Salute mentale

Paradosso Sardegna: spende più di tutti ma i risultati sono scoraggianti

Dati allarmanti illustrati a un convegno di Legacoopsociali Sardegna, al quale ha partecipato tra gli altri Fabrizio Starace, presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica. Nell'Isola i ricoveri per Tso sono aumentati del 102,04% rispetto alla media nazionale

di Luigi Alfonso

La Sardegna investe per la salute mentale ben oltre il 5% del Fondo sanitario nazionale, conservando così il primato rispetto a tutte le altre regioni. La media nazionale è infatti del 3% circa, eppure questa enorme differenza in termini di risorse finanziarie non trova riscontro nella qualità degli interventi disposti dalla Regione Sardegna. Probabilmente non occorrono altri soldi da investire in questo ambito, semmai bisognerebbe spendere meglio l’esistente. Questo è quanto è emerso nel corso di un convegno organizzato a Cagliari dalla Legacoopsociali Sardegna. Non si tratta di una considerazione del solo presidente dell’associazione di categoria, Andrea Pianu, che si è limitato a tracciare il quadro generale, bensì la certificazione di Fabrizio Starace, presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica, che si è basato sui dati ufficiali disponibili sul sito del ministero della Salute. Al termine dei lavori, seguiti da una vasta platea, Legacoopsociali si è fatta promotrice di un invito rivolto non solo alla Regione ma a tutti gli attori di un settore nevralgico, per avviare una nuova stagione di svolta.

vita a sud

Starace, che è anche direttore del distretto di Salute mentale e dipendenze patologiche della Ausl di Modena, è partito dal quadro nazionale per meglio comprendere le problematiche sarde. «Solo il 49,5% degli obiettivi prioritari del Piano d’azione nazionale di salute mentale è stato oggetto di provvedimenti a livello regionale (di recepimento o attuazione) a oltre otto anni dalla sua approvazione. Ampie disuguaglianze ancora persistono fra regioni e all’interno delle regioni stesse (nell’accesso alle cure, nell’offerta assistenziale, nelle risorse disponibili, nel ricorso ai Trattamenti sanitari obbligatori – Tso, nello sviluppo della rete territoriale) rispetto alle quali dovrà essere rafforzato il monitoraggio Lea. Registriamo una carenza di risorse professionali ed economiche insieme alle difficoltà degli operatori a fronteggiare le sfide che le riorganizzazioni e gli accorpamenti dei dipartimenti di salute mentale impongono». L’analisi di Starace appare impietosa ma è supportata da dati inconfutabili. «Occorre rafforzare in tutto il Paese la cultura dell’assistenza territoriale e della presa in carico integrata e globale delle persone, coinvolgendo tutte le professioni, le istituzioni e i soggetti che operano nelle comunità, evitando di allontanare i pazienti in strutture che rischiano di escluderli dalla società anziché favorirne il reinserimento», ha sottolineato ancora Starace. «E poi, si avverte la necessità di rafforzare l’attenzione alle nuove forme di disagio aggravate nel corso della pandemia, in particolare fra gli adolescenti e i giovani adulti».

Fabrizio Starace, presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica

Niente di nuovo sotto il sole, si dirà. Ma l’intento di Legacoopsociali è quello di smuovere le acque per arrivare a scelte politiche innovative ed efficaci, in un periodo storico in cui le malattie mentali stanno aumentando in maniera esponenziale. «In Sardegna, i ricoveri per Tso sono aumentati del 102,04% nell’ultimo anno rispetto alla media nazionale», ha rilevato Starace. «I soggetti trattati con antipsicotici sono cresciuti del 24,68% (anche se Molise e Basilicata preoccupano molto di più: hanno registrato rispettivamente un +55,94% e +51,48%, ndr), ma anche qui c’è una spiegazione: esiste una relazione inversa tra la dotazione di personale dei servizi per la salute mentale e la prescrizione di antipsicotici. Ecco perché ogni azione volta a ridurre la variabilità nella prescrizione di questi farmaci, deve tener conto degli aspetti organizzativi del sistema di cura per la salute mentale».

In Sardegna le strutture territoriali sono calate del 43,51%, mancano però i dati relativi alle strutture residenziali e semi-residenziali (che la Regione non ha comunicato). Il costo pro capite per la salute mentale è aumentato del 75,79% rispetto alla media nazionale, mentre il numero degli accessi ai Pronto soccorso con diagnosi psichiatrica è diminuito drasticamente (-66,30%) rispetto al resto d’Italia. Una situazione in chiaroscuro, in un’isola che difende la propria autonomia ma non riesce a far quadrare i conti.

Andrea Pianu (Legacoopsociali Sardegna)

«Un po’ in tutta l’Italia si registra una situazione preoccupante nell’ambito della residenzialità psichiatrica», sottolinea Starace. «Un rapporto predisposto da un gruppo di lavoro che ho recentemente presieduto al Consiglio superiore di sanità, dimostra senza margini di dubbio che gli strumenti pensati più di dieci anni fa per regolamentare questo ambito, che assorbe oltre il 50% delle risorse destinate alla salute mentale, sono ormai desueti e offrono una risposta psichiatrizzante in un contesto propriamente definito sociosanitario. Il settore dell’accreditamento della residenzialità in salute mentale (ma anche per gli anziani e le persone con disabilità) è stato caratterizzato da una poliarchia disorganizzata, al punto che i dati Agenas sembrano parlare di Paesi diversi o addirittura di differenti latitudini, mentre invece si riferiscono alle regioni del nostro Paese».

