Salute
Palermo, nel quartiere Danisinni i cittadini aspettano la riapertura di un consultorio comunale
Nel 2017 la chiusura del consultorio ai Danisinni, quartiere di Palermo, evidenzia la fragilità di un servizio pubblico nato 50 anni fa per tutelare la salute di donne e famiglie. La comunità locale, con l'aiuto di parrocchia e associazioni, si organizza per colmare il vuoto, ma la mancanza di un servizio essenziale rimane un problema grave, con conseguenze dirette sulla vita delle persone

Per molti sono solo un lontano ricordo, più o meno felice, a seconda di che ruolo abbiano giocato nella loro vita. Al di là della nostalgia, però, va ricordato che i consultori sono nati come veri e propri presidi, peraltro pubblici, a tutela della salute sessuale e riproduttiva, per la prevenzione della violenza di genere, del disagio giovanile e familiare, per l’educazione all’affettività e alla sessualità, per la salute delle donne lungo tutta la loro vita, per l’accesso libero e sicuro all’interruzione volontaria di gravidanza.
E il fatto che sia passato mezzo secolo dalla legge che li ha istituiti, la 405/1975, ci porta a riflettere sul ruolo che hanno avuto in determinati contesti territoriali. Qualora esistano ancora. Una conquista, infatti, troppo spesso minacciata dal momento che, ce lo ricordano Cgil Palermo, Coordinamento donne e Fp Cgil Palermo, quando ci dicono che “a Palermo e in Sicilia, i consultori sono troppo pochi, sottodimensionati, con équipe incomplete e spesso inaccessibili. La legge prevede un consultorio ogni 20mila abitanti, ma oggi siamo a uno ogni 32mila (- 42%), con grandi disuguaglianze territoriali. Mancano ginecologhe, ostetriche, psicologhe, assistenti sociali, mediatrici culturali. In alcune strutture si tenta persino di introdurre presenze antiabortiste, minando il senso originario di questi presidi”.
Di consultori via via depotenziati e anche cancellati da contesti territoriali che ne hanno sempre avuto bisogno, potremmo raccontare abbondantemente. Soprattutto nelle realtà che, nonostante sorgano all’interno della città, vanno considerate periferie umane, luoghi in cui i servizi pubblici sono stati parecchio lontano, sostituiti come sempre dalle realtà del Terzo settore o le parrocchie. Come successo da sempre ai Danisinni, un piccolo quartiere a pochi passi dal centro storico di Palermo, un tempo borgo emarginato sia dal punto vista sociale sia geografico. Anche per il fatto che il consultorio sia stato chiuso nel 2017 e l’asilo nido abbia visto nuovamente la luce a settembre del 2024, praticamente la sua quarta apertura dopo la sua costruzione avvenuta nel 1960, ha segnato particolarmente la vita di un’intera comunità.

Due storie, quella del consultorio e dell’asilo, che si sono sempre intrecciate. Soprattutto ai Danisinni, dove il primo ha sempre avuto un ruolo fondamentale, distinguendosi da diversi altri della città.
«Io ho partecipato alla nascita dei consultori in Sicilia», racconta Antonella Monastra, ginecologa oggi in pensione, memoria storica di importanti conquiste sociali non solo per Palermo, «al cui traguardo si giunse grazie anche a tante persone, ma anche all’operato di un dirigente illuminato, Vincenzo Borruso, medico specialista in igiene, esperto di educazione sanitaria che nel 1975, dopo l’approvazione della legge nazionale sui consultori, elaborò una proposta di legge regionale, approvata tre anni dopo, relativa alla costituzione dei primi consultori siciliani e all’ aggiornamento degli operatori. Cominciarono ad aprire i primi consultori in Sicilia dove, inizialmente, una, due o tre volte alla settimana andavano, perché non erano ancora stati fatti i concorsi, i ginecologi ospedalieri. Una cosa assolutamente innovativa, per la quale vennero organizzati corsi di formazione in tutta la Regione. Corsi a cui io, allora da volontaria, ottenni di poter partecipare. Fu un momento unico perché arrivarono eccellenze da tutta Italia a formarci. Quella che fu innovativa in Sicilia fu soprattutto l’idea che il consultorio dovesse comunque rimanere gratuito, con una serie di principi che furono codificati molto bene. L’avvio fu buono dal punto di vista culturale, poi incontrò, come del resto anche la riforma Basaglia, diverse difficoltà nei vari territori per problemi di logistica. Per fare un esempio, non si poteva garantire del tutto la privacy perché magari il locale si trovava accanto al cinema a luci rosse. Non fu un avvio facilissimo, però partirono».
