Terzo settore & Progetto di vita

Vincenzo Falabella: «La riforma della disabilità non ci sarà senza una trasformazione anche del Terzo settore»

La riforma della disabilità, introdotta dal decreto legge n. 62/2024, ha imposto una profonda e articolata riflessione anche al Terzo settore. Fondazioni, associazioni, cooperative come stanno rispondendo alle sfide? In dialogo con Vincenzo Falabella, presidente nazionale Fish

di Nicla Panciera

Assemblea del Soci Fish dic 2024

Tutto cambi perché nulla cambi: se non vogliamo che accada questo, con la riforma della disabilità, come deve cambiare anche il Terzo settore? Qual è il suo ruolo – nelle sue molteplici vesti di associazioni di persone, associazioni di famiglie, fondazioni, cooperative, enti gestori – nel cambiamento disegnato dalla riforma della disabilità e dal decreto legislativo 62/2024? Quale contributo può portare?

Prosegue il racconto a più voci per raccontare attese, speranze e criticità della riforma della disabilità. In dialogo con Vincenzo Falabella, presidente nazionale Fish. Da pochi mesi la federazione – una delle più rappresentative delle persone con disabilità e delle loro famiglie – ha cambiato nome, proprio per segnare il cambio di passo che dalla Convenzione Onu e, quindi, dalla riforma deriva: non più lo storico Federazione italiana superamento handicap, bensì Federazione Italia per i diritti delle persone con disabilità e famiglie.

Qual è il primo ruolo che vede per il Terzo settore in questo momento di cambiamento?

Il Terzo settore, che comprende le associazioni di persone con disabilità e famiglie, ha un ruolo centrale nell’attuazione della riforma del welfare introdotta dal decreto legislativo 62/2023, in linea con gli obiettivi del Pnrr in materia di disabilità. La sua funzione si articola su più livelli, a partire dalla co-progettazione dei servizi, dove il Terzo settore collabora con le istituzioni per definire interventi realmente inclusivi, sfruttando la propria conoscenza diretta dei bisogni delle persone con disabilità. Questo approccio rispecchia il principio di sussidiarietà orizzontale, che riconosce il valore dell’apporto delle realtà associative e cooperative nella costruzione di un welfare di comunità. 

Lep

Un altro aspetto cruciale è la gestione dei servizi in un’ottica personalizzata e prossimale, in cui gli enti erogatori dovranno adattarsi a modelli più flessibili, orientati all’autonomia e alla vita indipendente della persona con disabilità. Parallelamente, le associazioni di persone con disabilità avranno il compito di monitorare l’applicazione concreta della riforma, con particolare attenzione agli strumenti chiave come il budget di progetto, i progetti individuali e le politiche di inclusione lavorativa. 

Quali sono le principali sfide?

Il Terzo settore dovrà dimostrare una maggiore capacità di innovazione, adottando metodologie avanzate (dall’approccio capacitante alla progettazione partecipata) e integrando soluzioni tecnologiche per migliorare l’autonomia delle persone con disabilità. Un’altra difficoltà riguarda la necessità di una migliore integrazione tra attori diversi, poiché la riforma richiede una stretta collaborazione tra pubblico, privato sociale e Terzo settore, superando frammentazioni e inefficienze.  La sostenibilità economica poi rappresenta un ulteriore nodo critico: l’introduzione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) dovrà essere accompagnata da risorse adeguate a evitare che le cooperative si trovino a erogare servizi senza sufficienti finanziamenti, mentre le associazioni dovranno conciliare advocacy e gestione operativa in un contesto di risorse limitate.

Una delle sfide più significative è il passaggio da un welfare assistenziale a uno basato sui diritti, che richiede un maggiore empowerment delle persone con disabilità, garantendo loro partecipazione attiva nelle decisioni che le riguardano. Questo cambiamento dovrà essere sostenuto da un rinnovamento interno del Terzo settore, che dovrà adottare pratiche più inclusive

Vincenzo Falabella

Infine, una delle sfide più significative è il passaggio da un modello assistenziale a uno basato sui diritti, che richiede un maggiore empowerment delle persone con disabilità, garantendo loro una partecipazione attiva nelle decisioni che le riguardano. Questo cambiamento culturale dovrà essere sostenuto da un rinnovamento interno del Terzo settore, che dovrà rafforzare le competenze e adottare pratiche più inclusive.  In sintesi, il Terzo settore non è un semplice esecutore di servizi ma un attore chiave nel ridisegno del welfare, con la responsabilità di tradurre in pratica i principi della riforma e al tempo stesso rinnovarsi per rispondere alle nuove esigenze. La sua capacità di fare rete, innovare e garantire un reale impatto sociale sarà determinante per il successo delle nuove politiche sulla disabilità.

In cosa questo mondo è chiamato a cambiare, al di là dell’essere un soggetto che da sempre mette al centro la persona o almeno ci prova?

