Welfare

Morire lontani da casa, i costi dei rimpatri che non tutti possono sostenere

Ibrahim Sowe è un giovane gambiano morto nel ghetto di Borgo Mezzanone. La famiglia non può permettersi il costo del rimpatrio della salma, per questo è stata organizzata una raccolta fondi. L’Anolf Puglia lancia proposte e suggerimenti per dare risposte ai tanti casi simili di migranti morti in Italia le cui famiglie non avevano i soldi per provvedere al trasporto del corpo

di Emiliano Moccia

Ibrahim Sowe viveva in un prefabbricato fatto di mattoni e lamiere situato nel ghetto di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia. E’ morto nel sonno, ucciso dalle esalazioni di monossido di carbonio sprigionate da un braciere di fortuna che aveva sistemato nella stanza per difendersi dal gelo. Insieme a lui, è morta anche Queen Rock, con cui condivideva quella “casa” messa in piedi nell’insediamento informale in cui vivono circa mille migranti braccianti agricoli, e che d’estate, con la raccolta del pomodoro, arriva ad ospitare oltre 5.000 persone. Ibrahim veniva dal Gambia, mentre Queen dalla Nigeria. Non sono i primi migranti che perdono la vita lungo la cosiddetta “pista” di Borgo Mezzanone. Incendi, incidenti stradali, violenze. Ogni volta ci sono famiglie che piangono a distanza la perdita dei loro cari. Di un figlio, di un padre, di un fratello. La più grande difficoltà è quella di organizzare il rimpatrio della salma, perché i costi possono essere davvero molti alti, inaccessibili per i parenti che piangono il loro caro lontani migliaia di chilometri. A seconda del luogo da raggiungere, possono costare dai 2.000 a più di 10.000 euro. Di qui, la necessità da parte dei compagni di lavoro dei braccianti, dei famigliari, delle associazioni di volontariato e delle organizzazioni sindacali del territorio di attivarsi per esaudire il desiderio delle vittime.

«Queen non ha nessun parente in Gambia, i suoi tre bambini erano già assegnati ai servizi sociali e quindi sarà seppellita su territorio italiano, e ci adopereremo affinché le autorità italiane si occupino della salma» dice Sowe Idrissa, il fratello della giovane vittima. «Ibrahim, invece deve rientrare a casa in Gambia, dove i genitori ed i suoi fratelli lo aspettano. I costi del rimpatrio non sono sostenibili per la famiglia, per questo abbiamo deciso insieme agli amici che vivono nel ghetto ed ai compagni di lavoro, di provare ad avviare una raccolta fondi per sostenere il rientro in Gambia». Ad oggi sono stati raccolti quasi mille euro. Ma la somma che serve è sicuramente più alta. Una situazione che rilancia il tema del rimpatrio del corpo dei migranti nei loro Paesi.

«Si tratta di una questione molto delicata, che riguarda da vicino anche il fenomeno dello sfruttamento dei migranti, non soltanto nei settore dell’agricoltura» spiega Mohammed Elmajdi, presidente di Anolf Puglia. «Anche a me è capitato di occuparmi dei casi di rimpatrio. Avevo fatto fare a Foggia un preventivo per il rimpatrio di un migrante in Marocco e l’agenzia funebre aveva chiesto 5.000 euro. Allora, attraverso il Consolato ci siamo rivolti ad una ditta di Salerno che ci ha fatto pagare meno. In tante circostanze, sono gli stessi lavoratori che promuovono, anche in accordo con le organizzazioni sindacali di Cisl e Cgil, delle raccolti fondi per favorire il ritorno del corpo nel proprio Paese, quando i famigliari non sono in condizioni economiche per farlo».

Eppure, secondo Elmajdi, che conosce molto bene cosa voglia dire vivere nei ghetti ed il conseguente fenomeno del caporalato, alcune soluzioni ci sarebbero per agevolare il rimpatrio o una degna sepoltura. «Per i braccianti agricoli, anche per i migranti, esiste il Fondo di Assistenza Sanitaria per i Lavoratori Agricoli e Florovivaisti – FISA. Se le aziende sono in regola con tutti i contributi nei confronti del lavoratore, in caso di decesso conseguente a ricovero o a infortunio sul lavoro, il Fondo rimborsa le spese per il trasporto della salma, della tumulazione e delle spese funerarie nel limite di 3.000 euro. Una cifra importante che può aiutare molto in casi come quelli che abbiamo registrato tante volte nei nostri territori. Ma sappiamo bene» evidenza il presidente di Anolf Puglia «che non sempre è possibile accedere a questo fondo a causa dell’irregolarità delle aziende agricole, che apre una riflessione sul mondo dello sfruttamento e del caporalato».

Per i migranti che perdono la vita in Italia ma che non svolgono lavori in agricoltura, per Elmajdi «ci sono delle alternative come le assicurazioni, che anche con piccole somme possono prevedere il rimpatrio nel proprio Paese in caso di morte. Penso agli ambulanti, a chi lavora nell’edilizia, a chi svolge altre mansioni ma desidera essere seppellito nella propria terra». E proprio la terra spinge Elmajdi ad avanzare un appello alle Amministrazioni Comunali in materia di gestione dei cimiteri. «Molti migranti che non possono essere rimpatriati per questioni economiche o magari anche per scelta, possono essere sepolti anche qui in Italia, nelle città in cui vivono. Ma il problema è che, come nel caso dei musulmani, nei cimiteri mancano spazi dedicati al tipo di sepoltura prevista dai vari riti religiosi, come per i fedeli islamici. Predisporre nei vari cimiteri dei luoghi specifici sarebbe già una grande risultato». Intanto, la raccolta fondi per rimpatriare il corpo di Ibrahim andrà avanti per qualche altro giorno. Dopodiché, la Flai Cgil di Foggia, insieme agli amici ed ai compagni di lavoro del ragazzo morto tragicamente a Borgo Mezzanone, si occuperà del rimpatrio della salma aggiungendo la parte dei soldi che manca, in modo da sostenere la famiglia che aspetta il suo ritorno a casa.

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