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Calabria, come ricucire la frattura fra comunità e società

Sarà presentato lunedì 27 novembre a Cosenza il quinto volume della serie "Geografie Meridiane". La versione digitale del book sarà scaricabile gratuitamente dal 28 novembre. L'evento ospitato nella sede della Fondazione Carical vedrà protagonisti i maggiori attori della società civile del territorio chiamati a confrontarsi intono ai temi lanciati dalla pubblicazione. Qui in anteprima l'editoriale del direttore di VITA

di Stefano Arduini

In Calabria, come sempre succede nei casi in cui l’equilibrio welfare-cittadinanza è traballante, si verifica un paradosso: fioriscono le “comunità”, ovvero esperienze virtuose più o meno piccole di partecipazione civica e fornitura di beni e servizi al di fuori dei meccanismi tradizionali dello Stato sociale, ma manca del tutto, o appare fragilissima, la “società”, ovvero una visione civica e istituzionale capace di fare sistema, indicando alle comunità una direzione che non le faccia sembrare e sentire isole scollegate e indifferenti le une alle altre.
Come emerge dal lavoro di Josephine Condemi che ha curato il quinto volume della serie “Geografie Meridiane” di Vita a Sud (il progetto di Vita di racconto dell’innovazione sociale e dell’economia civile del nostro Mezzogiorno), senza la società, senza il pensiero-azione che porta al diritto-dovere della convivenza collaborativa tra diversi e non solo tra simili, queste stesse comunità rischiano di configurarsi come enclave chiuse, frammentate, attente a non perdere la loro purezza e i risultati faticosamente acquisiti. Perché le comunità del sociale in Calabria non riescono a fare sistema? Cosa fare per andare oltre la Calabria-arcipelago?

Per trovare le risposte siamo partiti dalla fotografia di quello che è oggi la Calabria. Nell’inchiesta e nelle cifre del primo capitolo trovate le ragioni e le dimensioni di un fallimento. Spiega il sociologo Giorgio Marcello: «Tanti studi sul Mezzogiorno e sulla Calabria dicono che dove le istituzioni pubbliche funzionano poco e male, anche la capacità di produrre innovazione di organizzazioni solidaristiche si smorza. E mi convince poco anche la solidarietà che si organizza: al Sud o si spegne o genera aspettative che non riesce a soddisfare.

Queste forme devono essere valorizzate da una lievitazione politico-culturale complessiva e una crescita dell’azione amministrativa». Insomma non basta generare comunità, occorre alzare l’asticella. Di fronte a sé il sociale ha una sfida che è innanzitutto politica e culturale.


Una strada lunga, non impossibile, ma obiettivamente complessa in un contesto che presenta numeri socio-economici e di benessere collettivo fra i peggiori in Europa. Cifre che testimoniano il fallimento di una classe dirigente e delle scelte compiute negli ultimi 50 anni.


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Nel secondo capitolo abbiamo messo sotto la lente sette esperienze di comunità di cura, che stanno proponendo un approccio innovativo di sviluppo territoriale. Ma, come si diceva, occorre cucire insieme queste sperimentazioni (alcune consolidate da tempo). Come farlo? Nel terzo capitolo abbiamo chiesto a tre osservatori profondamente legati alla Calabria di indicare una via intorno ad altrettante parole chiave.
La sociologa Giovanna Vingelli ha scelto la parola “donne”: «Se ci liberiamo da una visione stereotipata della Calabria come terra eternamente sottosviluppata, arretrata, “non ancora” moderna – e delle donne meridionali come tradizionali, premoderne e scarsamente emancipate – riusciremo a guardare la realtà calabrese attuale per quella che è: una regione con molte risorse».


L’informatico Gianluigi Greco, ha puntato su “intelligenza artificiale” raccontando come proprio la Calabria e in particolare il distretto di Cosenza-Rende con l’università di Calabria sia un luogo fortemente attrattivo per studenti, docenti e professionisti legati al mondo della tecnologia e dell’informatica.
Infine il presidente della Fondazione Carical, Gianni Pensabene, ha riflettuto intorno al verbo “cooperare”. Indirizzando l’invito in primis alla società civile della regione: il lavoro in rete è requisito necessario per generare quel cambio di marcia culturale e operativo sempre più urgente in particolare per la fasce di popolazioni più fragili.

Nella foto di apertura: un’attività dell’associazione “Le Seppie” di Amantea (Cs). Le affissioni le decide la comunità: “Questa non è una campagna” in collaborazione con Cheap