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Inclusione sociale

I pupi siciliani che liberano la voglia di legalità

I pupi siciliani entrano in carcere, portando la tradizione di un'arte piena di storia e fascino. Grazie al maestro puparo Angelo Sicilia, l'istituto penale per minorenni "Malaspina" di Palermo si trasforma in un luogo dove, anche attraverso l'ideazione e costruzione di canovaccio e scenografie, i giovani detenuti recuperano la propria identità

di Gilda Sciortino

Scrivere una sceneggiatura, realizzare una scenografia, imparare come muovere i fili che animano i personaggi sul piccolo palcoscenico di un teatrino di pupi siciliani.

Tutto scontato, se di queste fasi che attengono alla costruzione e realizzazione di uno spettacolo, si occupano coloro che, all’addestramento a questo genere di nobile arte, sono destinati in quanto figli d’arte. Se, invece, gli allievi sono minori del circuito penale, il percorso diventa più arduo, ma indubbiamente più affascinante, in quanto si pone come una delle tante sfide che questi giovani devono affrontare.

Da sinistra Clara Pangaro, Angelo Sicilia, Maria Mercadante e Sofia Gargano

Succede all’Istituto Penale per Minorenni “Malaspina” di Palermo, diretto da Clara Pangaro, dove, per il sesto anno consecutivo, l’associazione culturale “Marionettistica Popolare Siciliana”, presieduta da Angelo Sicilia, ha portato i pupi siciliani per dare modo, a nove giovani che scontano pene intramurarie, di conoscere quest’arte, anche per arrivare a realizzare uno spettacolo.

Il laboratorio ha il valore aggiunto di trattare temi importanti attraverso storie e personaggi che i nostri ragazzi contribuiscono a costruire e che, altrimenti, sarebbe difficile affrontare

Clara Pangaro, direttrice Istituto penale per minorenni “Malaspina” di Palermo

Un progetto portato avanti dal maestro puparo con il Centro di Giustizia Minorile della Sicilia, gli USSM di Palermo, Messina e Caltanissetta e gli Ipm di Palermo e Caltanissetta, che nell’edizione 2024 viene sostenuto economicamente da tutti i Rotary Club dell’area Panormus, su proposta e coordinamento dal Rotary Club Palermo Ovest presieduto da Mauro Faso, inserendolo nel più ampio “Progetto Centenario Rotary Italia”, nato nell’ambito dei festeggiamenti dei 100 anni dalla fondazione del primo Club Rotary italiano, che coinvolgono i Club di tutta la nazione.

Il tema di quest’anno si ispira anche a un periodo devastante della storia della città di Palermo

Giovani, ambiente e lavoro” la linea sulla quale si è da poco cominciato a lavorare, raccontando il valore della difesa del territorio partendo dallo storico “Sacco di Palermo” che, negli anni ’60, provocò danni permanenti all’elegante e armoniosa urbanistica del liberty del capoluogo siciliano, così come all’ambiente e a un sistema economico drogato da una gestione illecita di grandi volumi di denari nel settore immobiliare, ma non solo. Senza dimenticare la conseguente scomparsa di agrumeti della Conca D’Oro e la demolizione di decine di ville liberty e la nascita di quartieri dormitorio, Cep e Zen solo per fare qualche esempio, progettati con un disegno e una visione innovativa e futuristica che, però, non vide mai lo sviluppo di infrastrutture e di indotto sociale.

I pupi costruiti dai giovani detenuti dell’Ipm “Malaspina”

L’impegno di Angelo Sicilia va ben oltre semplici spettacoli perchè i suoi “pupi antimafia” gli danno l’opportunità di raccontare storie di legalità che si animano attraverso la tradizione popolare

«Ogni anno lavoriamo su un tema diverso. Vedi? Questi sono i pupi che abbiamo costruito il primo anno» spiega Angelo Sicilia, mostrando i manufatti degli anni precedenti, personaggi dalla carnagione scura grazie ai quali raccontare il tema dell’immigrazione. «Gli abiti sono della sartoria sociale Al Revés e sono stati realizzati dagli stessi ragazzi che hanno portato in scena una realtà che conoscevano perché, quell’anno, la maggior parte degli ospiti della struttura erano stranieri e, avendo vissuto l’esperienza dei barconi, hanno portato in scena se stessi. Un anno abbiamo parlato di antisemitismo attraverso siciliani che hanno combattuto durante la Seconda Guerra Mondiale per salvare tanti ebrei dall’Olocausto come Calogero Marrone, emblematico siciliano deportato nei campi di concentramento. Due anni fa abbiamo raccontato l’antimafia attraverso Francesca Morvillo, storia a partire dalla quale si è unita a noi la scenografa Sofia Gargano. È anche con lei che, nel 2023, abbiamo portato sul palcoscenico la maestosa figura di Danilo Dolci attraverso il tema dell’educazione maieutica.  Importante dire che questo progetto, ambizioso e semplice al tempo stesso, ci ha permesso di diffondere il valore della legalità nei giovani detenuti del Malaspina attraverso la consapevolezza delle pratiche dell’antimafia sociale, fatta di azioni quotidiane di cultura e, nel caso dei pupi, anche di tradizioni popolari».