Danisinni come nuova frontiera
«Io arrivai ai Danisinni dopo avere prestato servizio per un po’ di tempo a Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo. Trovai un contesto parecchio complesso», prosegue Monastra, «ma dove lo psicologo e l’assistente sociale facevano un lavoro anche sulle famiglie molti-problematiche. A volte c’erano provvedimenti del Tribunale, situazioni abbastanza difficili, che però venivano gestite con intelligenza. Non ci siamo mai sentiti vittime, per lo meno finché siamo stati tutti assieme. Mai un momento di difficoltà perché eravamo il presidio istituzionale. Insieme alla parrocchia di Sant’Agnese, eravamo le due istituzioni nel cuore di questo quartiere, diciamo pure protetti prima di tutto dalle donne, ma anche dagli uomini. La verità è che, quando tu lavori per le persone, a tutela e a sostegno, promuovendo salute, in qualsiasi territorio tu sia, puoi fare delle belle cose e puoi essere anche ricambiato. Andavamo in giro per le case, portando anche una serie di informazioni relative alle norme igieniche. Abbiamo cominciato ad avere con noi tutte le donne intanto della piazza, poi del quartiere, la cui dignità e la voglia di riscatto ci insegnava ogni giorno tanto. Bellissimo il lavoro fatto per la salute delle donne, la prevenzione, anche per la contraccezione che cominciò a diventare una richiesta. Davamo risposta al fenomeno delle mamme adolescenti, legato anche alle “fuitine”, andando a parlare nelle scuole, ma quando ancora si poteva fare perchè non c’erano i tanti paletti che, nel tempo, non hanno facilitato questo percorso».
Un lavoro che si portava avanti all’interno della vecchia “Opera nazionale maternità e infanzia”, struttura degli anni ’50 al centro della piazza, che poi il Comune acquisì grazie all’allora assessore alla Pubblica Istruzione, Alessandra Siragusa, per trasformarlo nell’asilo nido oggetto di tante battaglie finalmente vinte perché, lo abbiamo detto prima, ha finalmente visto la luce nel settembre del 2024. Una grossa mano di aiuto per le donne del quartiere, veri e propri pilastri anche economici delle famiglie in cui molti uomini entravano e uscivano dal carcere. Il fatto che l’asilo tenesse i bambini sino al pomeriggio, facendoli anche mangiare, dava alle donne l’opportunità di lavorare e prendere una boccata di ossigeno potendo contribuire all’economia familiare.
Ma, come tutte le più belle storie, nel 2017 il consultorio dei Danisinni cessa di esistere. La struttura, costantemente vandalizzata, certi giorni senza acqua, altri con la luce staccata, non veniva più riconosciuta come struttura della comunità. L’ azienda sanitaria, quindi, decise che fosse un rischio tenere degli operatori in una struttura in stato di abbandono, così spostò tutti i servizi nel consultorio di Pietratagliata, quartiere non molto distante da questo, ma sicuramente altro rispetto ai Danisinni.

Fondamentale il ruolo della parrocchia “Sant’Agnese”, avamposto francescano, guidato dai frati Cappuccini, da sempre a servizio del territorio, pur mantenendo una visione aperta alla promozione spirituale, umana e sociale dell’intera città.
Un presidio che, in attesa che il consultorio comunale torni a riaprire le sue porte alle 2mila persone che risiedono ai Danisinni, a maggio del 2024 ha dato vita a un ambulatorio popolare, iniziativa resa possibile grazie all’intervento del Rotary club Palermo Ovest e dell’ Inner Wheel Terrae Sinus che hanno acquistato le attrezzature necessarie e messo a disposizione le proprie competenze professionali per garantire un servizio essenziale. Un’equipe medica che opera nello spazio ambulatoriale che ha sede nei locali della parrocchia, diventata una realtà concreta anche dal supporto delle Fondazioni Azimut e Peppino Vismara.