Il Terzo settore deve evolvere da un approccio tradizionalmente assistenziale verso un modello che ponga al centro i diritti e l’autodeterminazione delle persone con disabilità, garantendo loro un ruolo attivo nella progettazione degli interventi che le riguardano. Questo passaggio richiede una trasformazione culturale e organizzativa che coinvolge sia le associazioni che le cooperative sociali. Un aspetto cruciale di questo cambiamento riguarda la capacità di costruire reti integrate tra i diversi attori del welfare. La riforma richiede una collaborazione più strutturata e sinergica tra pubblico, privato sociale e Terzo settore, superando le attuali frammentazioni e duplicazioni di interventi. Per farlo, sarà necessario sviluppare nuove competenze metodologiche e tecnologiche, adottando strumenti innovativi come il budget di progetto e approcci più flessibili. Parallelamente, il Terzo settore dovrà affrontare la sfida della sostenibilità economica in un contesto di risorse limitate, imparando a conciliare qualità dei servizi e efficiente gestione delle risorse. Questo richiederà un costante aggiornamento professionale, particolarmente su temi cruciali come l’inclusione lavorativa, la vita indipendente e la valutazione multidimensionale della disabilità.

Qual è il contributo che invece il Terzo settore può dare?

Proprio in questa fase di transizione, il Terzo settore può offrire un contributo determinante grazie alla sua peculiare posizione. La sua vicinanza concreta ai bisogni delle persone con disabilità e delle famiglie rappresenta un valore inestimabile per garantire che i servizi siano realmente rispondenti alle esigenze individuali. La sua capacità di monitorare l’attuazione della riforma e segnalarne le criticità può essere fondamentale per correggere il tiro durante l’implementazione delle nuove politiche. Le realtà del Terzo settore possono inoltre svolgere un ruolo pionieristico nella sperimentazione di soluzioni innovative, testando sul campo modelli che potranno poi essere estesi a livello nazionale. La loro mediazione tra istituzioni e cittadini può facilitare l’accesso ai servizi e tradurre i bisogni reali in proposte operative concrete. Non da ultimo, attraverso azioni di sensibilizzazione e formazione possono promuovere una cultura dell’inclusione che vada oltre gli aspetti normativi. In questo processo di trasformazione, il Terzo settore non è dunque solo un esecutore di servizi, ma un vero e proprio agente di cambiamento, chiamato a tradurre i principi della riforma in pratiche quotidiane.

In questo processo di trasformazione, il Terzo settore non è solo un esecutore di servizi, ma un vero e proprio agente di cambiamento, chiamato a tradurre i principi della riforma in pratiche quotidiane

Vincenzo Falabella

Come si stanno costruendo, nei territori, reti e confronti più stretti tra enti pubblici e Terzo settore?

La costruzione di reti integrate tra enti pubblici e Terzo settore sta avvenendo attraverso diverse modalità, con approcci che variano a seconda dei territori ma che condividono alcuni elementi comuni. Innanzitutto, si sta affermando una logica di co-programmazione e co-progettazione, dove istituzioni e realtà del Terzo settore lavorano fianco a fianco fin dalle fasi iniziali della progettazione dei servizi. Questo avviene attraverso tavoli territoriali permanenti, spesso promossi dagli enti locali, in cui associazioni e cooperative sociali portano il loro contributo tecnico e la loro conoscenza dei bisogni reali. Un altro strumento chiave è l’uso di accordi di rete e protocolli operativi, che formalizzano la collaborazione tra soggetti diversi per garantire risposte coordinate. In alcune regioni, ad esempio, sono stati attivati Patti di Comunità che coinvolgono enti pubblici, Terzo settore e a volte anche privati profit, per gestire in modo integrato servizi come l’abitare supportato, l’inclusione lavorativa o i percorsi di autonomia. Sul piano operativo, emergono esperienze interessanti di coproduzione di servizi, dove il Terzo settore non è un mero esecutore ma partecipa attivamente alla definizione degli standard qualitativi e delle modalità di erogazione.

Quali criticità emergono?

In molti territori la collaborazione è ancora episodica e legata a singoli progetti, mentre mancano sistemi strutturati di governance. Inoltre, la disparità di risorse tra grandi organizzazioni del Terzo settore e piccole realtà associative rischia di creare squilibri nella rappresentanza. Per superare questi limiti, alcune regioni stanno investendo in piattaforme digitali condivise per la gestione integrata dei casi, mentre altre puntano su processi formativi congiunti tra operatori pubblici e del Terzo settore, per creare linguaggi e metodologie comuni. L’obiettivo è passare da una logica di rete formale a una rete effettiva e capillare, dove il confronto sia continuo e la progettazione sia davvero partecipata. I risultati migliori si vedono lì dove esiste una regia pubblica forte ma aperta al contributo del privato sociale, in un’ottica di sussidiarietà circolare.

In molti territori la collaborazione è ancora episodica e legata a singoli progetti, mentre mancano sistemi strutturati di governance. Si deve passare da una logica di rete formale a una rete effettiva e capillare

Vincenzo Falabella

Come fare davvero ascolto delle persone con disabilità, in modo da raccogliere i loro bisogni e le loro aspettative e costruire il progetto su quelli e non sul servizio già esistente?

