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I nostri adolescenti? Nuovi invisibili che vagano in un deserto emotivo

Palermo con lo stupro di una giovane da parte di nove ragazzi palermitani, Catania con la violenza operata ai danni di una tredicenne da un gruppo di giovani stranieri, ma anche Favara, in provincia di Agrigento, dove una ragazza ha accoltellato il fratello per il volume troppo alto della Playstation. Pur se meno efferato, anche quest’ultimo episodio ha come protagonisti adolescenti, vittime di una società nella quale gli educatori si ritrovano a porsi una semplice ma drammatica domanda: «Cosa stiamo sbagliando?»

di Gilda Sciortino

Nessuna ricetta segreta, strategia educativa innovativa. È l’ascolto quello che ci chiedono i nostri giovani, unito a un livello di comprensione profondo perché agli atti di violenza sessuale che hanno colpito Palermo nell’estate del 2023, Catania poche settimane fa solo per fare riferimento a episodi molto gravi, va prestata un’attenzione che richiede tutto un altro atteggiamento.

È venuto meno il controllo istintuale, degli impulsi, che ha portato alla mancanza di una regolazione affettiva, confondendo prima di tutti proprio i nostri giovani

– Anna Ponente, direttrice Centro Diaconale La Noce

«Dall’esterno si danno mille interpretazioni», afferma Anna Ponente, direttrice del Centro diaconale “La Noce” dell’Istituto Valdese di Palermo, «specie nel caso di Catania, dove ad agire violenza sono stati dei ragazzi stranieri. Si parla di quello che, hanno potuto subire durante il loro viaggio dai loro paesi, ma sbaglieremmo se ascrivessimo queste violenze alla provenienza geografica. Ci sono violenze intra-familiari che viviamo nei nostri quartieri, situazioni di degrado e promiscuità più frequenti di quel che si possa pensare. Facciamo fatica ad agire perché ci sono emergenze sociali talmente forti che altre sono diventate invisibili. Gli invisibili oggi sono i giovani che, attraverso questi gesti eclatanti, esprimono il risultato di un’assenza totale di regolazione affettiva, di controllo».

Un silenzio emotivo che ci chiede interventi pensati, mirati, integrati

«Se non potenzi i territori chi ci ritrovi? Lo spacciatore di crack o quel personaggio che ti fa sentire importante offrendoti quattro soldi in cambio immaginiamo bene di cosa. La devianza» commenta Anna Staropoli, sociologa dell’Istituto di formazione politica “Pedro Arrupe” «è un disagio amplificato, è sempre un grido di aiuto da parte di chi non viene visto e urla. Non possiamo dire che sia qualcosa di nuovo. Dobbiamo ripensare una città non più a misura di bambino, ma di adolescenti. Anche rispetto alla violenza sessuale e al femminicidio, se non affronti la cultura patriarcale e combatti la cultura dei non rispetto dei generi, dell’accoglienza e delle diversità, crei una struttura sociale in cui non è possibile che ci siano ancora gerarchie. Devi cambiare quei modelli culturali, la cui leadership è sempre in mano agli uomini. Bisogna, poi, potenziare veramente i territori, tornando a creare centri di incontro tra giovani, ricchi di spazi autogestiti, con la possibilità di avere adulti significativi che facciano gli animatori ed educatori di strada. È il primo modo, quello più semplice, per agganciare gli adolescenti e avviare un dialogo efficace».

Il lavoro di confronto con i più giovani dell’Istituto “Pedro Arrupe” (foto ufficio stampa)

Territori nei quali sembra che la parola prevenzione sia sparita o abbia difficoltà a diventare pratica

«La legge 285 nasce con l’idea di servizi normali, per nulla eccezionali. La normalità di servizi per minori e adolescenti» aggiunge Staropoli «e non quelli che riparano. Servizi da garantire a tutti per potenziare i quartieri, i territori. Abbiamo tanti spazi vuoti, tante possibilità di reti, associazioni del Terzo settore che un po’ in tutta la Sicilia lavorano sui servizi. Non possiamo ignorarli».