La pandemia ha cambiato il mondo, e non solo in certe abitudini: lo confermano i dati rilevati in ambito sanitario. «La percentuale di persone che ritiene che i propri bisogni di salute mentale non sono corrisposti, è incrementata nel 2022. In tutte le altre discipline c’è stato un ritorno a periodo pre-Covid», sottolinea il dottor Starace. «Ce lo indicano i dati Ocse sui sintomi di depressione e ansia, triplicati rispetto al 2019. Tra il 2021 e il 2022, gli accessi in Pronto soccorso per diagnosi psichiatrica sono aumentati del 34,2%; i ricoveri in altri reparti di persone con diagnosi psichiatrica sono cresciuti di un 19,2%: significa che il sistema ospedaliero non è in grado di recepire tutta la domanda che riceve e, allo stesso tempo, il nostro sistema territoriale non riesce a governare le richieste d’intervento».

Starace ironizza nei confronti di chi continua a ripetere che bisogna analizzare e studiare il fenomeno: «Tutte sciocchezze, sulla salute mentale abbiamo uno dei sistemi informativi più dettagliati al mondo. Quello che manca è la visione tecnica e di politica sanitaria per trasformare tutte quelle informazioni in decisioni a favore dei cittadini».

Riusciamo a intercettare i disturbi psichiatrici con il nostro sistema di servizi? «La risposta è: certamente no», dice senza mezzi termini il dottor Starace. «Lo dicono i dati raccolti dal Global Burden of Disease, un organismo che raccoglie i principali epidemiologi di tutto il mondo e che fa stime su tutte le patologie conosciute. Ebbene, abbiamo stimato che nel nostro Paese il 16% della popolazione abbia disturbi psichiatrici, ma riusciamo a intercettarne appena l’1,6%, cioè il dieci per cento del totale. Il 90% dei disturbi psichiatrici presenti nella popolazione segue altre strade: qualcuno rimane in carico al medico di Medicina generale, chi ha la possibilità si rivolge al privato, qualcun altro non fa nulla, salvo rivolgersi al Pronto soccorso quando la situazione si fa acuta».

Quanto ci costa non investire in salute mentale? «Detto della Sardegna, nettamente al di sopra della media nazionale, l’Italia è molto indietro rispetto a Paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna, con i quali ci confrontiamo al G7. Resta da capire se dobbiamo considerare questi soldi una spesa, e quindi sottostare al beneplacito del ministero dell’Economia e delle finanze che dice di tagliare le spese, oppure se non sia un investimento che mette in moto un volano: benessere della popolazione, benessere dei lavoratori, capacità di resilienza, che funzionano da attivatori anche dell’economia. Noi non abbiamo bisogno di tecnologie sofisticate, abbiamo necessità di personale competente, motivato e in numero sufficiente da poter dedicare tempo alla relazione interpersonale, che è un altro strumento fondamentale terapeutico. Nell’ultimo periodo, purtroppo, se è vero che c’è stato un lieve incremento di personale, è pur vero che si è trattato per lo più di precari, di contratti a tempo determinato o di personale in formazione specialistica che non può essere dedicato a tutte le attività dei servizi di salute mentale, in quanto necessita di un tutoraggio costante. Due anni fa abbiamo definito il fabbisogno di personale: parliamo di 13.198 figure professionali in meno rispetto allo standard minimo definito dall’Agenas. Oggi parliamo di almeno undicimila unità».

Un altro errore ricorrente da parte del decisore politico è quello di fare riferimento alla spesa storica. «È un po’ quello che sta accadendo con il Pnrr, per esempio per la costruzione di nuovi asili: le regioni meridionali, nelle quali ci sarebbe maggior bisogno di queste strutture, hanno preso meno soldi perché avevano meno asili. Un controsenso, un meccanismo perverso. A mio avviso bisogna stratificare, tenendo conto dei dati sull’utenza effettivamente in carico ai nostri servizi, distretto per distretto, con un tempo minimo di garanzia per la consulenza, l’assunzione in cura e la presa in carico. Oggi abbiamo il 30% di personale in meno, mediamente, ma in certe regioni la situazione è ben più critica. Il costo per le assunzioni si aggira intorno agli 800 milioni di euro. Più aumenta il personale e più aumenta la capacità di accesso ai servizi, come dimostrano i distretti di Trento, Bolzano e Valle d’Aosta. I disturbi schizofrenici, che pure hanno disturbi più visibili, ricevono una risposta totalmente inadeguata».

Un altro tasto dolente: l’autonomia differenziata. «Rischiamo di tagliare davvero in due l’Italia, perché certe disuguaglianze le registriamo già oggi in molti processi di cura. C’è poi un caso Sardegna, che nei trattamenti Tso mostra un dato doppio rispetto a quello nazionale. Per altre patologie, ci riuniremmo per analizzare le cause e individuare i fattori di rischio. Invece, in questo caso non accade, quasi fosse un fatto normale. Badate bene, lo stesso fenomeno va analizzato per singolo contesto territoriale. E laddove c’è carenza di personale, guarda caso si prescrivono più antipsicotici. Siamo sicuri che così si risparmia?».

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