Welfare
Unità di ascolto, la posizione della Cnvg
La lettera della presidente della Conferenza nazionale volontariato e giustizia sulla decisione del Dap di istituire un servizio anti suicidi composto da agenti penitenziari
di Redazione
Nei giorni scorsi una circolare del Dap ha deciso di predisporre un servizio di ‘Unità di ascolto di polizia penitenziaria’ per contrastare il rischio suicidario tra i detenuti nelle carceri.
Nella circolare, il DAP dichiara necessario indirizzare ogni sforzo per arginare l’attuale impellente emergenza, riconoscendo tuttavia che non spetterebbe ai poliziotti penitenziari il compito di valutare se un detenuto è a rischio suicidio. Ma la decisione si motiva a causa delle note carenze delle figure professionali istituzionalmente deputate all’assistenza psicologica del detenuto. Tale “unità di ascolto” sarà composta, come indicato nella circolare, da “personale di polizia penitenziaria e dell’area educativa, ed integrato da appartenenti al volontariato” .
I contenuti di questa circolare suscitano alcune riflessioni:
– Se già manca parecchio personale in organico, come è possibile che con lo stesso personale esistente si possano svolgere nuove funzioni? La soluzione sembra un gioco di prestigio.
– Ogni formazione del personale, indubbiamente, costituisce un elemento positivo e andrebbe perseguita: naturalmente, rivestono un ruolo cruciale i contenuti formativi. L’idea dell’ascolto è anch’essa totalmente condivisibile; è, del resto, uno dei motivi fondanti del volontariato: è una dimensione umana, etica e psicologica. Ma in carcere, spesso, ascoltare dovrebbe significare essere in grado di dare risposte.
– Anche se ogni situazione è evidentemente unica, tuttavia andrebbero analizzate le ragioni dei suicidi o dei tentativi: si potrebbe vedere che forse, come elemento comune, vi sia proprio la dimensione di rottura di appartenenza al corpo sociale, di perdita della speranza di un futuro o di un nuovo progetto di vita, di frattura dei legami esistenziali che fondano la propria identità. Se le ragioni della detenzione in molti casi si motivano nella mancata messa in atto di risposte concrete ai bisogni dei detenuti, di mancata possibilità di misure alternative alla detenzione, quale potrà essere il peso di un ascolto che non sa dare risposte?
Quando a tali bisogni non vengono date risposte, il soggetto si trova in balia del proprio fallimento o ricerca meccanismi sostitutivi nel mondo sotterraneo della istituzione, disgraziatamente scuola di criminalità.
– Vi sono poi perplessità legate alle modalità di funzionamento della proposta. L’istituzione di un servizio di ascolto, composto da personale di polizia penitenziaria e dell’area educativa ed integrato da appartenenti al volontariato richiede riflessioni e approfondimenti.
Quali sono in tale organizzazione le reciproche responsabilità e ruoli dei vari componenti? In merito inoltre all’acquisizione da parte del personale di conoscenze e competenze specifiche nell’ambito di idonei percorsi formativi, evidentemente vediamo con estremo favore ogni percorso formativo: pensiamo infatti, da sempre, che l’operare in carcere richieda notevoli competenze e capacità personali e collettive. Ma quali sono i contenuti di tale formazione? In quale considerazione, per esempio, sarà tenuta l’esperienza e, soprattutto, la specificità del ruolo del volontariato?
Come già espresso in precedenti comunicati, ribadiamo che per una efficace azione sul problema dei suicidi sia indispensabile anche il potenziamento dei presidi psicologici e psichiatrici, che garantiscano una presenza ed una continuità di ascolto, oltre al necessario coinvolgimento della salute mentale del territorio (che dovrebbe immediatamente allertarsi ed agire).
La generosità del volontariato non deve divenire azione suppletiva. Ne va del fondamento etico del proprio compito.
Elisabetta Laganà, presidente Cnvg, Conferenza nazionale volontariato giustizia
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