Una delle scenografie costruire in carcere

Temi non certo semplici da raccontare e affrontare per i ragazzi, che però non si sono mai tirati indietro, partecipando attivamente a tutte le fasi e condividendo il più possibile quanto hanno imparato.

«L’attività con i pupi siciliani l’abbiamo scelta per varie ragioni » spiega la direttrice, Clara Pangaro. «Intanto perché, quando abbiamo cominciato, volevamo portare avanti un lavoro sul recupero delle tradizioni siciliane e palermitane, trasversale alle diverse attività. Importante, era per noi, lavorare sulla dimensione dell’identità siciliana, anche perchè i pupi hanno una tradizione in tutta la Sicilia, ma in modo particolare a Palermo, dove ci sono scuole dedite anche al recupero dei mestieri tradizionali. Questo perché fare il puparo è un mestiere che sta scomparendo. A parte Angelo Sicilia e qualche altra grande famiglia, infatti, sono sempre di meno le persone che alimentano questo tipo di professionalità. Ci sembrava un aspetto fondamentale conoscere anche la nostra storia, legata ai mestieri antichi e alla manualità, il dono più prezioso che hanno i nostri ragazzi, grazie alla quale hanno la possibilità di sperimentarsi con un prodotto finale che li mette di fronte alla concretezza del “Guarda, sono stato capace di realizzare questo”. Vederli soddisfatti ci riempie il cuore».

Elemento non indifferente perché, se apprezzato, ha ricadute e degli effetti anche sulla loro autostima e su come si percepiscono loro stessi

«Il problema dei ragazzi che entrano in carcere», prosegue Pangaro, «è che arrivano con esperienze professionali poco qualificate e, anche dal punto di vista della loro autostima, spesso credono di non essere capaci di fare granché. Le persone con cui sono sempre entrati in contatto, gli adulti di riferimento, infatti, hanno sempre rimandato un’immagine di soggetti da allontanare, scarti. Il lavoro che facciamo grazie ai nostri laboratori è proprio dare loro modo di percepirsi come costruttori del proprio futuro, proiettandosi in una dimensione in cui possono pensarsi capaci di dare un contributo diverso alla società rispetto alle scelte che li hanno condotti in carcere».

Prezioso il ruolo che svolgono gli educatori in una struttura come questa

«Le attività proposte da Angelo Sicilia in questi anni», si inserisce Maria Mercadante, funzionaria della professionalità pedagogica in servizio presso l’IPM “Malaspina” di Palermo, «hanno sempre avuto positivi riscontri nei percorsi educativi individuali, tanto che alcuni ragazzi tornati in libertà hanno continuato a collaborare con lui, oltre la scadenza naturale dei progetti. Questo, perché Angelo Sicilia riesce a stabilire positive relazioni, umane ancor prima che professionali, portando avanti con il suo lavoro aspetti culturali creativi e ricreativi e avviando con i ragazzi un iter di formazione che, se viene colto, può anche avere sbocchi professionali per gli stessi».

Un percorso che apre, infatti, interessanti prospettive future

«Facciamo in modo di offrire ai ragazzi formati, una volta usciti dal percorso penitenziario, una possibilità diversa di vita, un’alternativa. Ormai, infatti, capita da tempo», dice ancora Sicilia, «che, quando sono liberi ci vengono a trovare e rimangono. Alcuni li ho portati in tournee e ora c’è un altro ragazzo che sta cominciando a collaborare. I ragazzi sono sempre molto incuriositi perché è estremamente importante farli lavorare, farli fermare in questi laboratori del fare, mettendo loro un pennello in mano e rilassarsi per esempio realizzando le quinte, come stiamo facendo ora, le scenografie o direttamente un pupo. Tutto li affascina. Il fattore della ricerca del lavoro accresce le loro aspettative, anche perchè hanno l’esempio di altri prima di loro, così si prenotano. Una grande soddisfazione per tutti noi».

«Aggiungerei che, alla fine dell’esperienza che fanno, i nostri ragazzi sono grati del percorso compiuto, anzi vorrebbero di più. La scelta di fare durare il laboratorio solo quattro mesi», – conclude la direttrice dell’Ipm “Malaspina”, «ha una precisa motivazione. Proponiamo progetti a moduli perché, dal momento che i ragazzi sono soggetti a fluttuazione, cerchiamo di dare l’opportunità, a chi inizia, di concluderlo per potere poi prendere parte allo spettacolo finale. Momento importante per tutti noi che li vediamo prendere sempre più consapevolezza e crescere».

Un’attesa, la performance finale, da parte dei ragazzi, ma anche degli stessi operatori ai quali, quest’anno, si aggiungono i soci del Rotary Club che hanno già programmato lo spettacolo finale durante il Congresso Distrettuale del Rotary, in programma tra il 15 e il 16 giugno. Occasione, come sottolinea Mauro Faso, presidente del Rotary Club Palermo Ovest, per «dimostrare la forza dell’azione collettiva, capace di sviluppare un impatto significativo in favore dei soggetti fragili, proponendo soluzioni che siano funzionali alle criticità che ogni territorio vive».

In apertura uno dei momenti del laboratorio che impegna i giovani detenuti dell’Ipm “Malaspina” nella costruzione delle scenografia (le foto sono fornite dalla direzione dello stesso Istituto)