In prima linea gli educatori, i quali si stanno chiedendo che ruolo debbano assumere per arginare l’inconsapevole deriva dei nostri adolescenti

«È un ruolo transitorio quello che svolgiamo» aggiunge Ponente. «Abbiamo il compito di seguire i nostri giovani, ma senza pensare di dovere affrontare da soli il problema. L’approccio deve essere multidisciplinare, multidimensionale; solo così si possono curare gli aspetti culturali, religiosi, educativi, guardando ai contesti da cui arrivano, italiani e stranieri indistintamente, affrontando qualunque accadimenti con lo stesso sconcerto e rabbia provati. Ho ancora davanti agli occhi la scena terribile di quella povera ragazza di Palermo accerchiata, quella foto terribile dalla quale si evince anche dalla postura e da come camminava quel che le stava accadendo. L’episodio di Catania è ancora più grave per la giovanissima età della ragazza, ma anche perché il ragazzo è stato costretto ad assistere. Per tutto questo dobbiamo porci il problema non solo noi professionisti, perchè riguarda tutti. Ci dobbiamo chiedere cosa sta accadendo alla nostra gioventù in ognuna delle città che viviamo perché, quando a Palermo i ragazzi fermano i loro coetanei, rubano i cellulari e picchiano anche gli anziani, dobbiamo cercare di capire cosa accade nella loro mente e cosa abbiamo il dovere di fare. Di che cosa non ci siamo accorti in questi anni per averli fatto sentire tanto trascurati?».

Senza contare che ora si aggiunge anche la povertà, risultato di un’emergenza che è trasversale ed è relativa ai giovani, alla loro formazione, attenzione non ascrivibile al fatto che sono stranieri, assolutamente no.

«Quando metto in campo l’episodio della sorella che accoltella il fratello per il volume della Playstation», spiega Mirko Viola, segretario di “CittàInsieme“,  movimento di società civile fondato a Catania nel 1987, «lancio l’allarme su questa ondata di violenza che è arrivata anche da noi. Pensavamo di essere immuni, ma non possiamo più ignorare le sacche di sofferenza e malessere che aumentano e non hanno niente a che vedere con la provenienza geografica di chi agisce violenza. Purtroppo non c’è un’unica causa, ma sono tanti gli aspetti che si vanno affastellando. Abbiamo lasciato per troppo tempo i nostri giovani da soli, buona parte di loro vive un’esperienza di solitudine negativa perché saper stare da soli con sé stessi è una cosa, non essere guidati e non avere modelli a cui ispirarsi è un’altra cosa».

Solitudini che si ritrovano e diventano branco

«Non trovando via d’uscita, le solitudini si uniscono alle altre e quando l’individualismo non ha individui, soggettività, sprigiona violenza becera, cieca. Purtroppo, c’è molta rabbia in giro anche tra meno giovani» prosegue Viola «e i ragazzi assorbono quel che vedono per strada, nella scuola, in  ufficio, negli ospedali, in famiglia. Di cosa, quindi, ci meravigliamo? Crediamo che la soluzione sia inasprire le pene, utilizzando le telecamere? Cosa l’occhio della nostra comunità non può vedere che, invece, queste colgono? ».

Cosa, dunque fare? Cosa proporre?

«Se avessimo soluzioni in tasca, non staremmo qui a parlarne. Magari», sostiene il segretario del movimento “CittàInsieme”, «dovremmo stare più vicini, in maniera solidale, alle persone che si occupano dei nostri giovani: per esempio, gli insegnanti, oggi squalificati nel loro ruolo. I genitori, infatti, pensano che i problemi in famiglia vadano risolti a scuola, senza pensare che questa ha tutto un altro compito, così si trasformano nei sindacalisti dei propri figli con effetti gravissimi perché, in tal modo, riducono il senso del rispetto della figura del docente quale educatore».

Disattenzione, trascuratezza, una certa insensibilità da parte di comunità che non sempre si dimostrano unite e solidali. Fortunatamente la cosiddetta società civile è scesa in piazza in entrambe le occasioni, ma non sono pochi quegli operatori che avrebbe voluto un segnale più forte da chi ha un compito attinente anche ad altri aspetti dell’essere umano.

«Quanto è accaduto a Catania», commenta Piero Mancuso, uno dei fondatori dei Briganti Rugby Librino, realtà che attraverso lo sport porta i sani principi tra i più giovani di uno dei quartieri considerato tra i più difficili di Catania, «avrebbe dovuto suscitare più indignazione. Accadde a pochi giorni dalla Festa di Sant’Agata, la santa patrona della nostra città. Sarebbe stata un’occasione perfetta per tuonare contro questa grande ondata di violenza. Agata era una giovane donna martirizzata dalla violenza degli uomini, quindi quale migliore occasione per uscire dal simbolico e farsi carico di una risposta concreta? Sarebbe stato un momento che avrebbe richiamato all’attenzione l’intera comunità, potenziando il lavoro che facciamo noi operatori, educatori di tante realtà del Terzo settore quando ci confrontiamo con i nostri ragazzi. Un‘attenzione che deve essere tenuta alta, in ogni angolo dei nostri territori, nessuno escluso».

In apertura uno dei momenti di incontro nei territori del Centro diaconale “La Noce” dell’Istituto Valdese di Palermo (foto fornita dell’ufficio stampa)