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Vienna, l’altra Onu è una gioiosa Babele

Una mattinata all'Osce, l'Organizzazione della sicurezza europea. È un osservatorio importante per quel che accade a est: la scelta della sede non è casuale. Di Irene Amodei

di Redazione

Vienna, estate 2006. Ore 9.30, Heldenplatz, la piazza degli eroi, ci saranno 32 gradi. Le bandiere degli Stati che partecipano all?Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa (Osce) cadono molli lungo le aste. Partecipo alla 618esima seduta del Permanent Council dell?Osce. Strana creatura politico-diplomatica nata negli anni 70, in piena guerra fredda, come forum multilaterale di discussione e negoziazione tra i due blocchi (per questo ne fanno parte anche gli Stati Uniti e il Canada) e trasformatasi, dopo la caduta del muro di Berlino, in un organismo per la prevenzione dei conflitti, il mantenimento della pace, la gestione delle crisi e la ricostruzione. Più snello e flessibile delle Nazioni Unite secondo alcuni, più debole e dispersivo secondo altri. Il cervello in Europa e gli occhi, non a caso, a Vienna. Di qui infatti lo sguardo arriva più facilmente fino al Caucaso e alle steppe dell?Asia Centrale che sono la sua tradizionale area di competenza. L?Est.
Qualche numero: 168 milioni di euro di budget annuo, 869 funzionari nello staff, 3000 persone sul campo, 18 missioni in corso, 20-30 meeting al giorno, 40mila documenti l?anno, 736 decisioni prese. Il Permanent Council delibera, ma non impone sanzioni perché si basa sulla regola del consenso e della cooperazione volontaria. Talking-lobbying-convincing. Dialogare-influenzare-convincere.

Ore 10. Le delegazioni prendono finalmente posto nella lunga tavolata a ferro di cavallo: prima a destra siede l?Albania, ultimo a sinistra l?Uzbekistan. L?ordine è alfabetico, curiosamente in francese. Gli Stati sono 56, ma i posti a sedere 57. Uno è per l?Europa che, in genere, parla con una sola voce. Il primo a intervenire è l?ambasciatore armeno, che a braccio, polemizza energicamente sui risultati dell?ultima missione Osce a Yerevan. La missione aveva il compito di vigilare sui processi di riforma elettorale e costituzionale in corso. L?ambasciatore prende atto del lavoro svolto e ringrazia dell?aiuto prestato, ma solleva, provocatorio, il problema della ?elettocrazia?. Dice che lo svolgimento delle elezioni, assicurato dall?Osce, è condizione necessaria ma non sufficiente. Che ?giovani? democrazie, come l?Armenia, sono di fatto ostaggio di democrazie cosiddette ?mature?. Che bisogna ripristinare un equilibrio tra i Paesi che partecipano all?Osce. Chi l?ha detto che una democrazia ?matura? è più saggia di una ?giovane?? Il solito problema: due pesi e due misure, in gergo double standard. La presenza dell?Osce segue l?invito del governo che ne ospita la missione, ma nonostante questo è considerata un elemento di ?delegittimazione?, una bandiera infamante. Un modo per segnalare al mondo che lì il governo non è in grado di fare il suo mestiere. La diplomazia parla in modo molto più diretto di quanto non mi aspettassi.

Ore 10,20. La parola passa al brigadiere Claudio Sampaolo che presenta un rapporto piuttosto tecnico sul controllo delle armi in Bosnia-Erzegovina, Croazia e Repubblica Srpska (Serba). La riduzione volontaria degli armamenti procede. Il pensiero torna alla guerra in ex Jugoslavia. La geografia è cambiata, da allora. L?ultimo acquisto dell?Osce, lo Stato numero 56, è, da giugno scorso, il Montenegro.

Ore 11. Il rappresentante egiziano annuncia che, in novembre, a Sharm El-Sheik, si terrà un seminario dedicato al tema della migrazione nell?area mediterranea. Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Marocco e Tunisia sono partner dell?Osce. Mi domando chi decide quali sono i confini. L?orizzonte, tra terra e mare, sembra infinito. Oltre che a Est, dunque, la geopolitica guarda anche a Sud.

Ore 11,20. Chiede la parola Christina Harttila per l?Unione Europea. La nuova legge sui media in Kazakhistan lede la libertà di espressione, dice la Harttilla in un quasi sussurro, e l?Europa è preoccupata. A questo tavolo, Bruxelles è una vera potenza e, almeno nel braccio di ferro interno all?Osce, conta più degli Stati Uniti. Sembra incredibile. Al termine della seduta chiedo alla Harttila se arrivare a dichiarazioni unitarie sia un procedimento semplice. Mi risponde di no, ma che l?Europa è un ?animale politico? con un interesse preciso, e che questo interesse è qualcosa di più della somma degli interessi degli Stati che la compongono.

Ore 11,40. Il Kazakhistan replica elusivamente, affermando che la nuova legge si limita a introdurre dei parametri tecnici. È la volta della Turchia che interroga l?Uzbekistan sull?andamento della promessa revisione delle procedure penali. L?Uzbekistan risponde che, come stabilito, la pena di morte verrà abolita dal 1° gennaio 2008. Prima della fine si fa ancora in tempo a discutere della chiusura forzata del sindacato dei giornalisti in Tajikistan e a pianificare l?ennesima missione di ricognizione in Nagorno-Karabach, l?enclave armena in territorio azero. Il cessate il fuoco dura dal ?94, ma il nervo è ancora scoperto. Storia di confini, di petrolio, di minoranze religiose, di integrità territoriali, di alleanze e particolarismi. I negoziati procedono lentamente, un fiume sotterraneo che ancora non ha deciso in quale mare gettarsi.

Ore 12. La seduta settimanale del Permanent Council si conclude. La caffetteria si rianima. Scendo le scale e penso che, per una volta, ho visto la politica, quotidiana e mondiale, al lavoro, ho sentito il sudore, visto i muscoli, indovinato i sottintesi, osservato le pause e studiato lo sguardo dietro gli occhiali. E ciò che ho visto, in fondo, non mi è dispiaciuto.

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