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Venezia, città probita

Solo il 2% del centro storico sarebbe accessibile per sua natura. Ma l'impegno delle istituzioni ha alzato di molto questa percentuale. Inchiesta sul campo dopo il caso Calatrava. Un'anticipazione dal nuovo numero di Vita magazine

di Redazione

«A Venezia i ponti son tutti in salita», sotto questo titolo, il prossimo numero di Vita non profit magazine in edicola da venerdì prossimo lancia un’inchiesta sull’accessibilità del capoluogo veneto. Scoprendo che Venezia è davvero una città proibita per i disabili. I numeri non lasciano spazio a fraintendimenti: su 420 ponti, sono una ventina quelli a portata di carrozzella e solo il 2% del centro storico di Venezia sarebbe accessibile ai diversamente abili, ma il comune è riuscito ad alzare la percentuale al 70%. Ma quando si è cercato di conciliare l’architettura con il dovere civico, spesso i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative.  Qualche esempio? I servoscala, quelle piattaforme che si muovono su un binario lungo la balaustra, necessitano di una chiave che si trova solo in alcuni uffici aperti a orari diversi. E la passarella a raso? E’ un buona soluzione, peccato che blocchi il passaggio delle barche. L’elevatore invece, quell’ascensore che porta dal terreno alla campata, dopo essere stato sperimentato sul ponte Longo, si è scoperto che è troppo ingombrante per essere usato ovunque. Sembra dunque che Santiago Calatrava progettando il suo inaccessibile, ma ormai celeberrimo ponte (in foto) si sia uniformato a una caratteristica locale.

Proprio in riferimento all’opera dell’architetto spagnolo, l’assessore comunale ai lavori pubblici Mara Rumiz, intervistata nell’ambito dell’inchiesta, ammette che «è stato un errore,un ponte pienamente accessibile sarebbe servito a Venezia per dare un’immagine di sé come quella di una città che lavora per accogliere tutti». Commentando i dati dell’inchiesta la stessa Rumiz non ha esitato a tirare le orecchie ai commercianti e a i suoi concittadini: i lavori per rendere accessibili i passaggi spesso «non sono frenati solo da motivi artistici: anche i commercianti li criticano perché non vogliono le rampe davanti ai negozi».

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