Welfare
Valdelsa, una sfidanel nome della sussidiarietà
toscana Cinque Comuni uniti in una fondazione per gestire i servizi sociosanitari
di Redazione
Una sfida e una scommessa. Una sfida agli assetti di governo e alle prassi consolidate nel settore delle politiche sociali. Una scommessa sulla capacità di gestire, grazie a un soggetto giuridico privato, l’esercizio in forma associata dei servizi sociali comunali. Le ha raccolte la Fondazione Territori sociali Altavaldelsa, nata per iniziativa di cinque Comuni senesi che, stanchi della delega in bianco firmata all’Azienda sanitaria locale in materia di gestione dei servizi sociali, hanno deciso di riappropriarsi delle proprie competenze affidandole a un unico soggetto, la fondazione appunto.
Il sistema toscano si è caratterizzato infatti, storicamente, per l’attribuzione delle competenze comunali in materia di servizi sociali (anziani e minori in particolare) agli ospedali. Un trasferimento di poteri, di fondi e di personale (gli assistenti sociali) che col tempo ha deresponsabilizzato le municipalità, appiattito le politiche sociali sugli aspetti sanitari, drenato le risorse dal settore sociale a quello sanitario e tarpato le ali alle organizzazioni del terzo settore che non operavano nel campo sociosanitario.
Di qui la doppia mossa dei cinque Comuni senesi: spostare nuovamente verso i Comuni il timone degli interventi sociali e, contemporaneamente, passarlo di mano a un soggetto unico (e terzo), la fondazione di partecipazione. «La fondazione è lo strumento migliore per tradurre in pratica il concetto di sussidiarietà. Consente di costruire un ponte fra il pubblico e il privato: i finanziatori esterni o il terzo settore infatti potranno entrare a farne parte. Permette anche, grazie alle procedure più snelle rispetto a quelle amministrative, di fornire all’utenza risposte rapide ed efficaci», spiega il direttore generale, Antonio Mazzarotto. L’organismo, infatti, ha già stipulato una convenzione con il Monte dei Paschi di Siena per velocizzare la riscossione dei contributi economici per il contrasto alla povertà e predisposto, inoltre, la graduatoria unica per l’accesso alle residenze sanitarie assistenziali.
Strumenti innovativi, dunque, nella gestione delle relazioni con la sanità, le imprese, gli utenti ma anche col terzo settore. L’Altavaldelsa sosterrà infatti la crescita del non profit. «La fondazione», sottolinea Anna Ferretti, presidente del consorzio di cooperative sociali Archè di Siena, «ha sottoscritto un protocollo d’intesa con cui si impegna a favorire l’impiego dei soggetti svantaggiati delle cooperative sociali di tipo B presso le imprese del territorio». Ferretti, inoltre, sottolinea il rinnovato impegno dei Comuni sui temi sociali. «La scelta, fatta dal basso, di unirsi ha risvegliato uno spirito di mutualità e di condivisione. Se fosse stata imposta dall’alto forse non avrebbe prodotto gli stessi effetti».
La fondazione punta anche a incoraggiare la partecipazione del terzo settore alla programmazione. Cercherà al tempo stesso però di arginare, si legge nella relazione programmatica, fenomeni di concorrenza spinta che porterebbero al “cannibalismo” tra associazioni e alla morte per asfissia dei soggetti più deboli economicamente. L’obiettivo, sembra di capire, è ridurre la sfera di influenza di certi big player del volontariato e dell’impresa sociale. «Occorre evitare», osserva Mazzarotto, «che certi attori si presentino al tavolo per cercare di orientare le scelte verso la loro offerta di servizi».
Sullo sfondo, intanto, si allunga l’ombra delle Società della salute (SdS), introdotte in via sperimentale ma che potrebbero diventare obbligatorie in tutta la Toscana. La formula è quella del consorzio pubblico costituito dai Comuni che afferiscono a una zona-distretto e dall’Ausl di riferimento, incaricato di integrare i servizi socio-sanitari del sistema sanitario regionale e i servizi socio-assistenziali dei Comuni. Che fine farebbe la giovane fondazione Altavaldelsa? Potrebbe ottenere dalla SdS, spiega Mazzarotto, la delega per le funzioni sociali oppure coincidere con la Sds. In tal caso, però, si porrebbe un interrogativo: un soggetto privato può esercitare l’attività programmatoria del settore sanitario?
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