Mondo
viene dall’africa,bma non la salverà
Il continente spera nel primo presidente nero degli Usa. Si illude?
di Redazione

Per politici, esperti e osservatori, nonostante le origini Obama dovrà fare i conti con la crisi economica e le difficoltà interne degli Stati Uniti. Emergenze che lo costringeranno a mettere l’Africa in fondo all’agenda
« B arack Obama o John McMcain non fa differenza. La politica estera americana rimane una sola: difendere gli interessi vitali di un Paese poco sensibile all’Africa». Steven Ekovitch , professore di Scienze politiche all’American University di Parigi, non condivide l’entusiasmo che sta contagiando milioni di africani già pronti a festeggiare il primo presidente nero degli Stati Uniti. Mancano pochi giorni all’Election Day e, alla faccia dei comitati pro Obama che pullulano nelle principali capitali del continente, Ekovitch assicura che «l’agenda politica internazionale della Casa Bianca sarà dettata dalle tre aree geopolitiche che interessano l’opinione pubblica americana: Iraq, Afghanistan e Medioriente».
Ospite illustre di un seminario organizzato ad Addis Abeba dalla Commissione economica dell’Onu per l’Africa sulle possibili implicazioni dello scrutinio statunitense nel continente, Ekovitch ha raccomandato alla platea di rimanere con i piedi per terra: «Conoscendo Obama, credo che sarà molto più esigente nei vostri confronti rispetto a un presidente bianco». In una campagna elettorale messa a soqquadro dalla crisi finanziaria, i rari discorsi che il senatore dell’Illinois ha dedicato all’Africa hanno espresso tre auspici: la fine dei massacri in Darfur, l’aumento delle pressioni diplomatiche sul dittatore zimbabiano Robert Mugabe e lo sradicamento della povertà e delle pandemie. Per il resto, scena muta. Una scelta sorprendente se, come scrive Jeune Afrique in un dossier dedicato a Obama, «agli occhi degli Americani l’Africa è un vero e proprio campo di battaglia» in cui si contano due fronti aperti: la lotta contro il terrorismo islamico e l’accesso alle risorse naturali, in primo luogo petrolifere.
Per molti esperti, l’eredità lasciata da Bush in politica estera metterà a dura prova gli obiettivi geostrategici del suo successore: Obama rischia di ritrovarsi schiacciato tra le aspirazioni di decine di milioni di cittadini convinti che le sue origini keniote ne faranno un presidente sensibile alle sorti dell’Africa, e la necessità di rimettere in sesto un Paese la cui supremazia mondiale è rimessa in discussione. Nonostante i rimproveri mossi all’amministrazione Bush sullo sviluppo, la crisi finanziaria costringerà Obama a rivedere i suoi piani per aiutare il continente africano ad affrancarsi dalla povertà. «Dopo il crac di Wall Street», dice a Vita Mame Aly Konté del quotidiano senegalese Sud Quotidien , «pochi vorrrebbero essere nei panni di Obama. Del resto, non ci aspettiamo granché. La sua agenda sarà oberata dalle sfide economiche». In altre parole, «le sue origini africane non cambieranno nulla: l’Africa non sarà una sua priorità». A ridimensionare i sogni degli africani è stato anche il presidente del Senegal, Abdoulaye Wade , ultraliberale, noto per la sua vicinanza agli Stati Uniti. In un’intervista a France 5 , Wade ha insistito sulla necessità «di non farsi troppe illusioni su Obama. Avrà troppi problemi per pensare a noi».
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