Uno spazio di condivisione del bisogno
«Se consideriamo che al consultorio le persone andavano anche in vestaglia, certe di trovare un ambiente nel quale parlare, confidarsi, magari prendendo un caffè», afferma il parroco, Fra Mauro Billetta, «è comprensibile capire cosa ha voluto dire la sua scomparsa. Sono quelli i momenti in cui ha inizio tutto un lavoro educativo. Pensate che, durante il lockdown, nel sostenere tutte le famiglie del quartiere, abbiamo censito 280 neonati, parliamo di 0-3 anni, fornendo loro il latte in polvere perché alcuni rischiavano di morire a causa della povertà delle famiglie, nelle quali la fame cancellava anche i sogni. Il poliambulatorio ha colmato la grande mancanza di prevenzione medica che, per esempio, negli ultimi anni ha causato numerosi decessi tra le persone impossibilitate a pagare le visite mediche. Colma questa lacuna e offre cure preventive a chi ne ha più bisogno. Senza dimenticare che, tagliando la sanità i servizi essenziali, in contesti come il nostro le persone rinunciano a curarsi. E, quindi, abbiamo visto morire tante donne per tumori trasturati, non diagnosticati».
Il consultorio, un’intuizione pedagogica dove la donna e il bambino trovano la loro centralità
«Quando nel 2013 sono arrivato ai Danisinni», aggiunge Fra Mauro, «c’era una situazione di assoluto abbandono non soltanto del consultorio, ma del presidio materno infantile, perché la grande intuizione che faceva sì che ai Danisinni esistesse quel consultorio era legata anche al nido. Era stata un’intuizione pedagogica in base alla quale la donna e, quindi, la mamma non era vista in modo asettico, separato dal proprio piccolo. La loro era un’ interazione profonda, così quello che veniva accolto era un percorso che prevedesse un prima, un durante e un dopo la nascita. Diciamo un’intuizione profetica per gli anni ’60. E poi la nascita, i primi tre anni, i primi mille giorni di vita, quelli più importanti per la formazione del bambino. Ecco perchè dico che fu gravissimo lo stato di abbandono nel quale ho trovato il quartiere quando sono arrivato».

«Dieci anni fa il Comune aveva deciso di abbattere l’asilo nido perché diceva che la struttura era pericolante», aggiunge il parroco di “Sant’Agnese”. «Ci hanno sfidato a dimostrare che poteva essere recuperata, così abbiamo ingaggiato lo studio più importante di Palermo e prodotto 40mila euro di progetto. Lo hanno recepito e da lì è partito il bando per l’assegnazione dei lavori. Nell’arco di un anno è stato riaperto e oggi lo frequentano 40 bambini, di età compresa tra i 3 e i 5 anni. Ci siamo, però, distratti un attimo e l’ufficio tecnico del Comune ha stralciato dalla ristrutturazione i locali del consultorio pensando erroneamente che dovesse essere compito dall’Azienda sanitaria locale di Palermo. Il paradosso è che siamo riusciti a ottenere il parere favorevole da parte dell’Asp, che vuole ristrutturare i locali, ma senza la firma per il comodato d’uso che consenta la simbolica, ma neanche tanto, consegna delle chiavi di casa, ha le mani legate. Non è certamente qualcosa fatto appositamente, ci mancherebbe, ma c’è una mancanza di riflessione rispetto a una situazione che non può aspettare ulteriormente».
«Ogni quartiere ha bisogno di presidi educativi rivolti alla crescita umana nel suo processo evolutivo», si leva la voce della comunità parrocchiale, «a partire dai primissimi giorni di vita e ciò va pensato all’interno di un tessuto sociale in cui la famiglia viene accompagnata e sostenuta, e dove la creazione di nuovi spazi di comunità offre la possibilità di prendersi cura di ogni aspetto della vita personale e familiare. Per noi prendersi cura vuole dire tutto questo, ma anche tanto altro».
La foto di apertura è di Gilda Sciortino
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