Per costruire servizi realmente centrati sulle persone con disabilità, è necessario sviluppare un approccio radicalmente diverso, all’ascolto e alla progettazione. Si tratta di superare la tradizionale logica dei servizi predefiniti per abbracciare una metodologia che parta dalle aspirazioni e dai bisogni autentici delle persone, riconoscendole come protagoniste attive del processo. L’ascolto autentico richiede strumenti innovativi e tempi dedicati. Colloqui individuali profondi, condotti con approccio maieutico, permettono di far emergere non solo i bisogni ma anche i desideri e le potenzialità spesso nascoste. I gruppi di auto-rappresentanza, guidati dalle stesse persone con disabilità, diventano spazi privilegiati per raccogliere istanze collettive, mentre strumenti comunicativi accessibili garantiscono la partecipazione di tutti. La vera sfida sta nel tradurre queste voci in progettazione concreta. Il budget di progetto e il piano individuale devono trasformarsi da adempimenti burocratici in strumenti dinamici, plasmati sulle reali aspirazioni delle persone. Laboratori di co-design permettono di ripensare insieme servizi e spazi, mentre la sistematizzazione delle storie di vita offre alle istituzioni una bussola per orientare le politiche. Perché questo avvenga, servono condizioni abilitanti: operatori formati all’ascolto senza pregiudizi, setting accoglienti che superino la rigidità degli uffici, e soprattutto un reale trasferimento di potere decisionale. Esperienze come i progetti di Vita Indipendente dimostrano che quando alle persone viene data autentica facoltà di scelta, emergono soluzioni innovative e profondamente rispondenti ai bisogni. Solo riconoscendo alle persone con disabilità il ruolo di esperte della propria vita potremo passare da un welfare preconfezionato a un percorso di libertà e autodeterminazione.

Come porsi rispetto alla portabilità del budget di progetto che tanto fa paura oggi?

La capacità di gestire con flessibilità le risorse finanziarie e l’innovazione dei servizi rappresentano oggi due facce della stessa medaglia per enti e organizzazioni che vogliono restare al passo con i tempi. In un contesto caratterizzato da normative in evoluzione e risorse spesso limitate, è fondamentale adottare un approccio proattivo che trasformi i vincoli in opportunità di miglioramento. Sulla portabilità del budget, è importante superare la visione rigida che la interpreta come mero adempimento burocratico. La vera sfida consiste nel sviluppare una capacità di riprogrammazione agile delle risorse, che permetta di adattarsi ai cambiamenti senza perdere di vista gli obiettivi strategici. Questo richiede strumenti di monitoraggio finanziario snelli, competenze specializzate nella gestione dei fondi e un dialogo costante con gli enti finanziatori. Quando gestita con professionalità, la portabilità diventa uno strumento prezioso per ottimizzare gli interventi e garantire la sostenibilità dei progetti nel lungo periodo.

Servono percorsi di innovazione graduale ma costante. Questo significa saper interpretare i bisogni specifici della comunità, valorizzare le competenze locali e costruire reti collaborative tra enti pubblici, privati e Terzo settore

Vincenzo Falabella

Cosa significa innovare i servizi fin da ora, anche nei territori non coinvolti dalla sperimentazione e come farlo concretamente?

L’errore da evitare è l’attesa passiva di finanziamenti dedicati o l’imitazione pedissequa di modelli sviluppati altrove. Ogni territorio, anche quelli apparentemente meno avvantaggiati, può e deve avviare percorsi di innovazione graduale ma costante. Questo significa saper interpretare i bisogni specifici della comunità, valorizzare le competenze locali e costruire reti collaborative tra enti pubblici, privati e terzo settore. L’innovazione può partire da piccoli passi concreti: dall’adozione di soluzioni digitali open source per migliorare i servizi al cittadino, alla riorganizzazione di processi interni per renderli più efficienti, fino alla creazione di tavoli di coprogettazione che coinvolgano direttamente gli utenti finali. L’importante è mantenere una visione chiara e la capacità di misurare l’impatto delle singole iniziative, per poi scalare quelle che dimostrano maggiore efficacia. La vera differenza la fanno le organizzazioni che sanno coniugare pianificazione strategica e flessibilità operativa, che investono nella formazione delle risorse umane e che hanno il coraggio di sperimentare nuove soluzioni, anche partendo da piccoli progetti pilota. In questo modo, la portabilità del budget smette di essere un incubo burocratico e diventa uno strumento per l’innovazione, mentre i servizi al cittadino migliorano progressivamente, indipendentemente dalla disponibilità immediata di grandi risorse. Il cambiamento non aspetta: il momento giusto per iniziare è sempre oggi.

Foto di Fish. In apertura, “L’Italia: quale futuro per le persone con disabilità e le loro famiglie”, assemblea generale Fish, Roma, dicembre 2024

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