Famiglia
Veronesi, rispondi a questi dubbi
Un intervento di Paola Binetti / Lex presidente di Scienza e vita, oggi deputata della Margherita, spiega il suo no a Veronesi - di Paola Binetti -
di Redazione
è la questione bioetica del momento: il diritto a fare testamento. Non un testamento qualunque, ma il testamento biologico. Il principio che entra in gioco è quello della autodeterminazione, di cui il testamento biologico è la formalizzazione. I problemi che si pongono non sono pochi, anche se occorre sempre far salva la libertà di esprimere i propri desiderata a un interlocutore che si faccia garante di questi stessi desideri nel momento in cui io non potrò assicurarne la realizzazione.
Non siamo padroni
Il primo problema è la non disponibilità della vita umana: ciascuno della propria vita è l?amministratore delegato, ma non il padrone. Questo esclude qualunque situazione che appaia – e di fatto costituisca – un?eutanasia più o meno mascherata. Nessuno, mai, ha diritto a sopprimere la propria vita. ?Di fatto? lo può fare, ma non come ?diritto?. Ha invece il diritto a ricevere tutti gli aiuti possibili sul piano farmacologico, psicologico e socio-assistenziale.
Il secondo dubbio è legato ai progressi della scienza e della tecnica: non si può ipotecare oggi una situazione che domani potrebbe essere gestita diversamente, perché ci saranno diverse prospettive di vita.
Un terzo dubbio riguarda lo stato d?animo con cui io oggi prendo una decisione, tenendo conto delle mie buone condizioni di vita e della mia legittima esigenza di restare in perfetta forma. È uno stato d?animo che potrebbe mutare, perché la malattia – sia pure dolorosamente – muta le prospettive, cambia i desideri, abbassa la soglia di obiettivi ritenuti indispensabili per godere della propria vita. La conoscenza diretta di molti malati mi consente di dire che speranze e desideri durante la malattia si adattano alle possibilità reali, che diventano le nuove aspettative di vita. Ciò che sembra intollerabile a una persona in perfetta salute, diventa non solo tollerabile ma addirittura desiderabile per chi è affetto da una patologia cronica o invalidante.
D?altra parte è anche vero che la non disponibilità della vita umana (e quindi il dovere che ciascuno ha di prendersi cura di sé) non obbliga a mettere in gioco mezzi straordinari per garantirla. L?accanimento terapeutico è un attaccamento patologico alla vita, da parte del paziente, dei familiari, del medico stesso. La dignità del morire esige un?attenzione altrettanto forte che la dignità del vivere, e nessuno va lasciato solo davanti alla morte: l?accompagnamento alla morte è una delle manifestazioni più alte della nostra civiltà, e uno degli indicatori più forte della qualità dei legami familiari.
Il problema è che il limite tra accanimento terapeutico e cura avanzata del paziente non è facile da tracciare. Il giudizio del medico deve sempre essere caratterizzato da una conoscenza avanzata sotto il profilo tecnico-scientifico e da un profondo senso di pietas nei confronti del malato, per risparmiargli tutte le sofferenze possibili e non infliggerne di inutili. È per questo che solo un buon lavoro d?équipe può aiutare a decidere quando è il momento di dire basta a certe cure e a dire sempre sì a ogni cura palliativa, che attenui nel malato dolori e sofferenze.
Tra uso e abuso
Accanto a ciò si va facendo strada la consapevolezza che il supporto psicologico al paziente va inquadrato in un progetto di educazione del paziente e dei suoi familiari, che dia loro – gradatamente ma concretamente – il senso dell?evoluzione della malattia. Il costante rimodellarsi delle prospettive di vita del paziente deve vedere tutti coinvolti in un processo di decisione consensuale sulle cure da applicare.
Per tornare al testamento biologico, accanto al legittimo rispetto per la libertà del paziente nell?esprimere le sue volontà, occorre sottolineare la necessità di aiutarlo a comprendere qual è il confine fra un uso retto della scienza e il suo abuso. Proprio per questo va detto chiaramente che le terapie palliative – compresa l?idratazione artificiale – non possono mai essere considerate come accanimento terapeutico e vanno sempre garantite al paziente.
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