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Venire alla luce e trovarsi subito nel buio

La questione della mancata iscrizione all'anagrafe

di Redazione

Aumentano le difficoltà per puerpere e neonati senza documenti. Dalla prima ecografia alla dimissione dall’ospedaleIl Pacchetto Sicurezza, tra le altre novità, introduce per i migranti l’obbligo di esibire il permesso di soggiorno anche per registrare i figli all’anagrafe. Si cancellerà in questo modo l’eccezione introdotta dal decreto legislativo del 1998 che prevedeva tale obbligo escludendo però il caso di «atti di stato civile» o «l’accesso a pubblici servizi».

Un’attesa difficile
«Una donna incinta non si può espellere», premette Caterina Boca, avvocato della Caritas romana: «Ha diritto a un permesso di soggiorno “per cure mediche” dal terzo mese di gravidanza». Si tratta però di un diritto «esigibile troppo spesso solo a parole». E sì che in teoria sarebbe semplice: la futura mamma va al consultorio, si fa visitare e riceve un certificato con la data presunta del parto, con cui può chiedere un permesso di 6 mesi (cui si aggiungono altri 6 mesi, dopo la nascita del bambino). «Nel frattempo, secondo le leggi vigenti», aggiunge l’algerina Laurence Salé, mediatrice culturale dell’ospedale San Gallicano, «si può recare in ospedale per qualsiasi controllo e gode dell’anonimato». Sarebbe un percorso lineare, non fosse intralciato da frequenti barriere. La prima è connessa al documento di identità. «Ci sarebbe la possibilità di richiedere un passaporto», prosegue Boca, «ma i consolati stranieri sono reticenti a rilasciarlo a chi è entrato irregolarmente». Se non si può essere identificati, niente permesso, e niente tesserino sanitario come temporaneamente residente. Come non bastasse, la Questura chiede una dichiarazione di ospitalità del proprietario o affittuario della casa in cui la donna intende abitare nell’attesa. Non previsto il caso, non raro, che il contratto sia in nero.

Lieto evento?
Conclusa la gestazione, le difficoltà non diminuiscono. Anzi. Se la puerpera non ha documenti, per la dichiarazione di nascita «deve andare di persona in Comune, accompagnata da due testimoni che ne attestino l’identità», spiega Maria Buondonno della clinica Mangiagalli di Milano. Ma ecco un altro intoppo: «Il permesso per cure mediche non consente di lavorare», aggiunge Anna Chiovenda, sempre della Mangiagalli, «e non può essere convertito in un altro tipo di permesso». Ecco perché «l’80% delle irregolari», conclude Pietro Massarotto, presidente del Naga, «rinuncia a chiedere il beneficio, cui, se la coppia è sposata, può aspirare anche il padre, come ha affermato la Corte costituzionale».

La paura del futuro
Diritti già ora nella pratica negati, si diceva. Che succede con il Pacchetto Sicurezza? Molti osservatori temono che allontanerà le clandestine incinte dalle strutture sanitarie. Sta già succedendo. Secondo il rapporto di Save the Children, gli accessi degli irregolari agli ambulatori sono andati diminuendo mano a mano che si proclamava la tolleranza zero. Meno 50% a Pordenone. Meno 30% a Firenze, Palermo, Roma, Bolzano e Bari. «L’incertezza ha scoraggiato già nei mesi passati il ricorso ai servizi sanitari», commenta Geraci, cui fa eco Oliviero Forti, responsabile Ufficio immigrazione Caritas Italiana: «C’è una scarsissima informazione e cresce la paura». Se ne capiscono i motivi. Certo, alla fine per il personale medico non è stato abolito il divieto di segnalazione dei clandestini. Ma sarà sufficiente? «Anche se i clinici non intendono denunciare i loro pazienti», afferma Massarotto, «diverso è il discorso per i pubblici ufficiali, obbligati a notificare il reato di clandestinità. E pubblico ufficiale è, nell’esercizio delle sue funzioni, anche un impiegato comunale». L’esempio non è casuale. Il disegno di legge prevede che solo esibendo il permesso di soggiorno sarà possibile iscrivere i neonati all’anagrafe. Così se, temendo l’espulsione, i genitori non denunceranno la loro nascita, migliaia di bambini venendo alla luce precipiteranno nell’ombra.

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