Da produttore di mine antiuomo a sminatore sui campi di guerra
Dopo aver venduto la fabbrica che produceva mine antiuomo, Vito Alfieri Fontana ha cambiato vita e ha portato la sua esperienza nei territori in guerra di Bosnia e Kosovo. A scuoterlo sono state le parole di don Tonino Bello, il movimento nonviolento e le domande scomode di suo figlio: «Papà, ma perché lo devi fare tu?»
«Papà, ma perché lo devi fare tu?». Suo figlio aveva poco più di otto quando gli poneva questa domanda particolarmente scomoda. Una domanda che aveva iniziato a scuoterlo, a farlo ragionare, pensare. Perché Vito Alfieri Fontana produceva mine antiuomo. Ingegnere, seguendo il cammino della famiglia proprietaria, aveva preso in mano il controllo della Tecnovar, azienda di Bari specializzata nella produzione di mine antiuomo. Ma il suo bambino continuava a porgli lo stesso interrogativo, la stessa domanda scomoda: «Papà, ma perché lo devi fare tu?». Un quesito che non gli dava pace. Ma a scuotere la sua coscienza erano anche le parole di don Tonino Bello, a quei tempi vescovo di Molfetta, che con il movimento nonviolento e le sue poesie continuava a farlo pensare, a riflettere sui suoi passi. Fino alla mobilitazione a livello mondiale contro le mine antiuomo, che portò nel 1997 alla “Convenzione di Ottawa”, che vieta l’uso, la detenzione, la produzione e il trasferimento di mine antipersona ed impone la distruzione degli stock esistenti.
«Agli inizi degli anni novanta c’è stata una grande mobilitazione della coscienza collettiva, sia i gruppi della pace di don Tonino Bello sia la campagna al bando delle mine anti uomo mi hanno toccato» racconta Fontana. «E’ stato duro cambiare, perché la mia famiglia da tanti anni produceva mine e si guadagnava molto bene, ma anche i miei figli non gradivano più questo tipo di situazione. Crescono i figli, e crescono anche le domande che uno si fa e che ti fa la società: Ma perché lo devo fare io». Tutte queste domande, questi interrogativi hanno spinto Fontana verso un cammino di conversione, che ha portato l’ex-proprietario della Tecnovar a vendere la fabbrica e cambiare vita, diventando sminatore per molti anni in Bosnia e Kosovo.
Prima ha cominciato a cooperare con le organizzazioni internazionali che si battevano contro la diffusione delle mine. Poi dal 1999 è sceso direttamente sul campo, portando la sua esperienza sui luoghi scossi dai conflitti per la bonifica dei territori.
«Nei Balcani io ed i miei collaboratori abbiamo fatto un buon lavoro, lavorando come tecnici con alcune organizzazioni umanitarie come Intersos. Abbiamo portato la nostra esperienza che serviva anche a capire, specialmente per i tipi di mine usate in Jugoslavia, che alcune si possono disattivare prima di altre, riuscendo in questo modo ad organizzare determinate priorità di interventi a seconda dei pericoli. E’ stato un modo di lavorare controcorrente, che deriva dalla conoscenza delle materie prime e della plastica, e questo ci ha permesso di fare davvero un buon lavoro». Di conseguenza, se pensa all’attuale conflitto tra Russia e Ucraina, Fontana non nasconde che «questa guerra mi ha depresso fortemente, perché dopo anni trascorsi per creare un sentore di pace fra le etnie siamo ancora allo stesso punto. E’ bruttissimo quello che sta succedendo, avendo ascoltato i racconti di chi ha fatto la guerra, come i bosniaci, avverti che si tratta delle stesse paure, delle stesse attese, degli stessi pregiudizi».
Anche per questo, da quando nel 1993 ha deciso di cambiare vita, Fontana gira in lungo e in largo per parlare alla gente, ai giovani, a chiunque voglia riflettere sulle brutture delle armi e delle guerre. A Foggia, per esempio, grazie al Coordinamento provinciale Capitanata per la pace, ha partecipato ad un doppio appuntamento con i ragazzi e gli adulti della comunità. «E’ importante parlare, incontrare i ragazzi, perché devono capire che ci sono delle trappole a cui soprattutto i più giovani devono stare attenti: la trappola d’esaltazione razzista e nazionalista. Devono stare attenti perché da lì il passo alla giustificazione della guerra è conseguenziale. E quando tu giovane entri nel giro della guerra sei finito, perché sei una pedina, ti riempiono di anfetamina e droghe e ti mandano all’assalto. E tu ti senti ancora più cattivo, esaltato, senza controllo».
La sua storia è anche diventata un documentario realizzato dal regista Mattia Epifani, che racconta il suo percorso ed il suo ruolo negli ex-teatri di guerra, dove nel conflitto tra dovere e coscienza si muovono i passi di un uomo in cerca di riscatto, consapevole però che il bilancio tra bene e male difficilmente potrà mai più essere in attivo. Ma il suo impegno e la sua dedizione alla causa della pace raccontano che è possibile cambiare e ribaltare la propria storia.
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