di che cosa parliamo?

È evidente che la mia idea di Pace può essere diversa da quella di altri.  Pace economica, Pace sociale, Pace spirituale? Quale Pace è necessaria? 

Quando vivevo a Madrid mi è capitato di parlare con degli anziani sostenitori di Francisco Franco che sostenevano che grazie al suo operato, la Spagna aveva goduto di un lungo periodo di Pace.  Nel film documentario di Nanni Moretti “Santiago, Italia” che racconta i mesi successivi al colpo di Stato in Cile del 1973, c’è una intervista a un generale che sostiene che il colpo di stato abbia salvato il Cile dalla rovina e regalato al paese Pace e prosperità.  Dal 1948 al 1991 il governo di etnia bianca del Sudafrica considerava l’apartheid uno strumento fondamentale per mantenere la Pace.  

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Potrei continuare all’infinito in questo genere di elenco. Mi pare evidente che bisogna capire che esiste la Pace dei vincitori e quella dei vinti. La Pace dei forti e quella dei deboli. La Pace dei generali e quella dei politici. La Pace dei torturatori e quella dei torturati. È la stessa Pace quella che hanno in mente le grandi multinazionali e quella dei piccoli contadini?  

Ha ragione chi dice che dobbiamo capire che esistono le Paci e che ognuna dipende dalla storia di quella regione del mondo. E che regioni diverse possono avere stili e percorsi opposti e apparentemente divergenti. Quindi, quando mi trovo di fronte all’ennesimo conflitto, la prima domanda che mi faccio è: quale idea di Pace avete fratelli? Somiglia alla mia? Possiamo costruire insieme una Pace che sia buona per entrambi? 

Oppure, siamo portatori di valori e di visioni del mondo che non possono mai convivere senza generare conflitto e inimicizia? Siamo pronti, entrambi, a rinunciare alla nostra idea di Pace per costruire una Pace diversa ma che ci permetta di vivere in comunione fraterna?

Un’idea di Pace

È evidente che ognuno di noi è portatore di un idea di Pace che si è costruito nel tempo.  La seconda questione è strettamente legata alla prima: vorrei fare un accenno a quella che è oggi l’idea di Pace che più sento vicina. Semplicemente, si potrebbe definire una “pax benedettina”.  

Voi conoscete perfettamente questo motto della tradizione benedettina: Ora et labora et lege et noli contristari in laetitia pacis! [Prega, lavora, studia e nella gioia della Pace non farti prendere dalla sfiducia!]. 

Qui dirò solo che la mia idea di Pace è operosa. Non possiamo costruire Pace senza un opera continua di bonifica. Bonifica che parte dai nostri cuori e si espande a cerchi concentrici attorno a noi. Bonifica che trasforma la palude in bosco, le rovine in ricovero accogliente, l’abbandono in splendore. È questa l’opera concreta,  visibile, storicamente confermata del monachesimo  che si è ispirato alla Regola di San Benedetto.  

Ho trovato di grande intensità queste riflessioni:

L’ideale di uomo in san Benedetto non è il grande artefice, il realizzatore di opere importanti, e nemmeno l’uomo con una straordinaria dedizione religiosa o il grande asceta; ma l’uomo saggio, sapiente e maturo che sa mettere gli uomini d’accordo tra loro, che crea intorno a sé un’atmosfera di pace e reciproca comprensione. […] la pace può costruirla solamente chi ha fatto prima pace dentro di sé, si è riconciliato con se stesso, con le proprie debolezze ed errori, con le proprie necessità e desideri, con le proprie divergenti tendenze e aspirazioni. Costruire la pace non è un programma da sbandierare; deve piuttosto nascere dalla pace che uno si porta dentro. E questa pace interiore si raggiunge solamente con un’intensa e durevole battaglia per la propria intima sincerità e con la preghiera, in cui si cerca di capire ciò che Dio si aspetta dalle nostre e altrui debolezze. È soprattutto dall’abate che Benedetto si aspetta che sia capace di costruire la pace. […] Benedetto ci dice che colui che dirige una comunità deve liberarsi dal proprio orgoglio per farsi attento al singolo, nella sua debolezza, e occuparsene come il buon Pastore. E mentre sta dietro a lui, alla sua debolezza, conoscerà meglio anche la propria e la combatterà. Se si comporta in questo modo, dimostra di essere un vero medico, che vive in se stesso le ferite dell’altro, per sopportarle e portarle con l’amore salvifico di Dio. La pace noimporre, né regolamentare con la disciplina; la pace deve svilupparsi su una base di amore abbastanza potente da farsi carico degli errori dei confratelli e sanarli.  

Ovunque si sia stabilita una comunità benedettina  sono fiorite le arti,  la cultura,  l’agricoltura,  l’artigianato.  Ma è importantissimo ricordare che questi sviluppi erano sempre legati al bisogno delle comunità di una sempre maggiore autonomia  e sostenibilità. 

Noi che viviamo oggi in un epoca di profonda crisi del cristianesimo,  possiamo imparare qualcosa dallo stile di vita delle comunità benedettine?  

Certamente, potremmo ereditare la consapevolezza che potremmo limitare i bisogni personali per favorire gli “spazi comuni”: refettorio, biblioteca, farmacia, orto. Spazi che nutrono e fortificano corpo e mente.  Invece, noi tutti siamo ripiegati sull’espansione illimitata dei bisogni egoistici che rendono radicali le solitudini e mortali le incomprensioni. 

L’idea di Pace che potremmo percorrere è quella di una comunità operosa che mette al centro la cura degli spazi “comuni” e fa di preghiera, studio, lavoro, i cardini del suo vivere nella “gioia della pace”.

Mi rendo conto che oggi siamo lontanissimi da questa prospettiva. Occorre capire che il monachesimo è stata una risposta radicale al rischio del cristianesimo di diventare una mera “religione di Stato”. 

Oggi, siamo in una prospettiva diversa e forse, occorre rendersi conto che esiste una vocazione archetipica allo stile di vita monastico che non ha necessariamente a che fare con un abito. 

Si tratta, in realtà, di riconnettersi a quella “beata semplicità”  di vita e di cuore che ci permetterà di costruire una Pace durevole. Una Pace che non sia solo assenza di combattimenti cruenti su un territorio, con il repertorio ormai “classico” di morte e distruzione. Una Pace che possa essere accettabile e concreta, progressiva e semplice, una Pace “comune a tutti” che ci permetta di bonificare la Terra.

Foto di Loe Moshkovska/Pexels

Testo tratto dalla conferenza organizzata da Auser do Termini Imerese dal titolo: “Perché la Guerra? Il disagio della civiltà”. Qui la versione integrale completa di note a piè di pagina.


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